Tu la conosci Claudia?
Forse non interessa
conoscere Claudia
di Simona M. Frigerio

 
  Italia, 2004
di Massimo Venier, con Aldo, Giovanni e Giacomo, Paola Cortellesi, Sandra Ceccarelli, Ottavia Piccolo, Rossy de Palma e Marco Messeri


Nelle note di regia di Massimo Venier si possono trovare alcuni punti interessanti dai quali partire per recensire il suo ultimo film. Innanzi tutto il regista si difende a priori dai pregiudizi degli intellettuali nei confronti dei comici, quasi che temesse talmente la parola del critico da stigmatizzarne in partenza il giudizio come precostituito. Quindi, non credendo molto nelle capacità attoriali dei tre protagonisti, precisa che “Aldo, Giovanni e Giacomo non sono attori”, bensì “maschere, che devono solo far ridere”, mentre “la storia è solamente un pretesto”. Continua, sottostimando la propria abilità registica e il lavoro degli sceneggiatori con affermazioni quali: “le cose più belle sono quelle improvvisate… meno tempo ci si mette e meglio è… l’unica cosa importante è che si vedano bene in faccia”. Quindi, conclude affermando che i tre comici sono esenti da volgarità e stupidità e che posseggono una “dignitosa tristezza” - mi permetto sempre di citare testualmente - che il regista si compiace di trovare “bella”.
Fin qui le premesse per un film che esce a Natale e che potrebbe definirsi la “risposta milanese al prodotto romano” della coppia De Sica/Boldi. Si pretende che ci si trovi di fronte a un lavoro gradevole, carino - come è stato definito da molti critici presenti oggi in sala alla proiezione per la stampa - scevro dalla battuta scontata e dalla cafonaggine che spesso si accompagnano a comici e soubrette.
Ma, al di là degli intenti, che genere di film è Tu la conosci Claudia? ?
A dispetto delle asserzioni del regista, risulta innanzi tutto un film meglio costruito dei precedenti, la sceneggiatura è abbastanza solida e il gioco con lo spettatore è più esplicito ma meglio motivato. A differenza del film nel film in Così è la Vita o della trovata metateatrale totalmente gratuita di Chiedimi se sono Felice, in questa pellicola non stonano affatto né la voce fuori campo né il ricorso al flash-back per introdurre il racconto - forse perché queste sono tecniche oramai entrate stabilmente nel lessico cinematografico e sicuramente in quanto giustificate dal contesto rappresentato.
Aldo, Giovanni e Giacomo, inoltre, dimostrano di avere maggiori capacità interpretative di quanto sembra aspettarsi il regista. Giovanni, soprattutto, tenta di costruire un personaggio meno macchiettistico e dotato di maggiori sfaccettature, nonostante alcune cadute di gusto che, a volte, lo riportano al cabaret quando è evidente il tentativo di discostarsene. La regia di Venier non è lasciata al caso ma - tutto il contrario di quanto affermato - si possono notare scelte tecniche precise e collaboratori in sintonia: l’ambientazione è curata - anche se la casa colonica in Toscana è oramai un must -, l’uso del suono è efficace, vi è sagacia nella scelta della profondità di campo e una certa ricercatezza nelle panoramiche della città. Infine, per quanto riguarda gli altri interpreti, Paola Cortellesi - splendida co-protagonista de Il posto dell’anima - riesce a dare spessore al proprio personaggio e il cameo di Ottavia Piccolo risulta godibilissimo.
A questo punto si potrebbe concludere che è un film carino, adatto alle famiglie e che si concilia perfettamente con il clima natalizio. Eppure qualcosa non torna, rendendo necessario un passo indietro.
Innanzitutto concentriamoci sulla sceneggiatura: ancora una volta ci troviamo di fronte alle avventure sentimentali di Giovanni e, al suo, fianco, invece di Marina Massironi, incontriamo Paola Cortellesi. Alcune gag ritornano pedissequamente: il ghisa è onnipresente, la scena dei tre amici in auto non poteva mancare, la caduta di gusto con la battuta sui Testimoni di Geova anche, come la passione degli italiani per il calcio e per lo scherzo maligno, il finto tafferuglio e una serie di scenette scritte a tavolino per dar modo ai tre comici di sbizzarrirsi nel solito calembour di battute e mezze frasi. Ogni tanto qualche sprazzo di lucidità sembra affiorare, come nel godibilissimo finale, ma, nel complesso, si trattiene a stento, dietro al sorriso buonista-natalizio, un sonoro: “e chi se ne frega di Giovanni e della moglie?”
