Mystic river

Doppia visione
di Luca Perotti e Stefano Finesi

 
 
Lupi mannari americani a Boston
di Luca Perotti
Id., Usa, 2003
di Clint Eastwood, con Sean Penn, Tim Robbins, Kevin Bacon, Laura Linney


Anche in Mystic River la dimensione del fantastico continua a sedurre Clint Eastwood. Un campionario esteso di figure estrapolate dall’immaginario classico del cinema horror e di fantascienza torna, sempre meno sottotraccia, a farsi veicolo di metafore psicologiche, e a completare l’apparato barocco con cui Clint riveste le geometrie rigorosamente classiche con cui disegna un racconto morale incentrato sui temi della vendetta, del Destino, della redenzione, del passato inteso come custode di demoni che riaffiorano nel presente dopo essere stati invano sepolti vivi.
Ma se tali demoni mantengono il loro statuto di ‘interiorità’ non può dirsi lo stesso per gli altri mostri che popolano, mascherati da essere umani, il film: zombie, lupi mannari, anticristi e figure vampiresche. Con uno spessore che non si registrava, almeno a questi livelli, dai tempi de Gli spietati, i personaggi di Eastwood continuano ad avere un rapporto obliquo e irrisolto con l’esistenza e con la morte.

Dave/Tim Robbins: Il sacrificio del mostro
Dallo scantinato al fiume. Eastwood adopera due scene analoghe, che vedono protagonista Dave Boyle, inserite simmetricamente per chiudere il prologo e, in seguito, introdurre il finale del film. In entrambe Dave viene ‘ospitato’ in macchina da due individui che ne decreteranno la scomparsa. Sono gli anticristi, le bestie (i pedofili all’inizio, i picchiatori alla fine) padroni del suo destino. Il primo rapimento rappresenta lo squarcio destabilizzante nella sua vita che si ripercuoterà anche sull’intera comunità dopo che l’omicidio della ragazza renderà nitidi i contorni di una rete inestricabile di violenza che è passata di uomo in uomo, di episodio in episodio a partire da quel terribile giorno. Si tratta della scomparsa di una prospettiva serena e normale di vita.
Il secondo abbordaggio, invece, è la premessa alla trasformazione definitiva di Dave in mostro: ucciso per soddisfare una vendetta amministrata privatamente. La vittima degli abusi e del Destino, diventa il capro espiatorio con cui la comunità guidata dal suo Re (Jimmy-Sean Penn) vuole ristabilire l’ordine.
In precedenza, in una delle sequenze più emblematiche del film, Dave aveva rivelato alla moglie l’origine della sua sofferenza, cominciata con quegli abusi che avevano rabbuiato la sua anima. I movimenti del suo corpo, la messa in visione delle ferite inguaribili della sua psiche, i suoi discorsi deliranti (e la citazione esplicita di lui che guarda alla Tv Vampires di John Carpenter) sono il segnale di una metamorfosi in corso. L’agnello innocente sta completando la sua mutazione in un lupo mannaro, in un vampiro; in sostanza in un individuo mostruoso che ha smarrito i sentimenti umani, insieme alla giovinezza che non ha mai avuto (come ammette nella falsa confessione a Jimmy) e insieme a quel mondo incantato di lucciole (l’infanzia) che a lui è stato negato (il monologo/ninnananna raccontato al figlio: un primo piano in cui il suo volto è lo specchio della dicotomia buio/luce lunare). Perché Dave non è più un individuo. Ormai è per metà morto, e per metà una creatura difettosa e spettrale che orbita attorno alla vita.

