Prova a prendermi
American Trick
di Luca Perotti

 
  Catch Me If You Can, USA, 2003
di Steven Spielberg, con Leonardo Di Caprio, Tom Hanks, Christopher Walken, Martin Sheen

Il caso vuole che l’avventura truffaldina del giovane Frank Abagnale Jr. abbia inizio nel 1963, solitamente indicato come l’anno in cui cala il sipario su un’America che partendo dal sogno consumista dell’epoca di Eisenhower era giunta a traboccare di speranza per il futuro, avendo individuato in JFK il baluardo di un’ambizione di giustizia e bellezza. Era un’America innocente e sbarazzina, fiera del proprio disincanto e genuinamente impavida.
All’inizio degli anni sessanta la cultura alternativa non si era ancora affermata e vigeva un regime di ingenuità che portava a credere che l’abito facesse veramente il monaco e lo status sociale associato ad un uniforme o ad un titolo di studio costituisse un segno di distinzione e di prestigio che non poteva celare alcun trucco o inganno.
L’assassinio del Presidente diede il via ad un processo che caricò quel disincanto di diffidenza, acuì il senso di fragilità latente in una nazione molto potente e ricca ma anche molto giovane, ed incrinò la fiducia nel sogno americano di benessere e prosperità perché l’odio e la paura solitamente attribuiti ad un nemico “freddo” e lontano furono avvertiti anche all’interno e in un periodo di rapidi, inafferrabili cambiamenti.
Nell’America percorsa in lungo e in largo dal fuorilegge Frank e dal suo inseguitore cronico, Carl Hanratti, non c’è traccia degli strascichi successivi alla tragedia di Dallas; nelle scorribande coast to coast non si capta né l’inquietudine né la rabbia di un’America bollente, collocata perciò in una cornice invisibile. Frank agisce su una sorta di territorio vergine, privo di sospetti e più naive di quanto in realtà dovrebbe essere lui con la sua tenera età. Alieno all’habitat di riferimento e al sistema che ne traccia le coordinate, la sua traiettoria furfantesca percorre un solco isolato, con cui solamente Carl Hanratti riesce gradualmente a convergere, continuamente invitato e sollecitato dalla sua preda. Carl Hanratti assume le veci di un Wili E.Coyote sui generis; e gli svariati travestimenti di Frank che riesce a sedurre ed ingannare ogni contesto in cui viene via via a trovarsi fanno pensare ad un ideale mondo dei sogni, un universo di cartoni animati in disparte dalla realtà in carne e ossa.
Frank si immerge nel flusso della falsificazione e del trucco trascinando con sé il suo cacciatore, attirandolo nella sua orbita d’azione.
Il rapporto ‘preda-inseguitore testardo’ rievoca sia l’esordio spielberghiano di Duel sia l’ossessione melvilliana de Lo Squalo ma con evidentissime differenze, del resto pertinenti al tono da commedia che scalda il motore del film alimentato, narrativamente parlando, dal corteggiamento delle capacità istrioniche di Frank.
La sua figura ha poco da spartire con la satanica, opprimente invisibilità del camionista di Duel così come non si approssima nemmeno alla voracità del pescecane che emergeva dalle acque simile ad una creatura dell’inferno.
Frank e Hanratti viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda, appartengono alla medesima dimensione e, in più, condividono il desiderio di svincolarsi dal trauma dell’abbandono, più precisamente del divorzio: quello dei genitori di Frank, e quello tra Carl e sua moglie.
Hanratti, come altri personaggi spielberghiani, diviene allora l’uomo ordinario calato in circostanze straordinarie, per il quale l’azione specifica (la cattura della preda) finisce per sostanziarsi come unica ragione di vita.
L’unità d’azione aristotelica che caratterizzava Lo squalo, ritorna anche in questo film se, sfumando la cornice, si considerano Carl e Frank come gli unici agenti dell’universo cartoonesco in cui la priorità di uno è inseguire e la priorità dell’altro è fuggire.
Il motivo principale che spinge Frank a vincolarsi ad una fuga reiterata ha palesemente origine dalla separazione dei genitori e ha come obiettivo precipuo la ricomposizione del nucleo familiare. Ogni volta che Frank viene a contatto con suo padre, tenta di convincerlo a far risorgere il rapporto matrimoniale che è ormai morto e sepolto.
