Anything else

Nient’altro che Annie
di Donatella Valeri



Venezia 60 - 2003
  id., Usa, 2003
di Woody Allen, con Jason Biggs, Christina Ricci, Woody Allen, Danny De Vito, Stockard Channing, Jimmy Fallon


Parafrasando il titolo, nient’altro che una ennesima tappa alleniana verso il “predominio della sceneggiatura”: le ultime pellicole di Allen sembrano accomunate da una tendenza a eliminare progressivamente tutti gli elementi registici per concentrarsi sul dialogo (o monologo) e procedere in direzione di una tecnica scarna ed essenziale, decisamente improntata sulla parola. E’ un percorso coerente e lineare quello di Woody Allen, che va sempre più in profondità, fino ad approdare a questo ultimo “gioiello” che recupera la comicità diretta e logorroica tipica del teatro, di cui il protagonista Jason Biggs/Jerry Falk, così come il Woody Allen/Alvy di Io e Annie, è un esponente. L’uno tenta di sfondare come attore comico, l’altro come scrittore, ma la differenza non è così importante. Perché è proprio Io e Annie il riferimento più prossimo a Anything Else, anzi Anything Else inizia come un omaggio non celato a Io e Annie: i dialoghi fra il protagonista attore e il suo manager, l’attesa della donna, che finalmente arriva in ritardo (per una cena o per una proiezione) in taxi nervosa e scorbutica, il riferimento all’ebraismo rilegato a frasi sentite di sfuggita da passanti, così come il sogno professionale di una fuga a Los Angeles… Sin dalle prime sequenze i rimandi sono numerosi, sia a livello narrativo che stilistico. Stilisticamente il riferimento più immediato è sicuramente l’uso della barzelletta per rivelare i personaggi, al quale si aggiunge il recupero della narrazione in prima persona fuori campo che fa procedere il racconto.
Il rapporto conflittuale con una donna egocentrica e imprevedibile, i problemi insolubili con il sesso…: i temi non sono differenti dai soliti affrontati da Allen, con la differenza che, in quest’ultima pellicola, il regista newyorkese ha scelto di eliminare la presenza di un pur debole altro soggetto e di circoscrivere il racconto al singolo tema del rapporto di coppia, ricollegandosi in questo modo al periodo di Io e Annie e Manhattan. Così il percorso registico lineare intrapreso da Woody Allen negli ultimi anni si scopre un percorso circolare che lo riporta indietro nel tempo.
La presenza di un ennesimo alter ego sottolinea la distanza temporale dai capolavori precedenti e riapre un ponte immediato con le opere più recenti. Ma in questo caso ci troviamo di fronte a uno sdoppiamento interessante: se Jason Biggs/Jerry non si distacca troppo dalle altre figure di alter ego perennemente indecisi o paranoici utilizzati da Allen, quali Kenneth Branagh/Lee Simon di Celebrity o Robin Williams/Mel di Harry a pezzi, in Anything Else Woody Allen si ritaglia un ruolo insospettato, quello dell’aggressivo professore-filosofo, capace di ribellarsi alle angherie e deciso ad aiutare il giovane scrittore, del quale diviene il mentore. Un distacco pensato e a tratti tenero da un personaggio usuale, preludio forse a un definitivo commiato dai film precedenti.