C'era una volta in Messico
L'action che non c'era
di Luca Persiani


Venezia 60 - 2003
  Once Upon a Time in Mexico, USA, 2003
di Robert Rodriguez, con Antonio Banderas, Salma Hayek, Johnny Depp, Mickey Rourke, Eva Mendes, Willem Dafoe


C'era una volta in Messico (ultimato nel 2001 ma distribuito solo ora), prima di tutto e per stessa ammissione dell'autore è un test personale di Robert Rodriguez sulle capacità di ripresa del video HD (ad alta definizione), formato in cui è stato interamente realizzato il film. Un test teso a provare i limiti di resa e flessibilità del nuovo mezzo in tutte le condizioni di ripresa, con vari filtri, lenti e velocità di trascinamento della pellicola, e soprattutto con la proverbiale rapidità, quasi una smania realizzativa, che contraddistingue i progetti di Rodriguez. Tanto che Johnny Depp, completate tutte le sue pose in nove giorni, chiede a Rodriguez di rimanere sul set per un'ulteriore piccola parte originariamente non prevista per lui, quella del prete a cui si rivolge Banderas. Un film d'azione "sperimentale" in cui, quindi, lo stesso ritmo frenetico della messa in scena si riflette su quello della realizzazione. Non una filosofia nuova per Rodriguez, che oltre a quello di regista qui ricopre anche il ruolo di sceneggiatore, produttore, direttore della fotografia, scenografo e compositore delle musiche.
Rodriguez sembra porre in C'era una volta in Messico la necessità di sondare resistenza personale, della troupe e dei mezzi di produzione prima di quella di costruire una narrazione interessante. Il risultato è un prodotto con alcuni momenti godibili (la fuga di Banderas-Hayek, l'entrata in scena dei tre Mariachi alla festa), un personaggio cialtrone ed epico (Johnny Depp-Sands), una schiera di attori sprecati (Dafoe, Rourke e lo stesso Banderas) intrappolati in un plot inutilmente intricato e privo di qualsiasi fascino. Il terzo episodio della saga del chitarrista vendicatore Mariachi è grandemente offuscato dall'affannosa arroganza stilistica e dal tragico vuoto di senso di un Rodriguez in esercizio su uno script da frettoloso b-movie, e incartato nella sua stessa visionarietà, il cui senso del ritmo argina miracolosamente il manierismo ma svuota comunque di passione ed emozione quasi tutta l'opera.
Così quello che rimane di più di C'era una volta in Messico è, a conti fatti, l'istrionismo di un Depp ammiccante mattatore, improbabile ed originale agente della CIA che ostenta deliranti t-shirt il cui demenziale cinismo diventa un ridanciano auto-svelamento di quanto poco seriamente Rodriguez guardi al suo progetto (fulminante la variazione del classico "I'm with stupid", dove la freccia indica l'inguine di chi indossa la maglietta). Un progetto che non ha certo la compattezza per essere la terza parte, quella "epica", per mantenere il parallelo con la "trilogia del dollaro" di Leone, della saga del Mariachi, come pare Quentin Tarantino avesse suggerito all'amico regista di impostare questo sequel. "C'era una volta in Messico è più di un terzo frammento della saga iniziata da El Mariachi", dice Rdriguez. "E' come la "parte quattro" della storia - solo che la parte tre non esiste. I flashback del film "fantasma", contengono scene con avventure inedite di Antonio e Salma [costruiti a posta per C'era una volta in Messico, ndr], che donano al film un'atmosfera più epica".
Poco divertente, inutilmente intricato e a volte perfino visivamente insoddisfacente proprio a causa della sua essenza di "porcellino d'india" sui limiti del digitale, C'era una volta in Messico rimane un esperimento sostanzialmente fallito. L'action che non c'era, la parte quarta che riassume in se stessa la parte terza che non ha mai preso completamente via autonoma, il sequel fantasma, perso nella performance di se stesso e nella frammentazione narrativa, privo del lineare, vibrante e paradossalmente elegante fascino ultracoatto che Desperado e Dal tramonta all'alba avevano confermato essere l'appassionata originalità del cinema più personale di Robert Rodriguez.