omaggio a Frank Sinatra
The memory of all that…
di Giovanni Taddeo

 
 
1. L’occasione
Il più recente cinema americano vive ancora di ricordi. Un’età dell’oro, felice e innocente (almeno così Hollywood la racconta al mondo), ritorna a splendere nei remake di film, come Ocean’s Eleven (2001) di Steven Soderbergh e nel revival musicale della colonna sonora di film, come Prova a prendermi (2002) di Steven Spielberg, oppure Una hostess tra le nuvole (2003) di Bruno Barreto. All’interno di questa rete di riferimenti (cinema, moda, musica leggera), un posto d’onore spetta al cantante e attore Frank Sinatra (1915-1998). Nella sua carriera a Hollywood, ma ancor più nel mito sociale che la sua vita resa pubblica dai mass media ha diffuso, Sinatra rimane una figura centrale della cultura di massa statunitense.

2. L’attore
Sinatra esordisce nel cinema nel 1941 e, fino al 1951, interpreta quasi sempre film musicali in cui replica in sostanza il personaggio che recita sulle scene dei locali e dei teatri in cui canta dal vivo. Del 1945 è Due marinai e una ragazza e del 1949 sono Un giorno a New York e Facciamo il tifo insieme, tre film da ricordare, anche perché i registi sono rispettivamente George Sidney, Stanley Donen e Busby Berkeley.
Dopo un incidente alle corde vocali che lo costringe a ritirarsi dalle scene, all’inizio degli anni Cinquanta, la sua carriera d’attore sembra finita. Ci vuole proprio la sua tenacia (e forse l’aiuto di qualche amico potente) a trasformare una situazione che sembra destinata a farne tramontare la stella.
Fred Zinnemann sta preparando per la Columbia del produttore Harry “King” Cohn una riduzione cinematografica di Da qui all’eternità, il best seller scritto da James Jones e ambientato durante la seconda guerra mondiale in una base dell’esercito americano sul Pacifico.
Il cantante riesce ad ottenere una possibilità: un provino a Hollywood per interpretare il personaggio del soldato d’origine italiana Angelo Maggio, riducendo le sue richieste d’ingaggio alla somma di mille dollari alla settimana. Il provino va bene. Sinatra parte per le isole Hawaii e raggiunge la troupe. Il 25 marzo 1954, il film, uscito l’anno prima nelle sale, ottiene otto premi Oscar: Sinatra riceve quello come miglior attore non protagonista.
Dal 1953 al 1968, si svolge la più ricca fase d’attività cinematografica per “The Voice”. Recita ancora in commedie musicali, a fianco di Doris Day, Marlon Brando, Bing Crosby, Grace Kelly, Debbie Reynolds, Kim Novak, Rita Hayworth, Shirley MacLaine: i titoli più celebri sono Bulli e pupe (1955), Il fidanzato di tutte (1955), Alta società (1956), Pal Joey (1957).
Interpreta nel 1959 una commedia malinconica di Frank Capra (Un uomo da vendere) e un melodramma di Vincente Minnelli su certa ipocrita provincia americana, tratto da un altro romanzo di James Jones (Qualcuno verrà), due film per i quali i suoi fidi autori, Cahn e Van Hausen, scrivono le canzoni, una premiata anche dall’Oscar.
Affina anche le sue doti nel dramma e nel film poliziesco, dando ai ruoli negativi e positivi che interpreta una sensibilità inquieta e nevrotica, che risente dell’influenza degli attori dell’Actors’ Studio con cui si è trovato a lavorare, primi fra tutti Marlon Brando e Montgomery Clift. Gangsters in agguato (1954), L’uomo dal braccio d’oro (1955), Il jolly è impazzito (1957), Va e uccidi (1962) rappresentano violenti sguardi sugli Stati Uniti contemporanei o addirittura presagiscono un terribile futuro: il primo film citato sembra preannunciare l’omicidio di Kennedy e l’ultimo è una vicenda fantapolitica tratta da un romanzo thrilling di Richard Condon, dagli inquietanti risvolti politici sulla Guerra Fredda. Non dimentichiamo, infine, i tre film polizieschi diretti da Gordon Douglas tra il 1967 e il 1968, che adeguano con grinta e sapore di scandalo il genere della detective story alla durezza dei tempi (e alla fine del codice di censura Hays): L’investigatore, Inchiesta pericolosa, La signora di cemento.

