Spy game

Sense & sensibility
di Luca Persiani

 
  id., Usa, 2001
di Tony Scott, con Robert Redford, Brad Pitt, Catherine McCormack, Stephen Dillane

"Are you game?"
frase di lancio originale di eXsitenZ, di David Cronenberg

Almeno a partire da James Bond, lo spionaggio al cinema è quasi sempre un gioco. Anche i film che tentano di abbassare la carica sopra le righe che il soggetto "servizi segreti" evoca nella fantasia di autori e spettatori, subiscono sempre il fascino inevitabile generato dal raccontare personaggi che vivono nel nostro stesso mondo, ma hanno possibilità di azione e capacità di movimento e interazione con la realtà che sono fuori della nostra portata. Il film di Tony Scott decide, con un'intuizione estremamente intrigante, di mettere in scena esplicitamente proprio questo gioco, affiancandolo però ad un altro tema narrativamente molto forte: l'amicizia. Chiaramente non stiamo parlando di un melodramma scorsesiano o di un vertiginoso tearjerker alla Lasse Hallstrom, ma di un film che innesta sottilmente il sentimento su una plancia da gioco dove regnano la simmetria e quell'abilissimo mix di intelligenza, razionalità e istinto che da sempre è la carta migliore delle spie del grande schermo e non. Il piano principale del racconto è quello dell'ultimo giorno di lavoro dell'agente CIA Nathan Muir, (Robert Redford) che, prima di lasciare l'edificio da dove per anni ha dato inizio ad operazioni segrete, si trova a dover aiutare un altro agente, il suo protetto Tom Bishop (Brad Pitt), che è stato arrestato per spionaggio in Cina. L'ultima operazione di Muir è quella di pilotare le decisioni dei suoi capi per evitare di sacrificare l'incauto Bishop, nei guai fino al collo per aver trasgredito alcune regole essenziali del suo lavoro ed essersi affezionato ad una donna. Il film è dunque tutto raccontato dall'interno di un edificio della CIA, o meglio, prevalentemente dall'interno di una stanza di questo edificio, da cui Muir muove contatti segretamente, bluffa, mente, utilizza colleghi e spia i suoi capi che a sua volta tentano di spiare lui. Il quartier generale di uno dei giocatori diventa più insidioso del terreno di gioco internazionale, diventa anzi una nuova plancia in miniatura esso stesso, e gli alleati a loro volta pedine o avversari in confronti fulminanti, in una dimensione quasi frattale e dalla frammentarietà non inquadrabile razionalmente con efficacia, dove il vincitore è quello che sa di più e possiede l'istinto più versatile. Anche se il terreno è particolare, Muir non inventa alcuna nuova strategia nella sua contesa immobile, dove nessuno spara un colpo o si sposta per più di pochi piani da ufficio a ufficio, ma utilizza (o trasgredisce) le regole che conosce e che gli hanno concesso una lunga e articolata carriera. E' compito del secondo piano temporale del film di insegnarci quali sono le regole del lavoro di spia, illustrando dettagliatamente in flashback l'addestramento da parte di Muir del giovane Bishop. E contemporaneamente all'esplicitazione delle regole, assistiamo alla costruzione di un'amicizia. Ed è fondamentale che questo rapporto fra le due spie sia ammantato di una freddezza professionale necessaria per la sopravvivenza, e che, allo stesso tempo, sia evidente, anche se sotterraneo, lo sviluppo di un vero rapporto di affetto basato sull'affinità. Nell'amicizia Bishop-Muir l'affetto non è nelle parole, nei gesti o nella frequenza dei rapporti: è nell'azione. Azione che Muir insegna al pupillo a padroneggiare, a valutare e a scegliere con rapidità ed efficienza a seconda dell'obiettivo. Azione che Muir non esita mai ad intraprendere, sacrificando anche una grossa fetta della sua vita per tentare di salvare l'amico. Sembra solo un gioco di abilità e intelligenza, dove la posta personale è bassissima (Muir sta per andare in pensione), mentre è la prova di un sentimento autentico. L'azione, ancora, è la vera forma di comunicazione fra i due protagonisti, e in questo senso è una metafora del cinema, lineare e potente come non mai: il cinema ci parla efficacemente attraverso l'atto.
Nel definire questo mondo narrativo, il film e la sceneggiatura sono estremamente puntuali: la prima parte dà maggiore spazio alle scene nell'ufficio, raccontando con brevi flash l'addestramento di Bishop. La seconda parte ribalta gli equilibri e dà più risalto alla storia personale di Muir, Bishop e della donna di cui quest'ultimo si innamora, abbassando la quantità di azione che si svolge all'interno del palazzo della CIA. Curiosamente (e forse paradossalmente) questa simmetria dona al film una dimensione che riesce ad avvicinare particolarmente lo spettatore ai personaggi del gioco, facendo finta di raccontare solo azione. Ma, come abbiamo visto, l'azione è il sentimento, nonché il difficile mix di ragione e istinto. Tutto questo sforzo di sintesi genera la necessaria "suspension of disbelief", la "sospensione dell'incredulità", che, unita all'interesse per le vicende personali dei personaggi, non è altro che quello che, ancora una volta, possiamo chiamare realismo. Spy Game è un thriller d'azione perfettamente oliato e splendidamente girato, condotto con l'abilità di messa in scena di un Tony Scott in piena forma, eccitato e divertito narratore di spie. Ma Spy Game è anche un film sulle relazioni umane dai contorni tradizionalissimi: il rapporto tra due amici incrinato e poi ricostruito da e per una donna. Un dualismo assorbito in un perfetto gioco di equilibrismi narrativi. Un meccanismo di riflessione razionale che nasconde l'esigenza istintiva del sentimento: il profilo perfetto della spia. Un dualismo, ancora, inscritto efficacemente in un'unica, spettacolare identità cinematografica, dove il gioco sembra avere più importanza dei giocatori. Mentre in realtà racconta esattamente il contrario.