Alta Fedeltà
Top five 2003 - 2004
a cura della Redazione

 
 
I migliori cinque film dell'anno, secondo i collaboratori di Off-screen.

Francesco Rosetti
In ordine di assoluta coerenza casuale
1) Kill Bill
Tarantino è, tra i cineasti in circolazione, la più riuscita reincarnazione del flaneur baudeleiriano. Apparentemente svagato e cialtronesco nella sua cinefilia onnivora si aggira tra tutta la spazzatura iconica di cent’anni di audiovisivo e la centrifuga in un film che ha il pregio infallibile di non essere costituito da alcuna inquadratura “originale”. Tutto è memoria di un patito di cinema e televisione (Tarantino e lo spettatore), ma questo immersione nella propria qualità di amoroso consumatore di immagini è straniante e costringe autore e spettatore a criticare tutto ciò che scorre loro davanti e a reinterpretarlo. Siamo immersi in un flusso linguistico e non possiamo uscirne, tanto vale tentare di orientarcisi dentro. Ecco dove va a parare l'archetipica vendetta della sposa contro il suo Pigmalione, ecco dove si dirige l’ossessiva scopofilia tarantiniana. Nota ultima, in questo amoroso gioco di segni (Bill e Beatrix = Tarantino e Thurman) l’unica forma possibile del non finibile non è quella del singolo film, ma il contenitore polimaterico della saga, della serialità (lo hanno capito anche Lucas, Jackson e i Wachowsky, ma Quentin li ha superati costruendo il suo progetto come un album di figurine astratto e autoreferenziale).
2) Mystic river
Con il suo classicismo rigoroso, (apparentemente) antropocentrico e narrativo, Eastwood è un cineasta in grado di produrre universi poetici erratici e labirintici quanto quelli dei più rutilanti autori postmoderni. In Mystic river il cristallino della m.d.p. inquadra tutto in modo che lo spettatore non manchi un solo dettaglio della storia, ma poi cosa visualizza? L’assurdo, un’apoteosi di false piste, indizi fraintesi, incapacità di vedere, due morti inutili e una comunità sconvolta che si autoassolve in una parata del 4 luglio lugubre e gelida come un trionfo della morte medievale. Possiamo vedere tutto con il montaggio parallelo, peccato che poi il tutto sia un assurdo maligno che risplende del suo proprio mistero, cristallino quindi opaco, visibile quindi incomprensibile. Un deserto di senso, parente prossimo a quello di Dogville.
3) Big fish
Anche Tim Burton, non diversamente da Tarantino o i Coen, costruisce i suoi film sugli scarti visivi dell’America e del postmoderno più pop (riprova, non del tutto riuscita: Mars Attacks!). Su questa materia proteiforme e sdrucciolevole il regista di Batman costruisce un apologo barocco e delicatissimo dove il cantastorie-contapalle McGregor-Finney nella morte arriva ad identificarsi completamente con la materia narrata e reinventata con la sua infinita varietà. Si dirà: fellinata. Errato: precisa revisione hollywoodiana del caleidoscopico girotondo felliniano che Burton persegue fin dai tempi di Beetlejuice e Batman.
4) Master & commander
Come Big fish, Master & commander è un film acquatico, un contenitore dove la visione stessa è traslucida, incapace di identificare forme nette e precise. Il Surprise, veliero inglese in caccia di un doppio infero francese (l’Acheron, manco a dirlo), durante le guerre napoleoniche, è una Seaheaven galleggiante, il microcosmo di una civiltà che costruisce i presupposti della sua esistenza e del suo divenire su un baratro marino grigiastro e nebbiogeno (senza saperlo?). Weir, dopo il Truman show, confuta ancora una volta con assoluta perfezione la pretesa illuministica di vedere e tramite il vedere dominare la materia. In Master & commander gli strumenti ottici più perfezionati dell’epoca (cannocchiali, mappe, sestanti, etc.) sono solo in grado di percepire l’atmosfera foscosa di questo enorme vuoto e le esplosioni violente della guerra.
5) Elephant
Il tema sarebbe lo stesso del documentario di Michael Moore, la strage nel liceo di Colombine, e van Sant cosa ne fa? Una specie di trattato architettonico di regia, con lunghissimi piani sequenza negli ambienti e nei corridoi della scuola. Colombine si trasfigura così nell’albergo di Marienbad, nell’Overlook hotel, nell’Hermitage di Arca russa, un non luogo immerso in una temporalità circolare e reversibile, dove si muovono solo dei fantasmi (gli adolescenti ridotti a camminate e posture). Van Sant rinuncia alle cause, ai picchi narrativi o emotivi, all'interpretazione immerge protagonisti e spettatore in un pastrocchio di percezioni visive e auditive disturbate e frante. Su tutto dominano casualità e orrore.

