l'Uomo che non c'era

La tragedia desaturata
di Luca Persiani

 
  The Man Who Wasn't There, Usa, 2001
di Joel e Ethan Coen, con Billy Bob Thornton, Frances McDormand, Michael Badalucco, James Gandolfini, Katherine Borowitz, Jon Polito, Scarlett Johansson


Da che parte sta il bianco e nero?
Luogo comune vuole che il bianco e nero sia il formato del realismo. Per qualche magia della stilizzazione, la fotografia bicromatica sembra restituire alla narrazione una forza ed un'incisività uniche, evocatrice eletta del Vero. Nel noir, in particolare, il b/n è il pass della verità nel backstage della tragedia, la garanzia che nonostante tutto potremo sentire sulla nostra pelle l'alcool, le sigarette, il sesso, le armi da fuoco e perfino i capelli biondi di Barbara Stanwyck. Il b/n genera uno strano calore: un emozione paradossalmente tanto più forte quanto è messa in una prospettiva storica, un documento che è efficace proprio perché è fotografico (molto dettagliato) e insieme, grazie alla desaturazione che lo colloca in un mondo diverso da quello della percezione quotidiana dell'occhio, sufficientemente distante dalla vita di ogni giorno da acquisire uno stile preciso e peculiare, e trasfigurarsi quindi in racconto.
O almeno questo è quanto il b/n ha voluto farci credere fino ad oggi. Menti di una certa levatura, ben allenate alla poetica dei paradossi del reale, Joel ed Ethan Coen hanno scoperto che, in realtà, tutto questo discorso non era che un bluff. Si sono messi a scavare (come fanno da sempre) nel Genere, hanno rivoltato pietre e cambiato punti di vista, hanno desaturato una pellicola a colori (per motivi tecnici ma anche commerciali) su cui erano state impresse immagini illuminate per il b/n, fino a svelare   ironicamente un sottile inganno fotografico. E quello che ne è venuto fuori è un film che parla di qualcuno che non c'era. Nel caso della poetica b/n coeniana, non c'era il realismo, o almeno, non quello classico. Al suo posto, desaturato e raggelato, rallentato e deviato, c'era un teso sogno sopra le righe dal minimo molto alto, dove non era necessario spingere l'acceleratore per partire. E, a ben vedere, neanche per compiere un viaggio dove l'inerzia iniziale è così ben calibrata da far scivolare da sola il film per la sua strada, con un unico movimento e la precisione balistica di un'arma artigianale, o di un disco volante.

Lyndon e Crane
Barry Lyndon è un eroe passivo e arrivista. Passa la vita ad aggirarsi per vivide vedute settecentesche con uno sbalordimento sopra le righe dipinto su un volto limpido. La sua ambizione è quasi casuale. Le sue conquiste sono frutto imperscrutabile di un mix di coincidenze e volontà troppo flebili per fare di lui una figura possente. Alla fine del suo viaggio, impara ad indossare una parrucca e perde una gamba. Ed Crane è un eroe passivo ed arrivista. Passa la vita in una bottega di barbiere con un'immobilità appena increspata, intagliata in un volto assolutamente americano. La sua ambizione è quasi adolescenziale, di un'età in cui si può tutto e non se ne comprende il prezzo, è un incidente che manda fuori strada un veicolo per cui mai sembrava fosse previsto un avvitamento al rallenti attraverso un'inquadratura fissa. Le sue conquiste sono frutto distorto e imprevisto di un mix di coincidenze e volontà troppo fuori traiettoria per fare di lui una figura classicamente tragica. Alla fine del suo viaggio, ha incontrato tutta gente con una parrucca (lui compreso) e ha perso la vita. Gli accenti kubrickiani del film non si fermano solo ad un divertito accostamento tematico, ma percorrono la lingua de L'uomo che non c'era con originale precisione. Uno per tutti, il raffinato incrociarsi della musica extradiegetica con quella diegetica. Beethoven in colonna sonora incontra il Beethoven nel piano della lolita Birdy, come uno sguardo in macchina dei protagonisti, dando la netta impressione di due mondi che si guardano sospesi, in un sottile e incontrollato gioco voyeuristico. La narrazione guarda lo spettatore con ironia e, forse compiacimento. E questo, unito al volto impassibile del protagonista, da anche adito ad un vertiginoso, ulteriore sospetto: forse il protagonista scruta dallo schermo lo spettatore, scavalcando autore e rito (leggi "proiezione cinematografica"), e rivelando un'autocoscienza inaspettata. Che però non può modificare il racconto, non può modificare attitudini di personaggi e narrazione. La tragedia de L'uomo che non c'era, come anche quella di Barry Lyndon, riecheggia tutta in questa autocoscienza inutile, nella consapevolezza che non riesce a toccare la pigrizia dell'azione. Crane non c'era, non ha fatto, non poteva fare, stordito dalla semplice fatica di vivere. Il film si rivela così il racconto della dilatazione del ritmo che segue lo smagliamento della pragmatica del personaggio. Crane nuota nella vicenda passivamente, senza controllo, spinto dalla paradossalità della situazione in cui vive.

