Al di là della vita

Vivere e morire a New York
di Stefano Finesi

 
  Bringing out the dead, USA, 1999
di Martin Scorsese, con Nicolas Cage, Patricia Arquette, John Goodman, Ving Rhames, Tom Sizemore


Tutto ciò che è creato oltre i limiti della sofferenza umana, funziona come un boomerang e reca distruzione. A notte le strade di New York riflettono la crocifissione e la morte di Cristo.
Henry Miller, “Tropico del Capricorno”

I marciapiedi newyorkesi che traboccano di storie disperate, un occhio esterno che ne attraversa il dramma in cerca di una possibile redenzione, una donna perduta da salvare, la violenza sopra tutto, sempre, unico mezzo di espressione e comunicazione di un mondo in sfacelo. La tentazione di gridare al Taxi Driver vent’anni dopo è ovviamente forte ma fuorviante: il tandem Schrader-Scorsese con Al di là della vita si riaggiorna, rinnova una collaborazione quanto mai complessa e sempre in fruttuoso equilibrio tra due visioni (del mondo e del cinema) capaci di interagire pur nella loro profonda diversità.

Le notti bianche
Frank-Nicholas Cage fa il paramedico e trascorre le notti in ambulanza a Hell’s kitchen “bringing out the dead”, trasportando cadaveri: malgrado la solita furbizia del titolo italiano (di ispirazione languido-spiritualista, tipo il coevo Al di là dei Sogni), è la morte che è in gioco e quello che sta al di qua della vita quando con la morte si deve lottare tutti i giorni. Frank è ossessionato dal proprio lavoro perché continuamente tra le sue mani le persone vivono e muoiono, trasformandolo di volta in volta in un dio benevolo e potente capace di soffiare di nuovo la vita nei loro corpi o in un uomo meschino costretto a confrontarsi con l’ineluttabilità della morte: i cadaveri così ristagnano nella mente, si trascinano nello spazio improvviso e soffocante di un’allucinazione, fino a volte a diventare visione ininterrotta.
Frank è un visionario. La sua ossessione altera con forza la realtà, quella della disperazione urbana che scorre davanti ai finestrini dell’ambulanza e quella dell’ospedale di Nostra Signora della Miseria dove i dannati della strada sono traghettati a scontare nel dolore il loro peccato d’emarginazione: ogni passante per Frank si trasfigura in Rose, la giovane ragazza che gli è morta per prima fra le braccia e ribadisce un interrogativo (perché la morte?) a cui non si può dare risposta; intanto nell’ospedale un vecchio in coma, in continua rianimazione da un infarto dietro l’altro, sembra guardarlo ogni volta negli occhi per implorargli di staccare il respiratore.
L’accettazione del proprio ruolo diventa così problematica e non a caso i tre colleghi che si alternano al fianco di Frank nei turni di notte hanno imparato ad esorcizzare la paura in diversi modi: l’Indifferenza di Larry, il Misticismo di Marcus, la Violenza di Tom. Ognuno allontana lo sguardo dalle proprie responsabilità, mentre Frank lo ostina fino a moltiplicarlo nei sogni e nelle allucinazioni in cui il senso di colpa e la percezione di una dolorosa impotenza prendono forme inquietanti: egli intuisce la sua missione e la sua necessità ma ne è schiacciato.

L’engagement total
Prima di mettermi a scrivere Taxi Driver ho riletto “La Nausea” di Sartre, perché vedevo lo script come un tentativo di prendere il protagonista esistenziale europeo e di trasportarlo in un contesto americano”. La vecchia dichiarazione di Paul Schrader è importante non solo per comprendere il percorso tormentato di Travis Bickle nell’impulso distruttivo/autodistruttivo che ne avvia la tragedia urbana, ma per iniziare a mettere a fuoco l’esistenzialismo francese come una delle componenti fondamentali della cultura di Schrader, letteraria e cinematografica (non è casuale l’amore per Bresson). La percezione della nuda esistenza, slegata da qualsiasi vincolo di finalità che le viene sovrapposto, è la drammatica prerogativa dell’eroe esistenzialista, il quale ardisce al confronto con il vuoto consistere di una realtà “troppo reale” nella sua assoluta purezza. Lo smarrimento, la solitudine e l’annientamento di sé (o dell’altro, nel caso dell’ingenuo taxi driver che confonde il suo bersaglio) sono la più diretta conseguenza di tale consapevolezza. Ma l’eroe, superata la crisi, può arrivare per questo a sobbarcarsi l’impegno gravoso ma vitale della libertà, un’infinita, terribile libertà che diventa sinonimo di impegno e azione totale, senza remore.
Anche Frank in Al di là della vita deve accettare pienamente il suo ruolo, raggiungere il suo engagement total, il suo impegno totale. Un’accettazione non facile, disseminata di incidenti di percorso e di incertezze sulla natura e giustizia della propria missione: tenere tra le mani, ogni notte, la vita e la morte degli uomini.