Sorpresa - il cinema.
Dolorose assenze amorose, ovvero quei film che potevano entrare nella top five, ma lo spazio è quel che è, mentre da anni si parla di crisi del cinema, di cinema postmoderno senz’anima, mediocre, moribondo, meditabondo e dal fiato corto e maleodorante. Invece, sorpresa per chi vuol essere sorpreso, almeno una ventina di film della stagione costituiscono riflessioni formali ineccepibili sullo statuto dell’immagine, in perfetto equilibrio tra voluttà estetica e teoresi. D’altronde bisognerebbe ricordare che in un’arte industriale come il cinema il rapporto tra quantità e qualità è decisamente complesso e anche i capolavori del passato navigavano in fiumi di produzione commerciale anodina o imbarazzante. Citando a caso abbiamo Tsukamoto, i Coen, Jarmusch, Inarritu, perfino due italiani, anche se provenienti da un glorioso passato e non dalle nuove leve come Bellocchio e Olmi. Menzione speciale per von Trier, che, con lo schermo di Brecht, schematizza una densissima tematica teologica in Sacra Rappresentazione fino a portarla al più puro vuoto di significati (altro che lo straniamento a fini didattici), Sofia Coppola che coniuga Ozu e Billy Wilder in scioltezza e Kitano, che con Zatoichi arriva quasi a Beckett per poi rovesciare il suo cinema in un finale di pura euforia dinamica (sempre latente nel suo cinema, ma raramente agito con tanta forza).

Bluff!
Anche qui si va agli ex aequo. Mel Gibson con la sua predica miliardaria cerca di trasformare la spettacolarità hollywoodiana, splendidamente artificiale, in alta retorica religiosa latrice di contenuti virtuosi, e così ci da un Cristo supereroico (visto sempre da fuori ma in maniera del tutto involontaria e non sfruttata), buono in maniera meccanica e distratta, ansioso soltanto di levarsi il dente di un martirio di meno e ascendere al Padre suo, almeno fino alla prossima Pasqua. Ci sono altri modelli di Cristo eroico (il Giudice terribile della Sistina michelangiolesca, l’eroe di mansuetudine de "La leggenda del Grande inquisitore" di Dostoevskij) ma la densità è diversa. Ovviamente a questo pasticcio pretenzioso e gonfio il circuito cinesceneggiatorio nazionale (prima le storie, i personaggi, la società, la sociologia, poi magari il cinema) risponde da par suo. Soldini, con Agata e la tempesta ricalca Pane e tulipani, ma smarrisce freschezza e ironia, a favore della ricettina e del precotto, Ferrario riesce nell’impresa di omaggiare il muto con un film commentato ad ogni scena dalla voce fuoricampo di Silvio Orlando. Quando si dice la fiducia nelle immagini.