American Way of what?
Che cos'è l'aspirazione americana ad una vita felice e perché non possiamo dircene esenti? E' il credere che il proprio modello di vita sia ottimale, e vada solo un po' aggiustato perché possa funzionare perfettamente. Che tutti possiamo raggiungere lo stesso livello qualitativo (leggi "di consumo"), e che questo sia l'obiettivo da perseguire durante la vita. Ma quando è il momento dell'aggiustamento? Quando è il tempo del salto di qualità definitivo? E' domani, o forse dopodomani. Non sembra mai il momento, e quando ad Ed Crane pare chiaro che bisogna, che è ora, non riesce a mettere a fuoco che il suo mondo, in realtà, non gli permetterà mai il salto fatto come si deve. Per Ed in calendario non c'è che un goffo, scivoloso tentativo. Crane vive nell' "ottimismo" del benessere passivamente, illuso dalla comodità del suo divano e delle sue sedie da barbiere. Perché la possibilità del Grande Salto non esiste, o peggio: se ci provi puoi svelare la truffa, puoi arrivare a sfiorarla, ma il massimo che poi ti è concesso è continuare a vivere osservandola, o, se proprio hai un accesso di coscienza, di morire per il motivo sbagliato. Così, a costo di ripeterci, L'uomo che non c'era è un esempio di cinema beffardamente anti-interattivo: neanche l'eroe riesce a fare nulla per modificare le cose, potendo solo imprimere ciechi spostamenti all'inevitabile che comunque si ritorcono contro di lui. Gli è concesso inizialmente un tentativo attivo e risolutivo: è quello che sbaglia e da il via ad un meccanismo incontrollabile e inarrestabile che, in modo profondamente orribile, è comunque previsto dalla società in cui vive, in particolare dall'impronunciabile avvocato-sceneggiatore Riedenschneider, la cui preoccupazione non è la verità dei fatti, ma la plausibilità della ricostruzione degli eventi. Il tutto è previsto anche dallo sguardo impietoso di una coppia di fratelli sceneggiatori-registi, pieni di sottile sadismo verso i propri personaggi, un sadismo che vogliono condividere col pubblico (che i due sanno bene amare queste perversioni) e che galleggia nel piacere di una tragedia inevitabile e profondamente ridicola. Ma se pure i fratelli controllano il racconto, con la stessa ambizione di un Riedenschneider, per altro verso sono anti-interattivi come Ed Crane, e riescono a far poco con le regole della narrazione e le esigenze dello spettacolo. Per quanto mischino le carte, non riescono e non vogliono uscire dalla traccia del genere, perché il loro cinema vuole mantenere tutto il fascino dello spettacolo. E come diceva Sergio Leone, se il cinema deve essere spettacolo, lo spettacolo più bello è quello del mito. E nel nostro caso non è (solo) il mito sbeffeggiato dell'American Way of Life.

Il cinemito minimalista
Tutti gli eroi dei Coen, goffi e stupidi, furbi e fortunati o semplicemente sbalorditi dal mondo, sono investiti dall'eredità dell' "eroe mitico" di una volta, quello che aveva chiaramente davanti a se missioni e obiettivi, che si stagliava sugli altri per la grandezza della propria visione in ogni senso. I personaggi dei Coen sono carichi di storia, di errori e vittorie, di intuizioni geniali e profonde idiozie. Ma non sono riusciti a farne tesoro. Hanno esperienza, ma non memoria, e soprattutto non istinto sufficientemente affinato per fare a meno della memoria. Sono eroi, ancora una volta, molto tragici e molto comici. Ancora una volta senza la possibilità di andare oltre la vita che hanno davanti al naso, nonostante l'infuriare di echi del passato che gli rimbalzano dentro e che ne delineano il fascino classico. Echi che, attraverso questo fascino, lo spettatore percepisce molto meglio dei personaggi stessi. E' una specie di suspence hitchcockiana applicata al mito: noi sappiamo qualcosa su loro stessi che gli eroi non sanno, e questa ignoranza porterà a noi spettacolo, a loro la rovina. Una sorta di paradossale minimalismo forte avvolge la poetica coeniana. E Ed Crane è la messa a fuoco definitiva di questo discorso: l'impossibile Grande Eroe Debole al centro di una tragedia desaturata e ironica fino alle lacrime.

It's all true
Tutto l'istinto che manca ai loro personaggi, i Coen lo esibiscono generosamente sullo schermo, tanto da contraddire con l'efficacia del loro cinema il sospetto di un'overdose di furbizia autoriale, di una dimensione filmica che si esaurisce in un intelligentissimo gioco raffinato e chiuso da cui non c'è scampo. Dietro ad Ed Crane vibrano emozioni paralizzate, rigide, ma vive. Dentro Ed Crane si agita l'angoscia di un'impossibile conoscenza del mondo, e l'orrore di dover continuare, nonostante questo, a percorrerlo fino alla fine. E questo terribile assunto è filtrato dal rigore noir del b/n. Ma, è necessario ripeterlo, questo b/n non sta più dalla parte del realismo. Sta da quella del sogno. E i sogni non sono altro che un racconto per simboli. Simboli più intensi di qualsiasi metafora o altro dispositivo esplicativo, perché sono immediatamente evocativi di emozioni dirette, senza necessità di spiegazioni. Il lavoro dei Coen ne L'uomo che non c'era è, ancora una volta, l'avvicinarsi all'essenza del mito danzando con gli archetipi e il genere, questa volta attraverso l'utilizzo più preciso che mai di elementi puramente astratti: la luce e il colore. Il noir desaturato fotografa ancora con l'efficacia di sempre la realtà: grazie alla fondamentale e giocosa distanza ironica dalla materia, L'uomo che non c'era è il più paradossalmente realistico e preciso dei sogni possibili.