Venezia 60 - 2003

Lidi tranquilli
a cura della Redazione

 
  ^ il Ritorno di Andrei Zvyagintsev

Una buona Mostra di conferme non necessarie.
Se il cinema americano continua a mostrare una superiorità narrativa e spettacolare abissale (da Scott ai Coen, da Benton al pur malriuscito Rodriguez) e insieme tentativi indipendenti più o meno centrati (Allen, Sayles, Sofia Coppola, Jarmusch, Inarritu, i documentari di Stone e Demme) e qualche bufala insostenibile (Ivory e Hampton), il cinema italiano si fa sempre più dilettantesco (Tavarelli), sbrodolone (Bertolucci), inutilmente ascetico (Benvenuti), massimal-popolare (Winspeare), inselvatichito (Mereu) e storto (Ciprì e Maresco). Solo in un caso, con tutte le pecche possibili, davvero bello e intenso (Bellocchio). Poi ci pensano le riproposizioni di film di Bava, Petri, Pasolini, Monicelli, Fellini e così via a mettere tutto in prospettiva storica, ricordando per l'ennesima volta cos'è stata e cos'è la cultura cinematografica di questo paese.
Il resto del mondo spande cinema d'autore, nella maggior parte dei casi abbastanza limitato e intelletuale, che spazia da punte ciniche e pungenti (Von Trier), a furberie espressive da festival (Kitano), da voli iperstilizzati e strastancanti (Tsai Ming-Liang) ad estenuanti traversate terroristiche (Dumont), da esperimenti autoriali sul Genere abbastanza legnosi (Ruiz) a esperimenti autoriali sul Genere decisamente felici (Winterbottom), fino ad una schiera di piccoli-medi film che sicuramente "potremmo vedere solo a Venezia", ma di cui poca traccia resterà nella memoria (non abbiamo visto - ma è un nostro limite di spettatori e critici - né Gitai, né Greenaway).
Nessuna sorpresa. Mancavano, annunciati ma poi non approdati, Tarantino e il puro blockbuster americano (la Leggenda degli uomini straordinari). Due estremi che, con la loro assenza, ben sintetizzano il clima tranquillone del momento. Il clima di una mostra piacevole, in fondo abbastanza equilibrata, che colpisce la fantasia dei media con le armi classiche del divismo, non cerca di provocare, non apre prospettive nuove sullo status del mercato, non fa sperare niente sul futuro del cinema italiano, ribadisce (inutilmente) i propri culti autoriali, risente ancora di forti problemi organizzativi e strutturali (a cui si stanno cercando soluzioni, anche se a volte poco dinamiche, come la sala Astra), conferma la tendenza a poporre spazi extracinematografici discretamente "mondani" (il chill-out cuscinato, il dj set di Howie B, le varie feste "aperte").
De Hadlen si aggira per la kermesse in infradito e calzini, intrattenendo i divi e contenendo i giornalisti, mentre il Lido sopporta sornione l'unico evento cinematografico a cui in Italia si può concedere (goffamente) un po' di glamour senza che l'elite culturale inorridisca, e pur con tutti i limiti di una nazione che da tempo si è scordata che cos'è lo Spettacolo.


Venezia 60 in pillole
di Adriano Ercolani

Persona non grata
di Oliver Stone

Sarà anche un trombone che spesso suona a vuoto, ma Oliver Stone dimostra sempre di essere un cineasta di assoluto coraggio. Il suo documentario sulla situazione palestinese ribalta molti luoghi comuni, smaschera l’ipocrisia e l’incoerenza di molti leader israeliani, arriva dove molti reportage di guerra non sono riusciti ad arrivare. Forse non si tratta di un documento completamente imparziale, ma assolutamente prezioso nella sua sincerità.

Twist
di Jacob Tierney

Rivisitazione cruda e contemporanea del classico della letteratura inglese, ambientato in una Toronto in cui agli angoli delle strade questi poveri ‘ragazzi perduti’ si prostituiscono per pagarsi la dose di eroina. Tierney costruisce un melodramma ferreo e senza speranza, in cui primeggia la bravura di Nick Stahl, attore da tenere sott’occhio.

la Macchia umana
di Robert Benton

Un romanzo prezioso di Philip Roth, praticamente intraducibile sul grande schermo, a confronto con l’eleganza di un veterano come Robert Benton e la bravura di due attori come Hopkins e la Kidman (più Harris e Sinise di spalla). Il risultato è un lungometraggio suadente e seducente, capace di coinvolgere lo spettatore e di fargli credere una storia ‘letteraria’ altrimenti insostenibile.

Le divorce
di James Ivory

La spocchiosa cinefilia intellettualoide di James Ivory esplode nuovamente in questo suo film ‘parigino’, e lascia dietro di sé soltanto vittime: prima di tutto, il buon senso di un cineasta ormai soltanto lezioso. La Watts è bellissima e convincente, ma ahinoi non basta: il resto è pura ed inconsistente civetteria!

Immagini
di Christopher Hampton

Uno spunto che poteva essere interessante è reso ridicolo da Christopher Hampton, l’ormai lontano adattatore di Le relazioni pericolose di Frears. Dopo mezz’ora di film si inizia a ridere di eventi storici e situazioni che invece avrebbero dovuto farci inorridire e soprattutto riflettere. Imperdonabile perciò la colpa dell’autore e degli attori.

il Ritorno di Cagliostro
di Ciprì e Maresco.

Gli autori più ‘contro’ del nostro cinema provano a stemperare la loro poetica e si danno alla commedia più accessibile. Il risultato? La prima parte del film è giocosa e godibile, poi però arriva la stanca ripetizione, ed il tutto si affloscia su se stesso e sulle smorfie di un Robert Englund che non vede l’ora di sguainare il guanto artigliato…

Liberi
di Gianluca Maria Tavarelli

Ma cosa vuol dire questo film? Qual è l’asse portante? Quali le motivazioni dei personaggi, il loro sviluppo? Dove sta la progressione narrativa (per almeno tre scene padre e figlio si ripetono esattamente le stesse parole)? Ma soprattutto, perché Elio Germano nel film e nella locandina fa sempre il saluto comunista con la destra? Non capiamo…

Twenty-nine Palms
di Bruno Dumont

Almeno stavolta non ci sono personaggi che si librano in aria senza motivo! Per il resto però è la solita noia “artistica”, più vuota del vuoto. Lo promuoviamo (con estrema riserva) perché gli ultimi 5 minuti sono invece sconvolgenti, anche se probabilmente del tutto gratuiti.

Codice 46
di Michael Winterbottom

Ed ecco che il prolifico autore inglese affronta pure la fantascienza, con la solita eleganza. Il film è a tratti struggente, anche se imperfetto; quando però decide di colpire lo spettatore nelle sue emozioni, Code 46 è pienamente azzeccato, aiutato anche dalla coppia Robbins/Morton, miscela romantica e dolorosa di sguardi e malinconia.


21 grammi
Anything else
Buongiorno notte
C'era una volta in Messico
le Cinque variazioni
Codice 46
Coffee & cigarettes
the Dreamers
un Film parlato
il Genio della truffa
Lost in translation
la Macchia umana
Prima ti sposo, poi ti rovino
il Ritorno
il Ritorno di Cagliostro
Rosenstrasse
Zatoichi