Adriano Ercolani
1) Mystic river
In un panorama americano in cui troppi cineasti cercano invano il post-moderno, Clint Eastwood arriva a superarlo portando al limite estremo il suo essere l’ultimo autore “classico”: l’inquadratura, la storia, la luce, il sonoro, tutto insomma è talmente prezioso e lineare da trasportare questo capolavoro fuori da qualsiasi determinazione temporale, relegandolo già nella sfera del mito. Ballata solenne e dolorosa come le grandi opere epocali, l’ultimo film supera anche Gli spietati nell’esplorazione dei temi a lui cari, e cioè il peso del passato, l’ineluttabilità della violenza, l’espiazione dei propri peccati. Se l’altro è stato giudicato “l’ultimo western”, questo è senza dubbio il miglior film americano degli ultimi dieci anni.
2) Big fish
Finalmente anche il più geniale dei cineasti americani ha deciso di diventare adulto, ma lo ha fatto a modo suo: l’audacia del suo ultimo sogno cinematografico è quella di voler raccontare proprio l’arte del raccontare, e sceglie di farlo attraverso la bellezza dell’immagine, la sua capacità unica di evocare e svelare allo stesso tempo. Risultato? Big fish è un puzzle perfetto che aggiunge a una messa in scena clamorosa una fluidità narrativa distesa e cadenzata. Il primo film “classico” di Burton è pure il suo lavoro più misurato ed avvolgente, almeno dai tempi di Edward mani di forbice.
3) 21 grammi
Dopo il folgorante esordio di Amores perros, Inarritu esordisce in America con un film la cui sceneggiatura è un congegno “a tesi”, una sorta di telenovela strutturata in modo da servire a dovere l’idea di messa in scena dell’autore. Per questo 21 grammi è forse un film freddo, che si riscatta però in ogni altra componente della messa in scena: regia, fotografia, e montaggio costruiscono un dramma di bellezza estetica raggelante, stilizzato e tagliente come un paesaggio invernale. Aggiungeteci Sean Penn e Benicio Del Toro ai vertici delle loro potenzialità espressive, e soprattutto una Naomi Watts che prima ti affascina e poi ti strazia il cuore. A lei, di sicuro, il nostro Oscar...
4) il Signore degli anelli - il ritorno del re
La grandiosa saga di Jackson trova la sua magniloquente conclusione nell’episodio più difficile da gestire, soprattutto per quanto riguarda i tagli all’epopea di Tolkien. Più eterogeneo e discontinuo rispetto agli altri due, Il ritorno del re ha però dalla sua una possanza drammatica inaudita, in cui meglio vengono specificati i rapporti tra i personaggi e le loro psicologie. Fastoso, sproporzionato, assolutamente avvincente, stavolta il film di Jackson colpisce anche al cuore: la scalata del monte Fato da parte di Frodo e Sam è, a livello emotivo, la sequenza più coinvolgente di questa stagione cinematografica.
5) Master & commander
Il cinema odierno è costellato di una grande quantità di autori con la “A” maiuscola. Ma quanti di loro sono anche poeti dell’immagine, compositori di sinfonie visive che trovano nell’inquadratura l’eleganza necessaria a sublimare la prosa del mezzo cinematografico? Peter Weir riesce a fare proprio questo, ed ecco che Master & commander diventa il più costoso film d’autore della storia del cinema: l’azione viene incorniciata, resa preziosa, rarefatta. A fare grande questo film sono i momenti di passaggio, in cui il cineasta crea una composizione visiva di bellezza assoluta: le scene autunnali, in cui la nave viene avvolta dalla nebbia o dalla neve, restituiscono a noi spettatori grati il cinema evocativo del periodo australiano dell’autore, tornato infatti a lavorare con il “suo” direttore della fotografia Russell Boyd, l’Oscar più meritato dell’ultima edizione dei premi.

Sorpresa - La dolcezza di Lost in translation, impreziosita dalla coppia Murray/Johansson e da una grande scena finale; l’intelligenza produttiva de La maledizione della prima luna, blockbuster con l’arma in più Depp/Sparrow; la cupa bellezza del Peter Pan di P. J. Hogan e del talento uncinato di Jason Isaacs; l’importante conferma di Bellocchio in Buongiorno, notte, opera personale e coraggiosa; la rinascita di Costner, che con l’intenso Terra di confine ha dimostrato che si può ancora fare western nonostante Gli spietati (o forse proprio a causa sua). Non sappiamo scegliere, fatelo voi al posto nostro.

Bluff!Matrix revolutions
Il secondo episodio era squilibrato ma poderoso, la parte finale è invece un’accozzaglia inutile di effetti speciali, per di più montata senza alcun ritmo: nella prima ora non succede nulla, nella seconda ci sono soltanto botti e spari. Siamo usciti emotivamente dal film quando, all’anteprima stampa, dopo un quarto d’ora di proiezione la mia amica Emanuela ha urlato alla platea: “Ma quanto avrà lottato con la produzione Keanu Reeves per ottenere quel lucidalabbra?”.