L’arma di persuasione usata da Frank è il denaro “guadagnato” a fiumi e connotabile quindi, al contrario di quanto avviene per l’ideale del sogno americano, come semplice espediente con la duplice funzione sia di permettergli di vivere per continuare la sua perenne evasione, sia, appunto, di chiave per riaprire spiragli tra i genitori. In realtà, è Carl ad essere la figura paterna (sostitutiva) a cui Frank non può fare a meno di tenersi allacciato: una presenza costante, tangibile, l’unica che lo tiene sott’occhio, che lo sfiora e ha cura di lui. L’unica da chiamare ad ogni vigilia di Natale. Carl rimpiazza Frank Sr., non solo nelle funzioni consuete di padre, ma anche in quelle susseguenti ad un evento non-ordinario, ovvero la fuga stessa, ipotizzando con ciò che nei desideri profondi di Frank, avrebbe dovuto essere il padre vero ad assumere il ruolo di inseguitore. Malgrado l’evidente ascendente che Frank Sr. ha sul figlio,infatti, quest’ultimo non nasconde la delusione nell’invito del padre a non fermare la sua corsa truffaldina per l’America.
Il suo lasciarsi braccare da Carl fino alla ritrovata stabilità familiare nell’ufficio del FBI successivamente alla morte di suo padre, è complementare all’azione del piccolo androide di A.I. che, abbandonato nel bosco, accarezzava il suo bisogno di ricongiungersi al grembo materno inseguendo il miraggio della fata turchina.
Il padre porta nella tomba il fallimento del suo sogno americano di benessere e amore; Carl è un uomo comunissimo, solitario e in lotta contro la frode. Le due figure di riferimento per Frank si sono rassegnate ad un avvenire dimesso avendo smarrito in passato chance e affetti.
A realizzare l’American Dream è, paradossalmente, proprio Frank: pilota, avvocato, medico, miliardario. Ma ciò avviene con l’ausilio della truffa e la presa per i fondelli di una società che si lascia soverchiare dall’astuzia di un fuorilegge minorenne che riesce a far saltare un sistema bancario blindato; un mondo ostile che Spielberg e Kaminski soffocano sempre in un’oscurità tetra: le banche sembrano minacciose prigioni alimentate dalla burocrazia, dal timore che l’inganno e la frode vìolino il capisaldo di ogni sogno di prosperità.
Suo padre affoga insieme all’American Dream (le banche gli negano un prestito e non riesce più a “farsi da solo”), esattamente come il topolino nel latte che lui stesso citava ad esempio negativo di arrendevolezza e inettitudine. Al contrario del topo che con pazienza e furbizia attende che il latte si trasformi in burro per strisciare via e mettersi in salvo.
È proprio Frank, invece, a dimostrarsi tale, in virtù del conclusivo assorbimento nei ranghi del FBI. Il criminale che ha rubato montagne di denaro agli americani si mette al loro servizio evitando la prigione. L’inganno più riuscito di Frank Abagnale Jr. risulta alla fine proprio questo. Il raggiro perfetto perseguito grazie al potere della fantasia (la fantasia al potere…) e dell’immaginazione veicolata in direzione opposta da un adolescente “spielberghiano”, come sempre industrioso e una spanna avanti agli altri.
"La gente vede quello che racconti" dice Frank, attore perfetto che osserva con attenzione prima di calarsi nella parte cercando di essere il più possibile coerente al modello di riferimento. E ancora: "Sai perché gli Yankees vincono sempre? Perché gli avversari non riescono a staccare gli occhi dalle strisce sulle magliette".
Frank recita i suoi ruoli dopo averne studiato i gesti ricorrenti e il registro linguistico (l’intervista all’ex-pilota, la visione del film di James Bond al cinema, di Perry Mason alla televisione) e abbaglia i suoi spettatori ingenui, ipnotizzati dalle strisce sulle magliette e dalle parole ascoltate.
Si può ingannare la gente a piacimento, basta tener fede ad un modello e caricarlo di “falsa verosimiglianza” ed essere i primi a crederci. Il cinema di Spielberg risiede anche in questo, nell’essersi appropriato della macchina hollywoodiana dei sogni grazie alle qualità di un illusionista attento e maniacale, coraggioso e temerario. Che ama il rischio, confida nell’immaginario degli spettatori, da lui stesso forgiato e nutrito, e fa valanghe di soldi. Provate a prenderlo!