Però bisogna tenere in debito conto che Venier sostiene essere la storia un mero pretesto e che l’importante è ridere. Ma si ride davvero? A qualche battuta certamente, ma più spesso si sorride con condiscendenza. Torna alla mente prepotentemente quell’aggettivo: carino. Niente a che fare con le risate liberatorie provocate dai migliori brani di Jerry Lewis o di Stan Laurel e Oliver Hardy, e tanto meno possiamo scomodare i fratelli Marx. Eppure il regista afferma che Aldo, Giovanni e Giacomo non sono attori, bensì maschere. Perché quindi non riescono a farci piangere dalle risate? Perché la loro “allegra malinconia” - continuando a parafrasare il regista - ci impedisce di godere appieno di gag e battute? Ma quando mai la povertà di Arlecchino ha impedito allo spettatore di ridere delle sonore legnate che lo stesso si prendeva ogniqualvolta rubava o commetteva qualche scelleratezza? Perché i tre non sono certamente i tipi fissi della commedia antica e nemmeno di quella dell’arte, non sono maschere, tanto è vero che è visibile il tentativo di distaccarsi dal cabaret e costruire personaggi più complessi e duttili e, proprio in questo tentativo, si sente inevitabilmente il limite della manovra. Comico e attore non sono un ossimoro, come crede Venier, lo hanno dimostrato i Sordi, i Manfredi, persino il Totò drammatico nelle mani sapienti di Pasolini. Aldo, Giovanni e Giacomo sono dei cabarettisti prestati al cinema e che, grazie a un battage pubblicitario considerevole e a un’oculata scelta di marketing, riescono a ottenere una distribuzione che in Italia è riservata solamente ad alcune produzioni statunitensi.
Il film, confezionato appositamente per il clima natalizio che, chissà perché, abbisogna di risate con cui condire le insipide serate televisive, non fustiga i costumi degli italiani, non critica al vetriolo vizi e manie, nemmeno denuncia piccolezze e abusi. Sono lontanissimi i tempi in cui la commedia all’italiana era calata nella realtà d’ogni giorno, ovvero era un ridere con intelligenza. Il regista preferisce ridicolizzare i critici respingendone in anticipo le perplessità, e in tempi in cui la satira ha abbandonato la televisione, è triste vedere che nessuno pensi di proporla almeno in un film.
Se il cinema italiano fosse una macchina produttiva, efficiente come quella statunitense - e non solo - le stesse tecniche utilizzate per questo lavoro, potrebbero servire a distribuire con efficacia piccoli gioielli della nostra cinematografia che passano quasi inosservati. Quanti spettatori sono riusciti a godersi Almost Blue di Infascelli, piuttosto che il recentissimo Occhi di Cristallo o, ancora, Evilenko? Per non parlare di opere forse più fortunate, quali Il posto dell’Anima o Fame Chimica?
Spesso si dice che sono gli spettatori a decretare il successo di un film, ma non è vero. Vero è che una buona campagna di marketing, una solida rete distributiva e l’intelligenza nella programmazione dell’uscita permettono a film mediocri di incassare milioni di euro e ad altri, validi, dignitosi, egregi o persino ottimi, di scomparire senza lasciare traccia.
Il consiglio è quindi di non spendere 7 euro e 50 per un film di un’ora e venti che sarà sicuramente perfetto per la programmazione televisiva, dove, grazie alla pubblicità, sembrerà perfino eccessivamente lungo. Il consiglio natalizio è di cercare in cassetta qualche film che vi siete perduti e, al massimo, tra qualche mese, dopo una bella cena con gli amici, noleggiare l’ultimo Aldo, Giovanni e Giacomo a 3 euro e 50, giusto per farvi qualche risata davanti a un bicchiere di vino o mentre vi accalorate con una partita di Risiko.