Giuliano Tomassacci
1) Mystic river
Il terzo capolavoro di Clint Eastwood (dopo Gli spietati e Un mondo perfetto). Per narrare una parabola sul fatalismo e le incomprensioni umane, il cineasta richiama all’eccellenza l’intero comparto attoriale, con un riscontro a dir poco positivo. Eastwood è ben più di un anziano saggio della mdp, ruolo a cui anzi sembra proprio non voglia aspirare, schivando la bontà della morale in favore di uno sguardo puramente oggettivo sul cinismo e l’inadeguatezza di un mondo tutt’altro che perfetto.
2) La Passione di Cristo
Depurate le ingombranti polemiche teologiche che hanno bersagliato il film-fenomeno di una star hollywoodiana, resta un’opera matura e potente di un regista in crescita autoriale, che continua a delineare con insistenza la predisposizione alla tematica del martirio. E la definizione di una tematica caratterizzante, al giorno d’oggi, non è affatto poco. Gibson, poi, ha dalla sua uno stile secco e un’adeguatezza nella germinazione del pathos non indifferenti. Bastano a giustificare le imperfezioni di un prezioso episodio artistico.
3) La Casa di Sabbia e Nebbia
L’anomala decenza di questa pellicola è il principale motivo di benvenuto nel mainstream statunitense avvinghiato in una fenomenologia sopra le righe. Perelman è regista che conosce la preziosa equazione regolante la moderazione registica e l’emersione delle interpretazioni. Così, affidando con fiducia lo sbroglio dell’intreccio al volto degli attori, guadagna un lungometraggio capace di rara compassione emotiva e di partecipe respiro umano. L’ottimo Ben Kingsley è inamovibile come i tronchi tagliati nella sua prima casa al mare, Jennifer Connelly un fiore che piega lo stelo all’ineluttabilità del vento avverso – il suo bisogno d’acqua e sole negato da sabbia e nebbia. L’attrice è talmente padrona del proprio personaggio da permettersi un tratteggio essenziale senza mai perdere aderenza. La loro casa, quella del titolo, è il luogo fisico dove la libertà dell’una finisce e quella dell’altro inizia. E dove gli ideali si consumano, fini a se stessi, senza nulla profondere.
4) Master & commander
Mescolando l’impostazione dell’Alien di Scott con le atmosfere del Gordon Pym di Poe, Peter Weir consegna alla luce uno dei migliori swashbuckler di tutti i tempi, oltre che di una stagione eletta portatrice (indegna) della rinascita e rivalutazione del genere. Alla superficialità cialtrona del plot e alla vacuità del materiale umano assemblati da Bruckheimer per La maledizione della prima luna, il regista australiano contrappone un presupposto narrativo affascinante e un dettaglio per la definizione dei personaggi di calibrata esaustività. Senza mai permettere all’entertainment di scontrarsi con la sottigliezza allegorica del testo.
5) Kill Bill vol.2
L’unico lungometraggio degno di essere chiamato “il quarto film di Quentin Tarantino”. Evidentemente incapace di raggiungere le vette della doppietta Le Iene/Pulp Fiction, Tarantino riesce però ad aggiustare sufficientemente il tiro rispetto al caos del primo episodio, ritrovando la notevole intesa centrifuga con il fuori campo, il trattamento dei tempi lunghi e, soprattutto, detronizzando la Thurman dell’egemonia del primo piano in favore dei numerosi altri personaggi. Resta discutibile, e a tratti palesemente sconcertante, il saccheggio dal repertorio cine-musicale più illustre ed autorevole, pensato, scritto e realizzato per altre immagini, altre storie, altri film.

