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Juno
id., Usa / Canada / Ungheria, 2007
di Jason Reitman, con Ellen Page, Michael Cera, Jennifer Garner, Jason Bateman, Allison Janney, J.K. Simmons

Doppia visione
recensioni di Fiorella Pierini e Adriano Ercolani



Juno is a punk rocker
di Fiorella Pierini

Tutto cominciò con una poltrona, un viso angelico, lo spirito libero e la lingua tagliente di una punk-rocker e una gravidanza inattesa da gestire.
Juno McGuff è una ragazza di sedici anni che prende in mano la propria vita con una determinazione sempre al limite con la leggerezza e un piglio volitivo al confine con la sfontatezza. Juno è una commedia brillante, la storia di un piccolo prodotto indipendente volato agli Oscar, di un film nato dall'incontro tra la scrittura vivace della rivelazione Diablo Cody, l'humor di Jason Reitmain (figlio d'arte del regista dei Ghostbusters) ed il talento della giovanissima attrice canadese Ellen Page.
Questo film è una favola: prima ancora di quella narrata sullo schermo, è infatti la favola made in USA della sua sceneggiatrice, una vera e propria parabola degna del sogno americano.
La trentenne Diablo Cody, ex-spogliarellista e telefonista di una hot-line, è stata scoperta per puro caso da uno dei produttori del film che, incappato tra le pagine del suo blog, è rimasto conquistato dalla scrittura cinica e contemporanea che ha poi condotto questa sceneggiatrice esordiente alla vittoria dell'Oscar.
E' esattamente questo tipo di scrittura che conferisce all'eroina del film una vitalità ed un'originalità fuori dal comune, capaci di contagiare le persone che le stanno intorno (di cui lei spesso dispone con un atteggiamento deliziosamente dittatoriale) e di conquistare immediatamente il pubblico più vario.
Il ritratto di questa ragazza rock e autarchica, però, non offre uno spaccato realistico della sua generazione. Juno indossa un nome mitologico e infatti (purtroppo) non è una vera adolescente; è piuttosto l'incarnazione di un idolo, il simbolo surreale di un modo di crescere, di essere contro, di essere responsabili attivi della propria vita.
Questa favola cinematografica ha per protagonista un'outsider troppo consapevole e spigliata, troppo colta e matura per avere solo sedici anni. Difficile incontrarne per davvero di adolescenti che a scuola non si curino di essere guardate male o emarginate, fiere di avere per migliore amico o per ragazzo uno “sfigato” come Paulie Bleeker, o più in generale tanto libere da disporre con una spiccata e istintiva coscienza del proprio destino.
Pur non vivendo in un mondo senza problemi (la famiglia McGuff è divisa e non certo facoltosa) Juno ha la forza e la prontezza di accettare e fronteggiare gli ostacoli e i limiti della propria condizione, riflettendo sulle proprie capacità ed operando scelte coerenti. La decisione che questa ragazza incinta prende è una decisione dura e dolorosa, eppure il senso di sacrificio, il terrore della perdita, lo smarrimento, sembrano essere per lei quasi impercettibili se paragonati al risultato: il futuro migliore di un bambino non ancora nato e la felicità di una donna privata della gioia di avere dei figli propri; un'equazione però, troppo semplice per descrivere la realtà del mondo.
La storia di Juno è ben lontana, infatti, dall'essere un esempio di rettitudine antiabortista o pietas cristiana, e non andrebbe assolutamente strumentalizzata in tal senso. Il film rimane una commedia, surreale e leggera e, legittimamente, dei tanti temi accarezzati durante il suo svolgimento il regista decide di non approfondirne nessuno in particolare.
La nostra eroina non vuole cambiare il mondo degli altri, ma semplicemente vivere, appassionata e libera da etichette, la propria crescita e la propria particolarità.
La traccia ulteriore di un'identità originale, in questo film come in altri piccoli capolavori del nuovo cinema shoegazer (da Little Miss Sunshine, a School of Rock, ai film di Wes Anderson), viene data da una meravigliosa colonna sonora. In Juno la narrazione è scandita da classici rock e indie (da Lou Reed ai Belle & Sebastian o Cat Power), affiancati a canzoni originali create dall'eccentrica Kimya Dawson (ex-componente del gruppo low-fi The Moldy Peaches).
Insomma questa deliziosa commedia sarà apprezzata con gusto maggiore da chi suona uno strumento musicale, da chi almeno in adolescenza aveva una band, da chi si batte per difendere la dignità di film di genere horror e splatter, da chi ha bisogno di qualche consiglio ed ancora un po' di tempo prima di decidere di crescere, da chi adora Melvins, Stooges o Sonic Youth.

