la Marcia dei pinguini

Un viaggio d’amore
di Elisa Sacchi

 
  la Marche de l'empereur, Francia, 2005
di Luc Jacquet, con la voce di Rosario Fiorello


Attualmente disseminati nella circonferenza del continente antartico, in particolare nella terra di Adélie, i pinguini abitano i mari del sud da più di 50 milioni di anni, ostinati a rimanere lì dove sono nati anche i loro padri. Uno straordinario esempio di attaccamento alle proprie origini studiato e portato sullo schermo da Luc Jacquet, il regista biologo, che insieme a una troupe di 28 persone è riuscito a raccontare una storia affascinante come quella dei pinguini imperatore con il tono della favola e non del trattato scientifico.
Affascinato dallo stile di vita di una delle rare specie viventi in un luogo ostile dove il bianco dei ghiacci regna sovrano, Jacquet si è trasferito per un anno in Antartide, nei pressi della base scientifica Dumont d’Urville, lavorando a - 40 gradi sotto il tiro dei venti catabatici, che arrivano a soffiare fino a 150 km/h.
Il risultato sono 120 ore di immagini, ma il film documentario la Marcia dei pinguini dura molto meno, circa 80 minuti di successo insperato. Partito un po’ in sordina infatti, ha letteralmente sbancato al botteghino, superando in molti paesi gli incassi dei due film più attesi della stagione, la Guerra dei mondi della coppia Spielberg-Cruise e Batman Begins di Christopher Nolan, ed arrivando ad essere distribuito persino in Cina.
È difficile classificare il film in un genere preciso, in quanto si tratta in realtà un prodotto trasversale, e forse questo è uno dei motivi per cui è piaciuto tanto anche al di fuori della comunità scientifica. Il film di Luc Jacquet ha in comune con il genere del documentario naturalistico l’oggetto di analisi e la precisione scientifica con cui viene spiegato: ovvero il periodo e le modalità riproduttive dei pinguini imperatore, che ovunque si trovino intraprendono contemporaneamente ogni anno un viaggio verso l’Oamok, un luogo sicuro e protetto in cui ogni esemplare cerca il proprio compagno, si accoppia e si alterna prima covando e poi accudendo un unico uovo fino alla nascita del piccolo in primavera. In sostanza una storia vera, che assume però a tratti anche le tinte della commedia e del dramma perché, come si sa, i pinguini sono degli animali buffi per via del loro modo goffo di muoversi e, come non si sa, sono molto solidali tra loro, affettuosi ed hanno uno straordinario senso della famiglia, ma sono anche soggetti ad una selezione naturale spietata.
Il film mostra tutto questo con l’occhio neutrale della macchina da presa del biologo, ma anche con grande poesia, riuscendo a suscitare un profondo senso di empatia verso questi animali, lontani da noi fisicamente, così come dal nostro immaginario.
Luc Jacquet lo ha fatto trovando una via personale al genere del documentario, che da qualche anno è tornato a imporsi sul grande schermo con temi politici, naturalistici e più recentemente di satira. Il registro scelto da Jacquet è quello della favola. Un narratore esterno infatti introduce lo spettatore nella storia dei pinguini imperatore e del loro viaggio d’amore, prestando a tratti la voce ai protagonisti. Nel doppiaggio italiano questo ruolo è stato affidato a Rosario Fiorello con esiti tutto sommato positivi, eccetto l’imitazione della voce dei cuccioli, che si annovera nel filone delle brutte copie di Paolo Villaggio in Senti chi parla.
Unico trascurabile neo di un film riuscito e sussurrato, che coccola dolcemente lo spettatore dall’inizio alla fine, grazie anche a una straordinaria colonna sonora composta ad hoc da Emilie Simon.