Jimmy/Sean Penn: Il Re è colpevole. Viva il Re
Scegliendo di guardare Mystic River da una sola angolazione si potrebbe asserire che il film è una lunga descrizione della pulsione nervosa di un solo uomo: Jimmy Markum, il padre della ragazza uccisa. È lui ad incarnare la veemente sete di vendetta da appagare seguendo un percorso parallelo e individuale, in conflitto con le indagini della polizia condotte dal suo amico Sean.
Ogni volta che Jimmy appare in scena i toni del dramma si innalzano, rasentano l’isteria, si percepisce il respiro opprimente della violenza, del desiderio coatto di un risarcimento nei confronti del Destino. In un film immerso continuamente nella dualità luce/buio formalmente confermata da una fotografia che sottolinea i toni chiaroscurali di matrice caravaggesca, Jimmy è proprio la luce che squarcia con la sua rabbia la penombra di un film cupissimo. La contrapposizione con Dave è evidente: quest’ultimo abita i territori lugubri della morte interiore e il trapasso reale arriva proprio per mezzo della mano di Jimmy in una soggettiva che viene investita dall’esplosione di un fascio di luce prodotto dal colpo di pistola. Inoltre, la mano di Jimmy è anche la mano illuminata di chi vuole farsi giustizia da sé ergendosi a Dio in terra mediante un’autoinvestitura. Nella sequenza sulle rive del fiume, ripete ossessivamente a Dave : “Ammetti quello che hai fatto e avrai salva la vita”, spingendolo a una confessione fasulla per poi colpirlo a tradimento. Ma già in precedenza, Eastwood aveva accostato Jimmy a Dio montando alternativamente la sequenza del rito della prima comunione, in cui veniva dispensato il corpo e il sangue di Cristo, a quella del ritrovamento di sua figlia, corpo ricoperto dal sangue, indicando perciò una convergenza tra i due ‘padri’.
Jimmy immola le sue vittime sulle rive del fiume mistico che lo ha battezzato ma il regolamento di conti trasforma il Mystic in un fiume infernale che ha nascosto le anime dannate e conferisce a Jimmy il ruolo di creatura demoniaca (ennesimo personaggio del museo degli orrori di Eastwood).
Il suo pentimento ha breve durata perché a fornire le attenuanti per la razionalizzazione del fatto compiuto sopraggiunge la moglie (regina/strega) che lo investe a Re della comunità. Il sovrano ha semplicemente seguito le sue vie esclusive verso l’ottenimento di una giustizia soddisfacente e non può essere condannato.

Sean/Kevin Bacon: lo zombie
La perdita dell’innocenza è il nucleo portante dell’America che scorre sul fiume mistico di Eastwood.
Jimmy l’ha perduta dopo l’episodio increscioso delle sevizie a Dave indirizzandosi verso una vita criminale, interrotta temporaneamente da una parvenza di vita normale (l’apertura del negozio di alimentari). In realtà il seme della violenza ha continuato ad agire dentro di lui ed è rispuntato con irruenza accecante dopo l’omicidio della figlia.
Al contrario, Sean ha reagito a quell’episodio posizionandosi dalla parte opposta della barricata, quella della legge. “Non faccio altro che mettere in prigione chi ha scelto di andarci”: così spiega il suo lavoro alla moglie. Ma, evitando di condannare l’amico Jimmy per l’assassinio di Dave, viene meno proprio al principio basilare del suo lavoro. Fino al rispuntare della moglie e della bambina, Sean è uno zombie che vaga solitario rifiutandosi di coltivare rapporti extraprofessionali: egli dedica tutto il suo tempo al lavoro (respinge gli inviti delle colleghe; si limita ad aspettare quotidianamente la telefonata muta della moglie; ha un rapporto umano solamente con il compagno di indagini). Durante la parata finale, lancia uno sguardo a Jimmy e si limita a fingere di sparargli imitando con le dita il gesto di premere il grilletto. Per ciò che lo riguarda, è stato il secondo incontro beffardo che Dave ha avuto con il Destino a determinare la sua condanna morale.

L’uomo (e il passato) invisibile
Il passato, simile a una piovra che allunga i suoi tentacoli sul presente, non esita a sprigionare la sua rivalsa. Nessuna azione, per quanto casuale può essere trascurata. Sin da quando Dave è stato caricato in macchina dai pedofili, si è innescata una escalation di episodi generatori di violenza; anche il minimo dettaglio ha dimostrato di ripercuotersi direttamente sui destini degli individui con la crudeltà di una nemesi implacabile.
La forza invisibile del passato che ritorna è simboleggiata nel film da “solo Ray” Harris, il padre scomparso di Brendan, il ragazzo della vittima.
L’omicidio è stato commesso con una pistola da lui usata in una rapina avvenuta addirittura vent’anni prima. Una sua soffiata ha spedito Jimmy in galera e ha influenzato il codice d’onore di quest’ultimo, ostile verso ogni membro della famiglia Harris. Questa avversione ha spinto la figlia a voler fuggire a Las Vegas: un contributo indiretto all’omicidio accidentale compiuto, beffardamente, proprio dal figlio muto di “Solo Ray”, a sua volta vittima della furia sanguinaria e vendicativa di Jimmy e ospite delle acque del fiume. Anche da morto, come un fantasma che pretende il suo riscatto, “Solo Ray” incide inconsapevolmente sulla vita di una comunità nella quale i sospetti e le colpe si propagano caoticamente.
La morte di Dave per i protagonisti suona allora come una sorta di liberazione. Le colpe sono state seppellite, i peccati definitivamente purificati. La macchina da presa si allontana dai carri allegorici di una parata posticcia che vorrebbe salutare un nuovo giorno sgravato da quel lontano episodio di molestie. La vendetta contro il destino è stata comunque compiuta (del resto Dave aveva a sua volta ucciso). L’ordine è stato ristabilito, un nuovo giardino può tornare a fiorire, innaffiato da quel fiume che ha ingoiato colpe e cadaveri e che introduce i titoli di coda. Il passato infetto è stato nuovamente seppellito nella sua tomba come un vampiro prima dell’alba, in attesa, però, della prossima notte.