Bluff! - Kill Bill vol.1
La prima parte dell’agognato film ‘nel cassetto’ di Tarantino latita in organicità narrativa, impalcatura strutturale, gestione dei personaggi ed eccede in ridondanza stilistica, modularità di montaggio e proliferazione del non-sense. Più o meno ingenuamente, Tarantino rimpiazza la geniale freschezza degli esordi con l’autocompiacimento estetico e il vezzo narrativo fine a se stesso: l’autore si cita addosso sprovvisto della necessaria originalità. Si annaspa in sequenze di ampio respiro imbastite con piglio pretenzioso e risolte al limite dell’ostentazione autoriale – ad oltranza con la sopportazione dello spettatore. Un vaso di Pandora talmente colmo e debordante da svuotarsi al suo dischiudersi più velocemente di un colpo di lama. Risultato innocuo: solo uno spostamento d’aria.



Luca Perotti
In ordine umorale
Kill Bill Vol.1 e Vol. 2
Il delirio cinefilo calcolato nei minimi dettagli per combattere qualsiasi freno inibitorio della visione.
Kill Bill è l’antidoto postmoderno alla normalizzazione del desiderio di vedere cinema, contro l’appiattimento intellettualoide che pretende di essere compreso solamente da una elite di nerd.
Tarantino ha una consapevolezza profondissima del materiale della cultura pop e riesce ad innalzarla ad un livello tale da permettersi di farci pure della filologia. Lo sguardo di Tarantino è costantemente spalancato, pronto ad assorbire qualsiasi sollecitazione senza mai perdere né controllo né equilibrio, né tantomeno il referente essenziale: lo spettatore.
E per creare un personaggio gli basta semplicemente inquadrarlo.

Dogville
I massimi sistemi con il minimo sforzo. Il profilmico si asciuga fino all’arsura e rimane solamente lo scheletro maligno della razza umana, delle aberrazioni che accompagnano l’evoluzione della civiltà e i rapporti sociali alimentati dall’intolleranza, dall’invidia e da qualche altro peccatuccio. Veemente e durissimo come Gangs of New York ma girato in soggiorno.
Dogville è un trattato di antropologia che inietta Brecht come fosse un medicinale salvavita, e un raro esempio di manipolazione autoriale e di stilizzazione coercitiva della messa in scena. Impressionante.

21 grammi
Il disordine narrativo che non disorienta, perché coincide con lo sguardo intermittente incompleto, lacunoso di chi guarda: oggettività mentale e fisico; Inarritu lascia che la soglia della percezione del dolore precipiti, trascinata dalla forza di gravità di un film carnale, terreno, palpabile. 21 grams è stracolmo del fervore di vivere, quel fervore che passa, di fatto, per l’attrazione verso la paura della morte.
L’anima è più tangibile del corpo, si lascia sedurre dalle lusinghe dell’inferno e dilaniare dalle asperità del dolore che è il metronomo della vita, il cuore che si trapianta di essere umano in essere umano.
E poi ancora i temi della perdità, del fato e del senso di colpa, randomizzati e forzati da una impulsività impetuosa e da dosi massicce di spiritualità agnostica.

Mystic river
Gigantesca prova d’autore di Clint Eastwood che, qui lo dico e qui lo nego, è nella top five dei più grandi registi viventi.
Con il recupero di una classicità poderosa e geometrica, Eastwood confeziona un altro film a strati che scava nell’animo umano andando a stanare tutti i demoni che esso custodisce, continuando testardamente a presentarci personaggi indimenticabili che gravitano attorno alla morte che non riesce mai ad azzerare nessun conto in sospeso. Mystic river è una tragedia ma anche un horror pieno di figure mutanti e fantastiche che hanno in comune principalmente una cosa: la perdita, passiva o attiva, dell’innocenza.

Terra di confine
Il film di Costner non sarà un capolavoro tout-court, ma riuscire a restituire al western, dieci anni dopo l’esaustivo capolavoro de Gli spietati, la dignità e la forza che hanno contraddistinto a lungo il genere è un’impresa epocale. Costner è riuscito a creare uno scarto semplicemente recuperando il cowboy eastwoodiano ingoiato dal regno delle tenebre e debellato dalla Storia per traslocarlo, cosciente della sua sconfitta, al di qua del cimitero degli eroi (o antieroi). Il cowboy accetta la sua nuova dimensione civilizzata e soprattutto capisce che non è più il caso di sfidare la morte perché la sfera del Mito è un buco nero e dimenticato.
Un’operazione lodevole e molto delicata quella di Costner, passata putroppo inosservata.

