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Taxi driver
id., Usa, 1976
di Martin Scorsese, con Robert De Niro, Cybill Shepherd, Peter Boyle, Jodie Foster, Harvey Keitel

I riflessi della città
recensione di Luca Persiani



Travis Bickle non ha sonno.
Lavora dodici ore per notte, il giorno resta sveglio. Il taxi di Travis viene dalla nebbia dei tombini, un altro mondo. Bickle si porta dietro il fumo che viene dal sottosuolo anche quando si ferma al bar con i colleghi. Cosa riesce a vedere il taxi driver del mondo, offuscato dal peso della veglia perenne? Nulla: Travis non vede, si fissa su porzioni di spazio, su momenti dilatati, assorbe le bollicine d'aria di un bicchiere d'acqua con l'aspirina, la canna di una 44 magnum, le luci di uno, due, più semafori che gli rimbalzano sulla faccia e gliela colorano. Travis è solo, la città gli si impone, lo accerchia, gli vive addosso, gli entra nel taxi con i corpi più differenti. Tutti entrano nel taxi di Travis, quasi nessuno ne vediamo fisicamente uscire. Perché la vita degli altri rimane addosso a Travis, indesiderata, si aggira sulla sua giacca militare, nei suoi soldi, fra le dita che tende davanti agli occhi mentre guarda un film. Travis è al telefono, ma la mdp lo abbandona fuori campo per mostrarci un corridoio vuoto, al termine una porta che mostra il traffico della strada. Perché fuori, intorno, c'è la città che scorre malgrado lui, scorre sulla solitudine di Travis, piena di cose marce e fredde, di candidati alle elezioni senza testa, di donne senza nulla dentro, di innocente pornografia.
Dopo che tutto questo è esploso finalmente fuori, ha macchiato la realtà cupa e inerte del sangue mischiato di vendicatore e carnefici, dopo che Betsy è salita sul taxi e Bickle non le ha fatto pagare la corsa, dallo specchietto retrovisore Travis sembra vedere qualcosa che lo fa sussultare.
Ma non è che un riflesso nel frame del vetro, che si confonde con tutti gli altri riflessi della città fuori fuoco.
Luci sfocate di strade sporche, indistinte ma dolorosamente precise, da cui la realtà salta fuori intensissima, scatenata dalla precisione con cui la macchina da presa accetta di riprendere queste immagini indefinite, sgranate come la pellicola che racconta l'abbraccio affettuoso ed osceno di un pappone e della sua piccola prostituta.