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Marzo 2008

Brevi
backtrack di Giuliano Tomassacci




 
Highscores

Caos calmo
Paolo Buonvino (Radiofandango)
Non impazzano i Radiohead, come potrebbe aspettarsi chi ha letto il libro di Veronesi da cui Caos calmo è tratto. Nel soundtrack del film di Grimaldi la band compare soltanto con “Pyramid Song” ed è circondata da un pungo di brani di repertorio di tutto rispetto (“Your Ex-Lover Is Dead” degli Stars e “Cigarettes and Chocolate Milk” di Rufus Wainwright). Contributo d’eccezione anche da parte di Ivano Fossati, con l’inedita “L’amore trasparente”, scritta appositamente per il film. Come le musiche dell’ancora una volta all’altezza Paolo Buonvino, chiamato ad una musicazione non facile da un regista dichiaratamente poco avvezzo ai compositori specializzati. Lo spartito, in empatia stretta con il difficile percorso psicologico del protagonista, ripropone lo scandaglio sottocutaneo e viscerale del compositore, con sprazzi di astrattismo che rimandano a Romanzo criminale. Dall’impetuoso assolo di percussioni di “Intro” un viaggio verso la luce fatto di accrescimento strumentale e definizione melodica, fino alla rigogliosa apertura minimalista di “Jolanda e la neve”.

la Morte ha fatto l’uovo
Bruno Maderna (Fin de Siècle Media)
Torna a risuonare di tutta la sua importanza, la sua diversità, il suo coraggio anticonvenzionale una delle colonne musicali più significative e misconosciute della cinematografia nazionale, grazie alla svedese Fin de Siècle. Pietra miliare dell’ingerenza dell’avanguardia storica nel panorama della musica da film italiana, una delle rare incursioni di Bruno Maderna nel medium innervata del complesso reticolo di significazione che un esponente eccellente della scuola postweberniana è stato capace di instillare in una storia di alienazione sociale e sentimentale. Tanto il film di Giulio Questi è anomalo nel suo svettare dai canoni del giallo di fine anni ’60 pur restandovi ancorato (John Bender, nelle note di copertina, ricorda come la pellicola patrocinò il movimento di scoperta del cinema di genere italiano oltreoceano) così la musica si accosta alle immagini ma non enfatizza, non integra il racconto, non sottolinea. Andando ben oltre il facile asincronismo (le scene erotiche messe in parallelo alla voce solista che non canta ma si compiace tendono piuttosto verso un certo trattamento godardiano) Maderna è fuori fase perché avanti. Parte dalla fine, dal senso spaventoso di deriva umana su cui il testo risolve e commenta col senno di poi in una dimensione di premonizione cosciente attualizzata in una musica che non può più essere melodia o meccanismo tonale - neanche sopra una scena di intimità - perché già filtrata, decostruita e ricostruita come il ricordo di un sentimento fallimentare. Aspramente dissonante, politonale e poliritmica su impianti dodecafonici, con picchi di puntillismo estremo, la musica de la Morte ha fatto l’uovo è emotivamente apolide in un racconto che ha già vissuto; anempatica nei confronti di una vicenda che ha compreso profondamente e il suo anacronismo d’approccio condivide la lucida verità insita nel controsenso agghiacciante del titolo. Incorruttibile, l’ascolto su disco dello score può disorientare, magari farsi repulsivo, oltremodo inasprito dall’aggiunta di 10 estratti finora rimasti inediti. Segno che dal 1968 ad oggi la partitura non ha perso la sua validità.


On Screen

Ultimi scampoli dell’intensissimo 2007 di James Newton Howard. Per the Water Horse (Sony Classical) - in realtà uno dei primi film musicati dal compositore lo scorso anno - un commento puntualissimo, nei confronti del girato tanto quanto in risposta alle aspettative di una collaudata ambientazione irlandese. Mano sicura, scritture impeccabili come d’abitudine per Howard e un ampio tema principale di indubbia eleganza, ma anche un altro lavoro schiacciato dal professionismo di maniera, come accaduto per la Guerra di Charlie Wilson. Il regista Jay Russel, nelle note di copertina, usa Mahler e Copland come termini di paragone della partitura, confermando ulteriormente la fisionomia di uno score diligentemente votato allo scoring istituzionale. Russell plaude anche alle performance dei Chieftains, che Howard integra per ovvie ragioni di coloritura locale; ma il gruppo ha goduto di coinvolgimenti cinematografici assai migliori. Del 2007 di Howard ora manca all’appello soltanto the Great Debaters di Denzel Washington.