 


La giustizia feroce dei corpi
di Stefano Finesi


Il cinema di Eastwood si propone costantemente come maiuscola riflessione etica, contraddistinta dalla necessità di setacciare attraverso la violenza gli interrogativi su caduta, espiazione, redenzione. Il genere affrontato di volta in volta, che sia il western, il melodramma o il noir, precipita in questa fisicità tangibile e aggressiva e si innalza al tempo stesso a parabola morale, senza che i due aspetti entrino in conflitto ma anzi dando vita a un reciproco nutrimento. Mystic River è quindi innanzitutto una storia di corpi e di dinamiche di azione e reazione che conoscono istintivamente la legge della strada e dell’aggressione diretta, proprio mentre lungo tutto il film si dipana la detection classica (razionale, scrupolosamente osservante della giustizia) condotta da Sean/Bacon: la sua è la battaglia perenne e inesausta del poliziotto onesto contro il retaggio violento a cui egli stesso è appartenuto, contro una giustizia sommaria eppure ancestrale che spinge Jimmy e i suoi scagnozzi a vendicarsi con le proprie mani sulla pelle di un innocente, che spinge il giovane Brendan a farlo con il fratello e il suo amico, che spinge infine Dave/Robbins a tentare di pareggiare i conti con il passato uccidendo un pedofilo.
Il percorso dei tre protagonisti è scritto già nei loro corpi: il corpo intatto e mai mostrato di Sean, ben nascosto nella giacca d’ordinanza, il corpo volutamente segnato e esibito di Jimmy, con i suoi tatuaggi e le sue spalle tese di chi è stato in galera, per dirla con Whitey/Fishburne, il corpo ferito di Dave, all’addome e alla mano. Il primo ha rifiutato la legge della strada, l’altro ne ha fatto una legge di vita che è capace di gestire e dominare, il terzo è costretto a viverla finendo per subirla, non avendo la forza per controllarla.
Questa scansione dei ruoli si riflette anche e soprattutto nei rapporti famigliari: Sean ha un rapporto freddo, telefonico, con la moglie in fuga (di cui viene inquadrata solo la bocca durante tutto il film) e dopo una riconquista puramente interlocutoria anche il finale alla parata cittadina li esenta da un reale contatto fisico; così è il suo metodo investigativo, pacato e fermo e incentrato sul ruolo della parola (non a caso il vero colpevole, scoperto proprio attraverso una parola registrata, è un ragazzo muto, esattamente speculare al suo personaggio). Quello di Jimmy è un modo di procedere carnale, nella ricerca dell’assassino come nel rapporto con la moglie, che ne esalta, nella straordinaria sequenza finale, le doti fisiche di dio protettore dei propri cari, lenendo in un batter d’occhio i sensi di colpa per una vendetta sbagliata; Dave d’altra parte, ha anch’egli un rapporto fisico con la moglie e il figlio, ma di una fisicità legata all’immaturità emotiva, imbolsita e incapace di gestire i propri impulsi aggressivi.
Dave è destinato a perdere sul terreno della violenza da strada con un Jimmy dotato di tutt’altra potenza e spregiudicatezza: ma come si risolve il confronto finale tra Sean e Jimmy, tra legge e violenza, tribunale e strada? L’inquietante finale in cui le due famiglie si fronteggiano alla parata mentre si consuma il dramma di Celeste, che comprende di aver distrutto la sua, rimane aperto (e stavolta colpevolmente) senza chiarire appieno la posizione di Eastwood in questa ennesima variante dello scontro tra fiero individualismo e Stato, tra una morale autoreferenziale e circoscritta e una istituzionale mai, purtroppo, capace di altrettanto vigore. Due corpi, nel frattempo, hanno giocato il gioco della strada finendo inghiottiti in un fiume da cui nessuno sembra poter reclamarli.