In quest'accolita di appassionati “per mestiere” rientrano i membri dell'associazione AIACE di Torino (Associazione Italiana Amici del Cinema d'Essai) che, in occasione dei festeggiamenti per i quarant'anni di attività, hanno scelto tra le varie iniziative di regalare a Torino una proiezione in anteprima di questo piccolo cult. Grazie a nome di Off-Screen.


Un giorno tornerai qui alle tue condizioni
di Adriano Ercolani

Mac MacGuff conosce sua figlia Juno, e capisce il momento che sta attraversando. Percepisce con grande sensibilità il periodo di sbandamento di una sedicenne che non aveva previsto di rimanere incinta, ma al tempo stesso scorge in lei la determinazione e la presenza d’animo di chi in fieri conosce sé stesso, sa che tipo di persona è, e si muoverà verso il futuro con coerenza e lucidità. “Un giorno tornerai qui alle tue condizioni” le dice su letto d’ospedale, confermandole un qualcosa che lei già sa. Questa frase è il centro nevralgico del lungometraggio, il momento in cui non solo la giovane adolescente, ma tutta la famiglia trova la definitiva coesione interna ed in qualche modo proietta Juno verso il suo futuro, che anche se ancora oscuro sarà comunque quello che lei avrà deciso di scegliere.
È bene ribadire l’essenza della protagonista: a sedici anni è la cosa più difficile del mondo sapere che tipo di persona si andrà ad essere, ma si può lo stesso intuirlo: la bellezza del personaggio di Juno sta proprio in questa potenzialità che lei vive nella sua interezza; è rimasta appunto spiazzata dalla sua gravidanza inattesa, ne subisce la portata destabilizzante, ma proprio per questo si aggrappa a sé stessa con tutta la sua forza, perché sa che dietro la sua età acerba e le incertezze che essa comporta ci sono i prodromi della donna capace di affrontare la vita con la giusta dose di ironia e presenza di spirito.
Il primo merito di Juno sta nella sottile verità della sceneggiatura di Diablo Cody, che racconta con amore cose semplicissime con una profondità psicologica ma soprattutto emotiva del tutto inusitate. Il secondo merito va a Jason Reitman, che per questa storia minimalista imposta una messa in scena altrettanto semplice, ma assolutamente attenta all’importanza dei dettagli, delle piccole cose che caratterizzano le persone. Dopo il tagliente, scoppiettante Thank You for Smoking questo cineasta - ma si può a nostro avviso già parlare di autore - dimostra di saper padroneggiare con sapienza tutti i toni della commedia, sia essa orientata verso le situazioni che verso i toni.
Terzo e più prezioso merito di Juno è infine il cast di attori, composto di una serie di volti che subito diventano persone, caratteri, personalità coerenti sia nella oro individualità che nel collettivo, in particolar modo quello familiare. Al timone una Ellen Page perfetta, briosa, “tosta” ed insieme fragilissima: un’attrice capace di delineare uno stato d’animo attraverso uno sguardo mancato, un gesto inatteso; basta guardare la scena rapida ma significativa con cui prova ad impiccarsi con la gomma da masticare…
Se però le “eroine” Ellen Page e Diablo Cody sono state già ampiamente osannate dai media internazionali, noi vogliamo invece accomunare in un unico applauso tutti i caratteristi di contorno, a partire dalla coppia di genitori Allison Janney e J.K.Simmons; lei magnifica interprete televisiva di the West Wing, lui istrionico Jonah Jameson nella trilogia di Spider-Man.
Se proprio si vuole trovare una lieve pecca in Juno forse può essere riscontrata nella lieve ostentazione con cui vuole dimostrare di essere un prodotto “indie” ad ogni costo. Ma forse tale affermazione è dettata più dall’aver visto molto, troppo cinema forzatamente indipendente piuttosto che da un’endemica mancanza di questa pellicola. Per il resto, il film di Reitman è un gioiello lavorato con estrema finezza, elaborato nelle sue componenti con la linearità e la semplicità di chi sa fare cinema capace di arrivare la cuore della gente. Da non perdere.