the Woodsman - Il segreto
Il segreto di Kevin
di Emanuele Boccianti

 
  id, USA 2004
di Nicole Kassell, con Kevin Bacon, Kyra Sedgwick, Mos Def


Che il teenager che scatenava contestazioni a suon di musica e ballo sia cresciuto è indubbio. Passando attraverso vermoni giganti (ma i più ferrati se lo ricorderanno anche in Animal House, suo debutto nel lontano 1978, o in Venerdì 13 nel 1980, tanto per dirne due), assassini di stato, missioni Apollo, Flatliners, Sleepers, delitti dal sapore torbidamente sessuale (In the Cut) e, manco a dirlo, Mystic River, il signor Bacon si è scavato una sua personale strada nel cinema americano, scegliendo con attenzione ruoli e produzioni, arrivando a dimostrare una certa capacità di saper incarnare ruoli sempre meno pop-action e sempre più orientati verso il drammatico e il thriller (chi ricorda Echi Mortali forse concorderà nel ritenere il suo l’unico apporto valido ad un pur valido soggetto, nato dalla penna del grande Richard Matheson). Se il punto di svolta si possa ravvisare in un film riuscito a metà come Sleepers, è difficile da dire, sta di fatto che attraverso le sue scelte, nel volubile immaginario collettivo cinematografico, Kevin occhi di ghiaccio ormai sta puntando tutto o quasi sulle sue capacità di catalizzare, con le sue espressioni e il suo sguardo da dropout semi inserito nel tessuto sociale, l’attenzione e l’emozione del pubblico. Vale la pena di riconoscerglielo, anche in considerazione del fatto che la sua ultima fatica non è priva di una qualche audacia.
The Woodsman - Il segreto, è a suo modo un film coraggioso, per più di un motivo. Intanto non è un thriller, malgrado l’irradiamento pubblicitario punti decisamente in tal senso. Non ci sono i presupposti – non c’è alcun whodunit, direbbero in America – poiché non c’è un crimine vero e proprio, non c’è un colpevole da scoprire, non ci sono thrills da regalare allo spettatore, e già da questo punto di vista The Woodsman rischia di deludere le aspettative di chi si fa convincere dal viso sofferto del suo protagonista e va in sala alla ricerca del giallo, della suspence. Che non ci sono. È un film coraggioso perché è un’opera prima, e quindi già parte con un asso in meno nella manica, che è quello del nome del regista; e soprattutto è coraggioso per il tema trattato e per come viene trattato, dato che forse la pedofilia rischia di restare l’unico grande tabù di una cultura - anche cinematografica - ancora troppo fresco, recente. Serve distanza per poter metabolizzare un fenomeno così traumatizzante (tragedia più tempo, dice Woody Allen in Crimini e Misfatti, e qui ancora manca il tempo): sono troppo pochi gli anni passati da quando l’abuso sui minori è diventato materia di cronaca, e maneggiare un tema del genere non è semplice, perché svela la grande verità dietro la farsa favolistica. I mostri che aspettano il bambino nel bosco non hanno zanne o peli, ma sono gli adulti stessi, ossia la categoria sociale naturalmente deputata a proteggerlo. La delicatezza è d’obbligo e Nicole Kassell, alla sua prima regia di un lungometraggio, dimostra tutta la sensibilità necessaria.
Dirigere un thriller presuppone, sembrerebbe, proprio quel distacco, quell’ironia tipica del giocare con lo spettatore, nascondendo indizi, creando immedesimazione nel detective, tracciando false piste per prendere in giro chi provasse, anche e soprattutto al di qua dello schermo, a dirimere l’enigma. Nascondendo immagini o suoni che esplodono durante il percorso narrativo per alternare tensione e rilassamento in quella ironica ginnastica emotiva che è alla base del gioco del giallo. La Kassell non gioca, e questo Bacon lo ha compreso bene. Così tanto che non solo accetta la parte, ma per una forma di stakanovismo non ignota nel cinema, soprattutto quello americano, si fa carico anche del ruolo di produttore esecutivo. Per essere dentro la storia, per diversificare la sua attività dentro il progetto seguendo più strade. Kevin il metamorfico, Kevin l’impegnato. Così la storia, che nasce da una pièce teatrale di Steven Fechter, diventa un’impresa da far crescere da dentro, prestandogli più cuore e anima di quanto si potrebbe supporre a tutta prima da un titolo del genere. Anche la decisione di dare il ruolo della donna a Kyra Sedgwick, moglie di Bacon nella realtà, sembra corrispondere all’intento di costruire questo progetto all’insegna di una mimesi dolorante e totale. C’è un grande lavoro di artigianato che si percepisce nell’opera, a partire dalla scelta del cast: Bacon afferma che non sono molte le attrici capaci al tempo stesso di essere sexy e di non apparire fuori posto in una fabbrica di legname. La Sedgwick, effettivamente, non sembra mai fuori posto, non dà neppure per un momento l’idea di una bellezza piombata giù nella storia come dea ex machina per allietare gli sguardi. Questa è attenzione, questa è mimesi, specie in un panorama in cui non è raro vedere come fiore all’occhiello di un cast attrici con un passato da top model, impegnate in ruoli assolutamente poco verosimili.
Se il film funziona, e funziona fino ad un certo punto, è proprio per questo senso di compostezza, di rigore che lo permea, la cui punta di diamante è appunto l’interpretazione dimessa, contratta, colpevole fin nel minimo dettaglio che l’ex footlooser riesce a fornirgli. Forse The Woodsman funziona fino ad un certo punto solamente, ma non sembra possibile fargliene una colpa più di tanto. Si potrebbe obiettare che non ha il coraggio delle sue scelte fino in fondo, dipingendo un pedofilo le cui attenzioni nei confronti di bambine sono, sì, rubricate dalla società come molestie, ma per sua sincera ammissione non sono mai state violenze carnali vere e proprie. Ciò probabilmente è l’unica vera pecca di “funzionalismo” in una scrittura per il resto ben poco incline a concessioni di buonismo. Funzionalità che si rivela nel finale: la parabola di catarsi e pentimento che arriva a tre quarti della storia non poteva altrimenti avere luogo in tre minuti, lui seduto su una tipica panchina di un parco, parlando con una adolescente che sta di fatto cercando di adescare fino al momento in cui lei gli rivela i suoi trascorsi di bambina molestata già in seno alla famiglia. Ecco l’uscita facile: l’uscita di un pedofilo che viene bloccato di fronte allo svelarsi dell’esistenza di un’altra pedofilia, ben più efferata e insostenibile. Il mostro riconosce l’esistenza di mostruosità peggiori delle sue, ne viene scioccato, e nel tempo di qualche scena lo si vede trasformato in giustiziere di pedofili. L’escamotage di creare una sottocategoria nel genere, pedofili più cattivi e meno cattivi, permette a regista, scrittore e attore di cacciarsi fuori dall’impasse che altrimenti avrebbero reso il film ancora meno digeribile (forse perfino per loro stessi), e cioè chiudere la storia senza catarsi, senza riscatti, senza risposte, solo con i segreti.
L’unico segreto, ormai di Pulcinella, è quello di Kevin, forse sempre stato, e solo di recente scoperto, attore dal calibro peculiarmente drammatico, capace per ben tre film di confrontarsi efficacemente con un’infanzia per cui i mostri sono in agguato in casa e per la strada, non nel bosco.