Bluff! - Prima ti sposo, poi ti rovino e LadyKillers
I fratellastri peccano di presunzione e si rintananano in una forma di postmoderno ermetica e colma di invisibile quanto strafottente autoreferenzialità. Per farlo, inoltre, scelgono la commedia, il genere che più di ogni altro deve tenere le viscere dello spettatore a tracolla. E per loro che, a tracolla, il cinema una volta ce l’avevano, si tratta di un buco nell’acqua, che diventa voragine vista la complicità critica e di massa. Involuzione postmoderna: Prima mi commercializzo e poi mi rovino. Sarebbe lecito far due chiacchiere con qualcuno dotato di spiccato senso della realtà. Tipo Quentin.
e
Matrix revolutions
Bluff da consiglio esistenziale: non fare troppo affidamento sulla durevolezza delle cose fiche.



Carlo Benedetto
1) Kill Bill Vol.1 e Vol. 2
La cinefilia totale e senza pregiudizi trasfigura in cinema elementi che caratterizzano il mondo orientale, il western, i comics. Nel mondo tarantiniano la cultura si trova dove pochi se l'aspettano.
2) Mystic river
Coscienze devastanti diventano fantasmi neri che t'investono la vita, in attesa che avvenga la trasformazione definitiva in vampiri. Eastwood presenta una tragedia in cui la violenza si nutre di se stessa, opprimendo anime ormai macchiate in modo profondo dalla vergogna. Una vergogna che non cercano nemmeno più di lavarsi via. Prova attoriale strepitosa di Sean Penn, Tim Robbins e Kevin Bacon.
3) 21 grammi
Il montaggio passa dai flashback ai flashforward senza soluzione di continuità, seguendo fedelmente il percorso emotivo della storia. Un racconto forte e coinvolgente, che produce un sentimentalismo privo di facili morali. La fotografia leggermente sgranata ed alcuni fuori campo indicano la mano autoriale di Inarritu: alla sua seconda prova, una conferma. Divino Sean Penn.
4) Coffee & cigarettes
Lo stile minimalista - fatto di una mdp quasi immobile, l'uso del b/n e un montaggio ponderato -, genera un senso di rilassamento intimo e coinvolgente. Come se fosse lo spettatore a fumarsi una sigaretta davanti un buon caffè, scambiando due parole. Una scelta di personaggi incredibile ed un tocco di poesia che solo Jim Jarmusch poteva letteralmente "far fumare" fuori dai cortometraggi che compongono il film.
5) Big fish
Per nostra fortuna c'è ancora qualcuno che considera i sogni fondamentali nella vita. La capacità di raccontarli, la prospettiva personale del narratore, insomma, imprime ai sogni la forza di diventare reali. Questo è valido tanto per Will, il protagonista del film, che per Tim Burton.

Bluff! - Gothika
Uno psichotriller in cui, ancora una volta, il paranormale è l'elemento che muove meccanicamente la storia e l'alibi che giustifica tutte le goffaggini. L'effetto shock non sostituirà mai la suspense: non ne ha lo stesso spessore. Soprattutto quando manca la classe.



Massimiliano Rossi
1) Mystic river
A sostenimento della forma, del rigore e dell'essenza. Ed il film di Eastwood incarna i tre elementi alla perfezione.
2) Kill Bill Vol.1 e Vol. 2
In fondo il cinema è spettacolo. Tarantino è li, pronto a ricordarcelo
3) Anything else
Perché dopo 35 anni dall'uscita di Prendi i soldi e scappa, cosa sarebbe un cartellone di prima visione senza la leggerezza e la geniale sofisticazione di Allen? Provate ad immaginare.
4) Prima ti sposo, poi ti rovino
I fratelli Coen dirigono la loro prima commedia a servizio della macchina hollywoodiana. Il rischio era che rimanessero inghiottiti dal sistema, ma il loro spirito indipendente è sempre a sostegno della loro arte. E questo non può far altro che piacere.
5) 21 grammi
Inarritu, alla sua seconda prova, abbandona le radici messicane e si districa con grande mestiere nei meandri dell'industria americana. E conferma tutto il suo valore.