A differenza della sua precedente, convincente immedesimazione nelle partiture originali delle saghe di Alien e Predator, così prodighe di retoriche fantascientifiche da permettere al compositore una vera e propria rielaborazione degli idiomi di Goldsmith, Silvestri, Horner e Goldenthal, la prova dell’alterno Brian Tyler per John Rambo (Lions Gate Records) è un’occasione mancata. Stavolta la scelta è evidentemente quella del citazionismo omaggiante e invece di lavorare dall’interno, impadronendosi mimeticamente di un lessico fortemente sedimentato nell’immaginario musicale tout-court come in Aliens vs. Predator 2, Tyler lavora in superficie e si confronta timidamente, se non reverenzialmente, con lo storico tema ideato da Goldsmith per l’eroe reduce di guerra interpretato da Stallone. Esposizioni di gran rispetto e frammenti sparsi ad hoc, senza però mai integrare in modo organico e strutturale approfittando di un’invenzione melodica tra l’altro capace di flessibilità ragguardevoli. Tyler piuttosto sceglie la strada personale e inonda lo score di tribalismi a lui congeniali, stendendo inoltre un secondo tema di fiera impostazione patriottica. E il problema, fuori dai travestimenti e dalle rivisitazioni, torna ad essere proprio il suo tratto, nel migliore dei casi ripetitivo e votato ad un servizio scolastico.

Spiderwick - Le cronache è un bel ritorno alle sonorità sinfoniche di uno degli autori maggiormente consacrati negli anni ’80 all’entertainment fantasy. Era già successo con il Grinch e la Leggenda di Zorro che James Horner abbandonasse il radicalismo stilistico della sua maniera moderna - una strada intrapresa dopo la svolta carrierisitca di Braveheart e che ha portato a maturazione alcune cifre latenti nel suo passato trascorso hollywoodiano arrivando spesse volte ad un eccesso formale velleitario. Che si tratti o no di un’altra sospensione occasionale di questo sovente discutibile approccio alle immagini, c’è davvero da rallegrarsi per un ritorno così tonico ad una scrittura orchestrale piena, tematicamente fondata, generosa di suggestioni e sufficientemente equilibrata tra nuovo e vecchio lessico horneriano, dove il melodismo lirico di Cocoon e Star Trek II: L’ira di Kahn convive con i passaggi più astratti dell’ultima maniera. Il compositore di Titanic torna insomma a raccontare con cesello anziché a sottintendere o ad alonare con ampie pennellate, e questo spolvero estetico riporta con sé anche tutto il retaggio goldsmithiano e williamsiano dei fasti che furono (tra i molti riferimenti, il clavicembalo caratterizzante i goblin rimanda prepotentemente al Williams baroccheggiante di Complotto di famiglia).


Off Screen

In occasione del suo centesimo cd, la feconda Digitmovies delizia i fan del poliziesco all’italiana con "Italian Police", un tris di colonne sonore: la Mano spietata della legge (1973), il Grande racket (1976) e l’Uomo della strada fa giustizia (1975). Al primo lungometraggio, interpretato da Philippe Leroy, mise mano con solidissimo mestiere Stelvio Cipriani, caratterizzando le musiche con un tono particolarmente europeo, non di rado sfumato in un romanticismo da polar francese. Decisamente personale e riconoscibilissimo il trattamento dei fratelli De Angelis per la seconda pellicola: ritmiche che coprono ogni declinazione del rock filmico di genere, sferzate funk, virate psichedeliche, accenti prog e una propensione melodica calzante (anche se non memorabile quanto l’apporto a Roma violenta). Il più immerso nell’estetica autoctona del filone è però il commento di Bruno Nicolai per l’ultimo titolo, esemplare della musicalità “a mano armata” di matrice micalizziana spinta in accelerazione dai riff incalzanti e dagli ostinato ritmici.

