Kill Bill vol. 1

Il ‘mondo cinematografico’ di un privilegiato
di Luca Perotti


Kill Bill vol. 2

  id., Usa, 2003
di Quentin Tarantino, con Uma Thurman, Darryl Hannah, Lucy Liu, Vivica A.Fox


L’ impalcatura cinematografica eretta da Quentin Tarantino nel decennio passato si innalza su una piattaforma ben delineata e solida quanto artificiosa: il catalogo estremamente esteso stilato a partire da un culto cinefilo ossessivo e onnivoro.
Il nucleo dello sguardo tarantiniano, in sintesi, e come scritto da più parti, è figlio della simbiosi con la cultura di massa, con lo sterminato firmamento di suggestioni visive confluenti nel mezzo televisivo, considerato come il tempio mediatico ideale per il matrimonio tra cultura alta e cultura bassa.
Tarantino è diventato in breve tempo l’emblema generazionale, prestato al cinema, di un vuoto culturale o di un pensiero debole, che dir si voglia, che ha poi trovato la sua identità/reputazione sotto l’etichetta pertinente quanto fantomatica di post-moderno.
Più che di originalità, quando si pensa a Tarantino, sarebbe più opportuno parlare di riproposizione stravagante di un repertorio che comprende le tantissime fascinazioni iconografiche che hanno segnato le decadi del secolo passato, considerando le varie sfaccettature della cultura pop: il cinema, le serie tv, i cartoons, i fumetti, la musica rock ecc.
Fedele a questa connotazione culturale, Tarantino ha mischiato tutti i mondi paralleli da lui abitati nelle vesti di cinefilo impenitente ed ‘iconofago’ per elaborare un patchwork originale di killer, narcotrafficanti, banditi, poliziotti, iene, pugili e hostess.
Con Kill Bill, Tarantino compie un ulteriore balzo in avanti e firma il suo film più coerentemente in linea con questo background sviluppando forse il suo progetto più personale.
“Esistono due diversi mondi in cui si ambientano i miei film. Uno è ‘l’universo Quentin’, quello di Pulp Fiction e Jackie Brown, esagerato ma più o meno realistico. L’altro è il Mondo Cinematografico. Quando i personaggi dell’universo Quentin vanno al cinema, vedono quello che succede nel Mondo Cinematografico, sono una finestra che si affaccia su quel mondo. Kill Bill è il primo film che ambiento nel Mondo Cinematografico. Sono io che immagino quello che accadrebbe se questo mondo esistesse davvero, e se potessi prendere una troupe e fare un film di Quentin Tarantino su quei personaggi”.
In Kill Bill la strategia della manipolazione di modelli preesistenti non è frenata da nessun tipo di inibizione. La libertà delle scelte e il furore con cui il regista saccheggia dal cinema di genere di nicchia, certificano la caratura del personaggio Tarantino nell’ambito del cinema corrente soprattutto in termini di indipendenza autoriale.
Forse solamente Quentin Tarantino può permettersi, con il beneplacito della Miramax, di girare una sequenza di oltre venti minuti in cui Uma Thurman/Black Mamba guerreggia a colpi di spada con 88 belve sanguinarie; o di inserire, al posto di un tradizionale flashback, una sequenza animata sullo stile dei cartoni giapponesi che diventa un autentico cortometraggio interno al film.
Solamente Tarantino, dopo 5 anni di attesa dall’ultimo Jackie Brown, può mischiare tutta l’aggressività del suo immaginario multiforme, in un cocktail di B-generi senza temere il divieto di distribuzione.
Kill Bill è, infatti, un delirio cinefilo controllato che frulla lo spaghetti-western, il film di kung-fu, lo yakuza movie, il cartone animato, i fumetti manga, il wuxiapian e perfino il teatro di marionette (che cos’altro sono le silhouette di Black Mamba e Go-Go Yubari che si fronteggiano se non un omaggio al Bunraku?)
Può sembrare la fregola di un folle, ma, e qui sta il punto, Kill Bill si basa su un codice di autodisciplina che, da una parte tutela il rispetto verso l’essenza dei suddetti generi; dall’altra aderisce ai dettami peculiari del Tarantino’s touch.
Il regista guarnisce l’exploitation della giusta sgargianza che ne assicura un consenso popolare più diffuso plasmandolo secondo i propri tratti autoriali specifici: l’umorismo, l’autoironia, lo slancio nostalgico verso un vissuto da spettatore cinematografico e la rappresentazione glamourizzata della violenza e della morte.
Ogni singolo genere viene perciò ‘tarantinizzato’ e mitizzato a partire dalla rappresentazione della violenza. L’omaggio tocca perfino il musical con il balletto-duello tra Uma Thurman e Lucy Liu, ambientato nella levità di un giardino innevato accompagnato dalla melodia riarrangiata di un flamenco - una sequenza spettacolare sapientemente smorzata in anticlimax.
Ecco allora che il gusto tarantiniano per la digressione si fonde con l’omaggio alle strategie diegetiche di Leone in quanto l’arco narrativo si arricchisce di flashback che contribuiscono ad illustrare e fornire informazioni sul personaggio principale. Per non parlare delle cadenze ‘morriconiane’ e della vendetta, tratto distintivo di tanto cinema western, come linea portante di Kill Bill e sublime pretesto per la suddetta resa spettacolarizzata della violenza.
Ecco che il trattamento dei generi diventa road-movie tra i generi (e road-movie in senso ancora più ampio in virtù degli spostamenti fisici di Uma Thurman e della sua sete di vendetta) che si mischiano e si rincorrono lasciando costantemente spalancata la porta dell’imprevedibilità e rendendo Kill Bill un film in costante mutazione (moltiplicando l’assunto del fondamentale Dal tramonto all’alba).
Ecco Tarantino riuscire ad amalgamare icone vecchie (Hattori Hanzo - protagonista della serie Tv Shadow Warriors - o lo stesso Bill/David Carradine) con icone nuove di zecca (le killer della Deadly Viper Assassination Squad e tutto il resto), a testimonianza di un ulteriore tratto specifico del suo modo di fare cinema: la forte inclinazione mitopoietica.
In Kill Bill, infine, il Tarantino’s touch diventa complementare alla strategia distributiva. Con la destrutturazione del racconto in un continuo viavai spazio-temporale, il regista conferma un metodo narrativo a lui caro ma, allo stesso tempo, costruisce Kill Bill vol 1 come un lunghissimo trailer promozionale per la seconda parte, che accenna alle varie sottotracce, presenta alcuni personaggi e ne nasconde altri, in un continuo balletto tra anticipazione e rinvio di momenti forti, in mezzo ai quali si collocano le sequenze del film che si sta vedendo.
Kill Bill Vol.1 riesce perciò ad essere un film autosufficiente, con una precisa identità, e ad avere, al contempo, la finalità di riassunto della puntata precedente, di essere, cioè, un ‘To Be Continued’ della durata di due ore.
Forse, solamente Quentin Tarantino può beneficiare di un simile privilegio.