Ti do i miei occhi
L’amore non tradotto
di Adriano Ercolani

 
  Te doy mis ojos, Spagna, 2003
di Icíar Bollaín, con Laia Marull, Luis Tosar, Candela Peña, Rosa María Sardà


Dopo lo splendido I lunedì al sole, ecco una nuova testimonianza che il cinema spagnolo è resuscitato definitivamente, e lo ha fatto raccontando storie semplici, quotidiane, di gente comune e problemi reali. Andando oltre l’insegnamento e la traccia lasciati dai maestri, questa nuova generazione di cineasti sta tentando di confrontarsi con la Spagna di oggi, con le sue contraddizioni sociali ed umane. Ne sono venuti fuori per ora almeno due film sinceri, intensi, toccanti nella loro veridicità. Il primo è stato il citato film di Fernando Leòn de Aranoa, l’altro è Ti do i miei occhi, terza regia di Icíar Bollaín, attrice che anni fa interpretò la struggente Blanca nel capolavoro di Loach Terra e libertà.
La violenza domestica è il tema portante dell’opera, ma non viene raccontato attraverso una struttura drammatica preponderante, bensì attraverso un susseguirsi di situazioni psicologiche pressanti, un accumularsi di tensione davvero estenuante. L’intelligenza della messa in scena sta nel non cadere nel pietistico e mostrare (troppo) esplicitamente i soprusi che un marito passionale ma disequilibrato perpetra nei confronti di una moglie innamorata e succube. Il film non presenta quasi mai scene di violenza fisica, ma riesce ad insinuare nello spettatore un senso di abuso emotivo e psicologico nei confronti della donna che alla fine disorienta e sconvolge con lo stesso devastante effetto, forse anzi ancora di più. La Bollaín sceglie di raccontare una storia d’amore sincero ma impossibile a compiersi adeguatamente, e questo a causa di un uomo incapace a dominare i propri istinti rabbiosi e psicotici. L’amore che un grande Luis Tosar prova nei confronti dell’altrettanto brava Laia Marull è sincero, devoto, ma non sostenuto da una sufficiente presenza d’animo. Ed allora ecco che la gelosia, le paranoie, la rabbia continuano ad uscire fuori e castrare tutti i desideri, le aspettative, le speranze della donna. Forse è proprio il troppo amore, e perciò il desiderio bramoso di possesso assoluto nei confronti dell’amata, che spinge l’uomo ad atti di dispotismo così insensati. Il film ci racconta perciò non di un personaggio malvagio, ma di un uomo a tutto tondo, incapace a controllarsi, un povero cristo debole quanto pericoloso, bastardo quanto volenteroso nel cercare di migliorarsi. Ed anche la donna non è tanto l’eroina che alla fine si ribella, oppure la martire destinata al sacrificio, quanto una ragazza indecisa, fragile, innamorata ma ormai troppo esasperata da un rapporto talmente sfibrante. La bellezza di Ti do i miei occhi sta nel sapere raccontare con tono asciutto queste due figure e la loro storia.
Difficile non ammirare la sobrietà e l’intelligenza registica della Bollain, capace di non aggiungere mai qualcosa di troppo davanti la macchina da presa, anzi istintivamente pronta a togliere, a suggerire invece di mostrare, confidando sul fatto che l’atmosfera creata dalla grande interpretazione dei due protagonisti riesca a restituire allo spettatore tutta la pregnanza della situazione. Piccolo gioiello di sottigliezza psicologica, il film andrebbe visto non fosse altro che per poter applaudire la coppia d’attori.