Le tentazioni della libertà
L’engagement di Frank passa però attraverso strade diverse, la sua visione non è quella spoglia della paradossale purezza dell’esistenza ma è distorta e allucinatoria, produce un sovrappiù di immagini che alterano la realtà. Ma soprattutto è possibile scorgervi una componente messianica che va a innestarsi visibilmente sulla scelta dell’eroe. Tentando ancora di tracciare una mappa possibile dei rimandi culturali che brulicano sotto questo Al di là della vita, si arriva necessariamente alla religione come campo di incontro e scontro per Schrader e Scorsese, religione intesa ovviamente non come apparato parrocchiale bensì come capacità di ricondurre gli eventi in una prospettiva religiosa, mutuandone categorie e traiettorie. Il primo ha radici protestanti, il secondo cattoliche e non è un caso che l’altro film scritto da Schrader per Scorsese, oltre quest’ultimo e Taxi Driver, sia proprio L’ultima tentazione di Cristo.
Il loro Cristo (tratto dal romanzo di Kazantzakis), che ha fatto infiammare i fondamentalisti di tutto il mondo, semplicemente non è consapevole della propria missione se non a un livello superficialmente intuitivo: il film racconta una presa di coscienza difficile, fino all’ultima scelta, il rifiuto della tentazione di avere una vita normale come qualsiasi altro uomo. E’ difficile avventurarsi, se non in modo estremamente riduttivo, per un argomento complesso come quello delle differenze tra protestantesimo e cattolicesimo, ma la linea più forte di demarcazione riguarda il problema della predestinazione opposta al libero arbitrio: sopra gli eroi di Schrader e Scorsese, collocati all’incrocio di due diverse visioni, aleggia il senso remoto di una missione, una direzione necessaria in cui la loro vita sembra incanalarsi, eppure non ci sono mai scelte limpide e guidate, bensì il tormento, le tentazioni e i ripensamenti di una terribile libertà.

Tutto è compiuto
Un’alchimia sempre nuova, dicevamo all’inizio, causa spesso di una strana schizofrenia e dell’impossibilità della creazione di un percorso univoco. Lo scrittore e il regista mescolano le loro ossessioni, le confondono e le traducono in suggestioni altalenanti; anche rispetto allo stile, il freddo e quasi ascetico rigore di Schrader viene il più delle volte disinnescato dalle capacità pirotecniche della cinepresa di Scorsese, dal loro dinamismo nervoso e caldo. Esistenzialismo, protestantesimo e cattolicesimo sono le coordinate spirituali a cui inevitabilmente bisogna ricondurre Al di là della vita, anch’esso sospeso tra messianesimo e dramma del libero arbitrio, tra bisogno di libertà e terrore di raggiungerla: è la storia di una scelta e della sua sofferenza.
Fin dall’inizio del film incombe sul protagonista lo spettro dell’anziano in coma, salvato da Frank quand’era in fin di vita e ora scosso ininterrottamente da infarti quasi letali. Frank inizia a frequentarne la figlia, Mary, reduce disincantata da un passato di droga, con cui parla nelle lunghe notti nella sala d’attesa del pronto soccorso. Quando questa torna a impasticcarsi in una bieca “casa del sonno” Frank prima ci casca lui stesso, concedendosi dietro consiglio dello spacciatore l’oblio di un allucinogeno (e sognando la resurrezione dei “suoi” morti, tirati su dai marciapiedi), poi riprende coscienza e trascina via Mary con sé. Tornerà nel locale solo per salvare, come paramedico, quello stesso spacciatore, superstite accidentale di una strage che non ha risparmiato nessuno degli avventori. La tentazione, quella della droga come tentativo di distogliere lo sguardo dal suo dramma quotidiano, è sconfitta; il nemico (a differenza dello spacciatore-magnaccia di Taxi Driver) è perdonato e salvato. Non resta che la scelta finale, definitiva: Frank decide di staccare il respiratore al padre di Mary, come questo gli implorava nelle sue visioni.
Decidendo consapevolmente della morte di un uomo, non più subendola in una passiva disperazione, Frank ritrova la pace, riesce finalmente ad accettare il proprio ruolo di mediatore tra vita e morte, di cui ha scoperto una più serena contiguità. Tentazione, redenzione, salvezza, superamento della vita e della morte. Scorsese ha trasformato chiaramente le turbolente notti di un paramedico in una specie di parabola cristologica. Frank va da Mary per avvisarla della morte del padre e questa le appare con il volto di Rose, che stavolta però gli offre il perdono e il sollievo dal senso di colpa: a Frank non rimane che abbandonarsi tra le braccia della sua Maria e comporre una dolente Pietà.