Buff! - Un film parlato
Perché chi pensava ad un De Oliveira "diverso", alle prese con almeno un soggetto credibile e funzionale al suo indiscutibile stile narrativo, si è sbagliato di grosso. D'altronde dietro la macchina da presa c'è ancora il "vecchio regista portoghese"; anche se in molti si ostinano ancora a chiamarlo “Maestro”.



Adriano Marenco
Dogville
La Grazia scende sul nostro mondo piatto. Viene stuprata e incatenata, non c'è innocenza né perdono nell'uomo. Il pensiero è solo sofisma che giustifica. Padre non perdonarli perché sanno benissimo quello che fanno.

Mystic River
L'uomo, il potere, l'amicizia, l'odio, il cinema.

Elephant
I piani sequenza che seguono la vita di tutti i giorni diventano i piani sequenza alle spalle dei personaggi dei videogiochi diventano vuoto pneumatico e fredda obiettività diventano scene che ridondano fino al dramma quasi asettico nello schema mentale del videogioco che è la vita.

Una Storia Americana
L'orco necessario nel cuore dell'America bene. Un agghiacciante documentario nelle tenebre che s'annidano nel cuore della nostra civiltà dove non c'è verità.

Certi bambini
La stupefacente profondità nel cuore dei bambini nati adulti negli inferi periferici, bambini capaci d'amore e assassinio, in un mondo devastato dagli adulti che si ricalcano nella parodia di modelli cinematografici.



Stefano Finesi
Kill Bill Vol.1 e Vol. 2
Geniale ed estenuante rimasticamento di quarant’anni di cinema, tra commozione e virtuosismo, ilarità e tragedia. Una visione che anche nei momenti di massimo cazzeggio appare di una lucidità e di una convinzione con pochi confronti nel panorama odierno.

Le cinque variazioni
La consueta spocchia di von Trier giova come non mai a uno dei pochi film seriamente teorici degli ultimi anni, un rapido e penetrante saggio di estetica cinematografica, mai banale o noioso e con una gustosa punta di sado-maso.

Big fish
Il grande ritorno di Burton a un mood più personale e favolistico, dopo la fase calante degli ultimi film: Billy Crudup che nel finale corre tenendo Albert Finney in braccio è un gioiello di tenerezza, una specie di Fellini virato pastello.

Il ritorno
Una volta asportata la lieve patina festivaliera, un film incredibilmente intenso, capace di attingere a temi e risonanze ancestrali senza perdere un briciolo di vitalità. Umano, struggente e forte di attori straordinari.

Mystic river
La densità ambigua e viscosa del cinema di Eastwood al suo massimo, per uno dei pochi registi superstiti a porre interrogativi morali senza moralismi.

Bluff! - Il tempo dei lupi e Le invasioni barbariche: due dei massimi esempi contemporanei di narcisismo autoriale, sinistre trappole per fintocinefili in cerca di guaiti intellettuali.



Luca Persiani
In ordine sparso

Kill Bill Vol.1
La prova che Quentin Tarantino è il cineasta più moderno, affilato e complesso di oggi.

Kill Bill Vol.2
La prova che Quentin Tarantino è il cineasta più sensibile, spregiudicato e intelligente di oggi.

Alla ricerca di Nemo
Stupefacente e libero nel suo essere episodico e frammentato, e, insieme, organico e compiuto.

il Genio della truffa
Comedy-drama sull'inganno dei sentimenti, iperrealistico e tagliente, ma, miracolosamente, né cinico né nichilista.

a Snake of june
Esempio sublime e unico di cinema d'autore, sperimentale, erotico e noir che non cade in contraddizione con se stesso.

Sorpresa - Piccoli affari sporchi
Il più preciso, fulminante e intenso apologo sociale a narrazione forte che il cinema europeo contemporaneo poteva permettersi.

Bluff! - Dogville
Nella sua meccanica e ridicola efferatezza, un film fintamente scostante e subdolamente consolatorio.