Dal nutrito catalogo di Nicolai la Digitmovies recupera anche uno dei lavori per l’horror targato Umberto Lenzi, Gatti rossi in un labirinto di vetro (1974), nell’ambito della collana “Bruno Nicolai in giallo”, giunta con questo titolo all’ottavo volume. Senza entrare nella lista delle prove più alte del compositore, il commento dà la misura dell’impegno medio di un compositore prolifico - anche per il genere in questione - capace di concedere la qualità minima anche in un contesto musicale collaudato, così routinario e formulaico nella sua irrinunciabile adesione al manifesto d’epoca: pop ballabile, tinte gotiche, orchestra e sezione ritmica sempre in supporto reciproco e bitematismo di servizio. Notevoli le costruzioni suspense (“Labirinto”) che evidenziano la capacità atavica di tirare fuori il meglio dalla ristrettezza d’ensemble. Pubblicata integralmente, la colonna sonora è accompagnata da quattro bonus track.

Meno produttivo di Nicolai ma altrettanto affezionato ai generi, Nico Fidenco ha fatto dell’erotismo libertario uno dei suoi raggi d’azione cinematografici. Per Blue Jeans (Digitmovies), diretto da Mario Imperoli nel 1975 e interpretato da un’allora emergente Gloria Guida, il compositore di Emanuelle Nera calca musicalmente una storia di prostituzione dai risvolti drammatici. Anche lui a suo agio con la composizione bitematica, Fidenco verga due motivi dalla forte cantabilità, non a caso intonati dai Cyan (“Blue jeans”, “A final step”) su arrangiamento beat. L’approccio da ballabile pastorale su cui si muove l’orchestra è interessante soprattutto in considerazione di quanto in quegli anni il cinema abbia fatto affidamento a quel particolare stile: le numerose comunanze dello score con il commento di Jack Nietsche per il coevo Qualcuno volò sul nido del cuculo, ad esempio, non possono che generare curiosità in merito a quanto la partitura per il film di Forman possa aver influito sulle scelte di Fidenco. Scelte che restano comunque indovinate; l’atmosfera provinciale, se non paesana, di fisarmoniche, zufoli, chitarre e clavicembalo non potrebbe prestarsi meglio alla storia di scappatelle e complotti su sfondo finto-borghese messa in scena da Imperoli.

Prosegue il periodo caldo di pubblicazioni trovajoliane. Dopo la tripla raccolta antologica la Gdm licenzia su un unico cd tre commenti da commedia sentimentale pruriginosa composti dal maestro negli anni ’60: il Magnifico cornuto, la Mia signora (1964) e le Fate (1966). Niente di nuovo sotto il cielo, anzi tutto già sentito e proprio per questo un ascolto imperdibile per gli aficionados delle salse lounge, dei vocalizzi ammalianti e conturbanti (la voce di Edda dell’Orso domina e conferisce il miglior marchio di riconoscibilità ai lavori), dello shake e del ballabile per orchestra. Trovajoli, tra i fautori di questa miscela sempre funzionale ai più disparati lungometraggi ammiccanti, si esibisce anche al piano mentre in Le fate Titti Bianchi intona un’effervescente “Maga Magò”.

Sforzo editoriale impressionate quello di Film Score Monthly - soprattutto per un etichetta specializzata a destinazione collezionistica - che in collaborazione con la Warner Bros. ha confezionato un Blue Box titanico, "Superman: The Music", dedicato alla numerosa musica applicata alle gesta del capostipite dei supereroi. L’ingente volume musicale reperito, organizzato e rimasterizzato da FSM conferisce all’operazione il merito della completezza definitiva. Otto cd, aperti in modalità fanfaronica con lo score di John Williams per il primo episodio cinematografico, portato a nuovo lustro da un remastering migliorativo persino della già esaustiva edizione Rhino a due dischi. Poi i successivi tre score per gli altrettanti sequel del franchise, affidati a Ken Thorne e Alexander Courage. L’altrettanto fortunata vita televisiva del personaggio è rappresentata dalla musiche di Ron Jones per la serie animata. Ricchissimo il materiale inedito, che riempie autonomamente anche l’ottavo disco con alternates e source music. Un libro di 160 pagine che analizza la musica e ripercorre i retroscena di scoring accompagna l’opera, al momento già esaurita nella sua prima edizione e in corso di ristampa.


