Torino Film Festival 24 - 2006

I generi e gli autori
di Piero D’Ascanio

 
  ^ Bug, di William Friedkin

Giunto alla sua ventiquattresima edizione, la terza diretta dal fortunato duo Turigliatto - D’Agnolo Vallan – coraggiosi eredi del ventennale lavoro di Steve Della Casa – il TorinoFilmFest conferma il suo specifico di “vera” festa del cinema, perfetta sintesi tra lavoro di ricerca e sperimentazione e opera di diffusione di grandi del passato (americano, soprattutto). In questo, fatte salve le inevitabili sfumature, è riconoscibilissimo il rispettivo apporto delle due anime organizzatrici della rassegna, quella più “underground” di Roberto Turigliatto e quella invece maggiormente classica e “mainstream” rappresentata dall’illustre - per il suo lavoro di approfondimento sulla Vecchia e Nuova Hollywood - Giulia D’Agnolo. Quest’anno, inoltre, il TFF ha potuto cavalcare l’onda dello straordinario successo avuto nel 2005 dalla serie Masters of Horror, proponendone la seconda edizione, patrocinata e prodotta da Mick Garris, ancora come fiore all’occhiello della splendida sezione “Americana”, vera carta vincente del Fest, con le sue succose anteprime del nuovo e nuovissimo cinema statunitense: tanto per intenderci, vanno ascritti tra le passate scoperte della sezione talenti ormai affermati come il Terry Zwigoff di Ghost World, l’Alexander Payne di Sideways e il Richard Kelly di Donnie Darko e Southland Tales. Nell’edizione appena conclusasi, “Americana” ha offerto al suo affezionato pubblico innanzitutto la piacevole conferma della Mary Harron di American Psycho, qui con il suo nuovo, interessantissimo the Notorious Bettie Page, omaggio gustosamente “fifty” della più famosa pin-up della storia; inoltre, ha proposto in anteprima italiana i nuovi, bellissimi lavori di William Friedkin e Walter Hill, già numi tutelari del Fest; il diabolico Bill ha sfiorato, con Bug, quel capolavoro che manca ormai da tempo (ma tra i suoi recenti ci sono grandi film), mentre l’intramontabile Walter ci ha regalato con Broken Trail una commovente elegia western di tre ore – uscirà per la TV in due puntate – che ha conquistato i molti “aficionados”del genere presenti in sala.
Uscendo dall’ambito di “Americana”, una delle personali è stata ancora dedicata a Claude Chabrol, autore al quale il Fest ha consacrato due edizioni, componendo così, al solito, una retrospettiva che più completa non si potrebbe; l’altro grande omaggio è stato in onore dell’indimenticato Robert Aldrich, del quale si sono potuti ammirare i capolavori spesso in copie restaurate, come nel caso dei due fondamentali Nessuna pietà per Ulzana e l’Imperatore del Nord, presentato quest’ultimo nientemeno che dagli stessi Ernest Borgnine e Keith Carradine; anche le altre copie, comunque, rigorosamente in pellicola (salvo imprevisti dell’ultimo minuto), e quasi sempre in ottime condizioni.
Altri omaggi sono stati dedicati al settantenne autore catalano Joaquin Jordà e ai documentari di Piero Bargellini, dando così modo al pubblico di ammirare pellicole sicuramente di difficile reperibilità (e il TFF si è avvalso, proprio per questo, delle preziose collaborazioni di enti come la Cineteca Nazionale, il Museo del Cinema di Torino e il Filmstudio di Roma).
Ma l’omaggio più gustoso e imprevedibile – questo da inquadrarsi ancora nall’ambito di “Americana”- è stato quello all’opera “sexploitation” di Joe Sarno, con piccoli capolavori soft-core come the Bed and How To Make It ed Abigail Leslie is back in town!, spregiudicati inni ad una sessualità libera ed eversiva; opere, queste di Sarno, non esenti da indiscutibili pregi stilistici, quali la fotografia contrastata e “realistica”, il montaggio calibrato, la sensibilità psicologica per i caratteri in gioco.
Entrando più nel cuore della rassegna, è nella sezione “Fuori concorso” che il TFF si è giocato i cavalli migliori: ad aprire il Fest è stato infatti nientemeno che Flags of our Fathers di Clint Eastwood – del quale solo a Torino si è potuto ammirare, nel 2003, il bellissimo Piano Blues - e la selezione ha offerto nel corso delle giornate anche la Marie Antoinette di Sofia Coppola; inoltre, si sono potuti vedere in anteprima gli ultimi lavori di Johnnie To e Guillermo Del Toro, Election 2 ed il Labirinto del Fauno, entrambi, per motivi diversi, assolutamente da non perdere (raccomandazione valida soprattutto per l’imprevedibile e bizzarra opera di Del Toro).
Sempre attenta la selezione per il Concorso lungometraggi e cortometraggi; del resto, e val la pena ricordarlo, il Festival della Mole nasce 24 anni fa proprio come ambito di ricerca di giovani talenti (in questo, è meritorio il lavoro dell’Associazione Cinema Giovani, presidente Gianni Rondolino); da notare, nell’edizione che ha appena chiuso i battenti, la sempre maggiore attenzione per il cinema di “non-fiction”, in tutte le sue variegatissime sfumature; d’altro canto, peccato: sembra che gli “storyteller” in circolazione siano sempre meno.
L’ultima considerazione vorremmo dedicarla ad un dato solo in apparenza tecnico: di tutto il materiale che chi era a Torino ha avuto la fortuna di vedere, la maggior parte era stato girato, o proiettato, in alta definizione. Non siamo detrattori del digitale, beninteso; non potremmo mai nemmeno far finta d’esserlo, e il Broken Trail di Hill è un gran film anche in HD. Ma un’immagine fotochimica resta tale, e non ci vengano mai a dire che i nuovi standard valgano la resa dei 35 millimetri, perché semplicemente non è vero. Nessuna polemica, in questo – come potremmo parlando del Festival che garantisce al pubblico e ai tanti accreditati il miglior apporto organizzativo e logistico del momento –, solo la speranza di poter continuare a vedere i film al cinema, prima che in TV, e preferibilmente sul loro supporto di origine.