3. Un mito sociale
Il Sinatra degli anni Sessanta è una potenza economica e il mito sociale che racconta la sua storia in chiave romanzata s’impone al grande pubblico: il ragazzo di Hoboken, venuto dai bassifondi, ce l’ha fatta, è arrivato fin sulla vetta del mondo.
Dal 1960 al 1965 circa impone la sua compagnia di amici che rimpiazza (prendendone anche il nome dal tono autoironico: “The Rat Pack”, “Il branco di topi”) quella dominata dal defunto Humphrey Bogart e da Lauren Bacall. Il gruppo, capitanato da “The Chairman of the Board” (un altro dei soprannomi dell’attore e cantante: ”Il presidente del consiglio d’amministrazione”) è formato da Dean Martin, Sammy Davis jr., Peter Lawford (il tramite tra il clan Sinatra e il clan Kennedy) e Joey Bishop. Sinatra produce e interpreta almeno cinque film assieme ai suoi amici, appunto tra il 1960 e il 1965: Colpo grosso (rifatto da Steven Soderbergh), Tre contro tutti, I quattro del Texas, I quattro di Chicago, Patto a tre.
L’immagine che ci restituiscono questi film e la vita pubblica dei suoi interpreti è decisiva: ancora una volta si tratta di un mito sociale. L’America di Sinatra è spregiudicata e brillante. Non si vergogna di ridere in faccia ai vecchi parrucconi repubblicani, che scuotono la testa davanti alle sue cattive maniere e ai suoi gusti (in fatto di donne e soprattutto in fatto di frequentazioni pericolose nei casinò del Nevada).
Il contributo che offre (dicono, anche grazie a queste sue conoscenze di Las Vegas) nel 1960 all’elezione di JFK alla presidenza ha il suo peso. Lo scrittore James Ellroy lo inserisce non a caso come personaggio in affreschi neri dell’America senza più innocenza, come, per esempio, Tijuana, Mon amour e American Tabloid.
Il sogno è durato troppo poco. Dal 22 novembre 1963, alle 13, ora locale di Dallas, Texas, le ambizioni dell’America kennedyana e di Sinatra devono aver ricevuto una brusca sterzata e si sono separate. Negli anni Ottanta, il sostegno elettorale dato da Sinatra a Reagan ha definitivamente allontanato il cantante italoamericano e la famiglia dell’ex presidente.
Già nel 1960 però, un episodio accaduto in piena campagna elettorale suggerisce che qualcosa era davvero cambiato: Sinatra non esibisce più quell’anticonformismo che non temeva di manifestare fino a poco fa. Il cantante incarica lo scrittore Albert Maltz, che era stato comunista ed era stato condannato al carcere nel 1951 dalla Commissione per le attività antiamericane, di scrivere la sceneggiatura di film sull’unico soldato americano condannato a morte dopo la Guerra Civile. La polemica che si accende però è tale che Maltz viene poi escluso dal controverso progetto, che in più non verrà neanche portato a termine.
Certo, ai lettori dei giornali, agli acquirenti dei suoi dischi, a tutti noi spettatori cinematografici, in definitiva restano, nella memoria, forse soprattutto i dati superficiali del personaggio pubblico, congelati in brevi flash fotografici. Il confronto a distanza prima con Bing Crosby poi con Elvis Presley (invitato nel 1958 da Sinatra nel suo show televisivo per un confronto tra il classico swing con la nuova generazione del rock ‘n’roll). Il tirar mattina da playboy con gli amiconi perdigiorno, con Angie Dickinson o Juliet Prowse (o Marilyn Monroe, prima della misteriosa notte in cui morì), al Sands di Las Vegas o al Cal-Neva Lodge di Lake Tahoe. La deposizione al processo in cui fu coinvolto negli anni Settanta per i suoi legami con la mafia. Il concerto per l’inaugurazione del Palatrussardi di Milano nel 1986, tenuto dopo ventiquattro anni di assenza dall’Italia.
Rimane infine, come dato di fatto esplicito o implicito, per esempio nei film citati all’inizio, ineliminabile atteggiamento dell’attuale cinema americano postmoderno, evidente nei rifacimenti e nelle citazioni, la nostalgia. Verso un “Mondo libero” che non ha mantenuto tutte le sue promesse, ma depurato dalle zone oscure e d’ombra e rappresentato in politica da una mitica giovane coppia, ottimista e progressista, John e Jackie.
Spia di ciò, la continua riproposta, ancora oggi, di suoni ed immagini dell’America che fu, come appunto la figura pubblica di Frank Sinatra, affascinante e contraddittoria presenza, dominatrice dello spettacolo statunitense e mondiale, anzi globale. Ben sintetizzata, credo, dallo slogan definitivamente cool di Jilly’s, il locale di New York dove il cantante andava ad esibirsi e a mangiare: “Where the Elite Meet to Eat”.