Martin Scorsese

Thelma Schoonmaker: behind Martin
di Adriano Ercolani



 
  Nella schiera delle grandi collaborazioni tecnico-artistiche che hanno segnato la storia del cinema americano contemporaneo, la coppia che ha prodotto il risultato estetico maggiormente importante e riconoscibile è quella composta dal regista Martin Scorsese e dalla montatrice Thelma Schoonmaker.
Il primo incontro tra i due ha già segnato da solo la storia del cinema mondiale: l’iperrealismo visivo e sonoro di Toro scatenato - datato 1980 - ha cambiato non soltanto il modo di concepire il montaggio all’interno del sistema industriale hollywoodiano, ma ha soprattutto segnato una svolta decisiva nel cinema di Scorsese. La matrice della precedente filmografia del regista, anche prima di allora, superava il semplice realismo per arrivare al post-moderno, ma questo era principalmente dovuto a precisissime scelte di regia e resa fotografica. Pensiamo a capolavori come Taxi driver e Mean Streets: la folgorante cadenza dei movimenti di macchina, la suggestione cromatica dei primi piani, a cui si può anche aggiungere l’uso espressionista della musica; questi gli stilemi principali del primo periodo del cinema di Scorsese. Con Toro scatenato si assiste invece ad un montaggio che per la prima volta compenetra e compone l’iperrealismo del film in maniera altrettanto fondamentale. In un certo senso, rispetto ai precedenti lungometraggi, il lavoro della Schoonmaker va contro la regia di Scorsese, arrivando a creare un risultato assolutamente innovativo: l’inquadratura, soprattutto quella in movimento, non viene assecondata nel suo pieno sviluppo temporale, ma viene invece frantumata, spezzata in un vortice successivamente ri-composto, oltre che dall’autore, anche dal ritmo serrato della Schoonmaker e dall’abbagliante bianco e nero di Michael Chapman. L’elegia visiva adesso si tramuta in una composizione che sfrutta al massimo tutte le componenti del mezzo-cinema; la grandezza di Toro scatenato sta nell’energia sprigionata da questo contrasto tra il movimento specifico dell’immagine/cinema e quello costruito dalla sua stessa frantumazione.
Dopo questa prima folgorante collaborazione, il percorso che ha legato Martin Scorsese e Thelma Schoonmaker ha prodotto altre opere di notevole valore, ma non in tutte si è creato un nuovo “equilibrio instabile” di così grande impatto; spesso, nella filmografia dell’autore, è capitato a nostro avviso che sia stata proprio la montatrice a rendere più efficace il materiale girato dal cineasta. Opere come il travagliato Gangs of New York danno secondo noi l’esatta idea di quanto sia stato importante il lavoro della Schoonmaker nel comporre le immagini del cinema di Scorsese: confuso, fortemente indeciso in fase di sceneggiatura, il film deve sicuramente la sua riuscita ad un grandioso lavoro di montaggio, che riesce per quanto possibile a sintetizzare tutto l’eterogeneo monstrum che lo script ha messo in cantiere; il ritmo impresso alla pellicola dalla Schoonmaker - vedi la straordinaria battaglia iniziale, o la sequenza al teatro cinese - riesce il più delle volte a far passare in secondo piano l’evidenza di una notevole fragilità narrativa. In altre occasioni invece, grazie anche alla solidità di storia e sceneggiatura, è stato a nostro avviso Martin Scorsese a creare una partitura visiva che potesse seguire al meglio l’idea espressionista di montaggio della sua collaboratrice; l’accaldato, bellissimo Al di là della vita non ha movimenti di macchina particolarmente ricercati, eppure è un’opera dotata di una regia dalla bellezza stordente: ogni immagine, surriscaldata anche dal forte cromatismo di Robert Richardson, sembra essere specificamente composta per essere inserita in un disegno preciso di ritmo visivo e sonoro. Anche Al di là della vita è un “film di montaggio”, ma che contiene in sé un’idea assolutamente più coerente e sviluppata dell’esempio portato in precedenza. In altre occasioni invece si ha l’impressione che sia stato l’operato della Schoonmaker ad assecondare maggiormente la suadenza e l’eleganza del cinema di Scorsese: i risultati maggiori sono stati ottenuti senza dubbio in capolavori come L’età dell’innocenza, L’ultima tentazione di Cristo o Fuori orario, ed anche in opere più esplicitamente “estetiche” come Kundun.
Ma il film che probabilmente ha segnato il punto più alto del duo dopo Toro scatenato è stato senza dubbio Quei bravi ragazzi, sinfonia che riesce ad abbinare senza soluzione di continuità un preciso realismo di base ad un istrionismo cinematografico senza precedenti. Sia Scorsese che la Schoonmaker danno il meglio di sé proprio nella “comunione della visione”: il ritmo mirabolante in Quei bravi ragazzi è dato sia dal movimento della mdp che dagli stacchi arditi; in più sono presenti nel film una serie di “esperimenti sintattici” di folgorante efficacia, soprattutto l’uso innovativo del frame-stop e quello ossessivo, impazzito della voce-off. La sola sequenza dell’ultima giornata di libertà del mafioso cocainomane e paranoico Ray Liotta/Henry Hill potrebbe rappresentare da sola l’espressione più alta della raggiunta maturità artistica del lavoro d’insieme fatto dai due.
Parlare dunque della grandezza, dell’importanza del cinema di Martin Scorsese senza tenere conto del contributo fondamentale di Thelma Schoonmaker sarebbe errore indiscutibile; altrettanto impossibile tentare di immaginare come si sarebbe evoluto il discorso cinematografico dell’autore senza l’appoggio della montatrice. Da Toro scatenato a Casinò, da Cape Fear a Re per una notte, ogni film a cui hanno partecipato insieme rappresenta un tentativo – a prescindere poi dal fatto che sia riuscito o no – di trovare una nuova soluzione estetica al rapporto tra messa in scena e costruzione finale del film, in poche parole tra regia e montaggio. Per capire a fondo la compenetrazione di idee e la perfezione raggiunta dal loro lavoro, basta forse vedere l’ultimo The Aviator, un biopic di quasi tre ore che neppure in una scena perde di ritmo narrativo: primo film assolutamente compiuto, in senso artistico, all’interno di un sistema produttivo sostenuto da grande budget - gli altri esempi più recenti sono Kundun e Gangs of New York - la cine-biografia di Howard Hughes dimostra ora la volontà di lavorare con l’epica dello spettacolo hollywoodiano ed insieme mantenere le linee estetiche portanti del proprio discorso cinematografico. La sfida di unire l’ampiezza dello spettacolo mainstream e le tematiche care all’autore ha portato in parte a dover modificare anche il lavoro di montaggio della Schoonmaker, qui molto più classico rispetto al solito. Eppure, il timing del film rimane assolutamente perfetto, concentrato sul fluire del racconto ma al tempo stesso molto più incisivo rispetto ad un qualunque prodotto del genere: la Schoonmaker, e con lei Scorsese, ha assecondato il diktat imposto da un simile progetto, ma vi ha imposto il proprio stile inconfutabile, rendendo The Aviator un’opera in cui sono contenute coerentemente due idee di cinema diverse, se non addirittura opposte: la suadenza classica del grande spettacolo che celebra Hollywood ed il suo potere mediatico, e l’aggressione estetica che caratterizza il miglior cinema della coppia Scorsese/Schoonmaker.