Morriconiana

Notevole trittico di composizioni morriconiane quello presentato dalla Fin de Siècle, che raccoglie in un unico album brani tratti da Teorema di Pasolini (1968), la Stagione dei sensi di Franciosa (1969) e Vergogna schifosi (1969) di Severino. Al primo film appartiene una colonna musicale davvero significativa per l’evoluzione complessa e combattuta - altamente interessante - della doppia aspirazione musicale insita nel Morricone di quel focoso periodo professionale: la convivenza dell’assolutismo concertistico con la retorica narrativa cinematografica. Assai variegata stilisticamente, la partitura alterna disinvoltamente momenti di musica concreta (“Fruscio de foglie verdi”) e deguelli per chitarra a costruzioni atonali tra le più estreme mai proposte dal compositore romano in ambito filmico. Centro d’attenzione degli altri due commenti e invece l’uso della voce quale strumento sempre meritorio di sperimentazioni non comuni da parte dell’autore - in questo caso molto più per l’effetto "cantato" che per la manipolazione timbrica. E anche se per l’ultimo lavoro non si può condividere in pieno l’entusiasmo nelle note di John Bender, certo se ne riconosce l’importanza quale precursore di uno stilema a venire destinato a far scuola.

Improntato al sarcasmo e alla farsa invece il soundtrack di Stato interessante (Gdm), lungometraggio ad episodi affidato alle cure registiche di Sergio Nasca nel 1977. Un Morricone più leggero, sui sicuri binari del bossa-nova virtuosistico (“Una bossa a cena”) o nella regalità del più formale dei valzer (“Un salotto troppo elegante”) cui non manca però l’inveterato gusto per il gesto ficcante e lo spazio per la distensione di un tema tipicamente arioso, con note sussurrate dal caldo flicorno di Oscar Valdambrini. Ma è da notare anche l’accesa cantilena di “Per l’amore si farà”, tutt’altro che estranea al girotondo del succitato Vergogna schifosi. La marcia folcloristica dai colori siculi (“Morale ipocrita borghese”) fa da contraltare irriverente e getta un modello che tornerà a riaffacciarsi nella filmografia del musicista, particolarmente nel tema portante per Stanno tutti bene di Tornatore.

Altro materiale poi riemerso nella collaborazione tra Morricone e Tornatore anche nella colonna musicale di Matrimonio con vizietto (1985), pubblicata da Digitmovies. Per il terzo capitolo della liason tra Ugo Tognazzi e Michel Serrault un Morricone particolarmente in vena contemporanea mette mano ad una coppia di canzoni per la voce di Tilda (“Now It’s Up To Me”, “Ask Me”) dall’arrangiamento spiccatamente disco - e con tratti a là Moroder. Il sintetizzatore s’impone anche in una curiosa rilettura del “volo del calabrone” di Rimsky-Korsakov. Il brano dal destino tornatoriano è “Castelli di Scozia”, un nobile adagio riarrangiato in seguito dallo stesso autore per accompagnare uno spot del regista siciliano.


25 fotogrammi

Arrivato in televisione sotto forma di due episodi, il film su Caravaggio diretto da Angelo Longoni ha beneficiato di un interpretazione sentita di Alessio Boni nel ruolo del pittore e del disegno fotografico filologico di Vittorio Storaro. Le musiche composte, orchestrate e dirette da Luis Bacalov (RaiTrade) si innestano direttamente nella tipologia dei commenti in costume debitamente redatti nel contesto musicale dell’epoca di riferimento. Bacalov veste lo score di un coté dalle sfumature classiche muovendosi tra i chiaroscuri dell’artista protagonista e alternando vigorosi affreschi sinfonici (“Caravaggio Loves”) ad intarsiature più raccolte e trattenute (“Casa Nuova”). Il compositore de Il Postino non rinuncia poi a periodizzare la partitura con brani per ensemble ridotto di natura spiccatamente rinascimentale (“Verso Port’Ercole”, “Vano il ricercar”) per i quali la Czech National Symphony Orchestra è ampliata con un gruppo di solisti italiani particolarmente evidenti nell’händeliano “Johnatan’s lute” e in “Del cigno un canto”. L’accostamento alle immagini è morriconaniano, così come una certa enfasi nella linea melodica, soprattutto nel tema d’amore (“Lena Vero amore”).