la Spettatrice
Cartesio è un impostore
di Sabrina Garrett

 
  Italia, 2004
di Paolo Franchi, con Barbara Bobulova, Andrea Renzi, Brigitte Catillon


Stupenda e misera città,
che m’hai insegnato ciò che allegri
e feroci gli uomini imparano bambini,
[…]
come andare duri e pronti nella ressa
delle strade, rivolgersi a un altro uomo senza tremare […]

Se Paolo Franchi - regista formatosi alla scuola di Ermanno Olmi - avesse conosciuto la Roma descritta in queste righe da quel tal Pier Paolo Pasolini che l’ha amata tanto da aver l’ardire di “lasciarci pure la pellaccia”, Pasolini che veniva dal nord ma che cercava il sud, quello dei profondi affetti, del profondo dolore, del profondo sentire, probabilmente non vi avrebbe mai ambientato un film come La spettatrice.
In effetti la storia della solitudine di Valeria comincia in un appartamento a Torino, continua alla fermata di un taxi, prosegue in una sala conferenze sino a diventar parossistica proprio nella “stupenda e misera città” che il cineasta tiene nascosta sotto un velo di cellofan spesso e impenetrabile.
Ti invidio perché sai stare da sola” - dice l’amica bionda mentre la musica del locale da ballo dove è ambientata la scena prende il sopravvento sulle sue parole e inghiotte avida il corpo magro della silenziosa protagonista (una Barbora Bobulova tormentata ma efficace).
Il film è riassunto in questa banale osservazione gettata lì per caso da un personaggio marginale in un momento poco importante di un film italiano che parla di persone sole che stanno al mondo senza viverci dentro.
A chi può interessare?
Quando si pensa alla solitudine si è portati ad identificarla con la vecchiaia, la malattia, l’abbandono. Ma non basta. Per la gente descritta da Franchi la solitudine è uno stato mentale.
Eppure c’è un’enorme differenza tra i tre personaggi con i quali il regista esprime la sua riflessione.
Primo tra tutti: la ragazza giovane e carina che vive con un’amica molto meno (iper)sensibile e molto più ingenuamente felice di lei che non vuole diventare grande perché il mondo la terrorizza ma si limita a galleggiare.
Secondo: il medico affermato e cortese che si lascia manipolare dalla compagna più anziana e determinata (glaciale) di lui e solo alla fine prende coscienza del suo stato di subordinazione mentale e fisica (si è trasferito da Torino a Roma per amore della fidanzata).
A chiudere il triangolo la figura più profonda e drammatica, la più disperata e cristallizzata: la donna legata al ricordo di qualcosa o qualcuno che non c’è più.
E se la Bobulova è costretta a spiare il proprio vicino dalla finestra per illudersi di poter vivere anche lei un amore che nella realtà non è in grado di affrontare, Flavia, donna già adulta interpretata dall’affascinante e femminile Brigitte Catillon, l’amore della sua vita l’ha già vissuto e l’idea che possa esistere una seconda opportunità non la sfiora neppure. Vive nella nebbia.
Iniziato come un film di sguardi e silenzi attraverso un vetro (non solo quello della finestra di un appartamento, ma anche quello della cabina di traduzione in cui è rinchiusa Valeria a Torino, quello del taxi che Massimo prende al suo posto, quello degli autobus romani e delle vetrine dei caffè), il film abbandona presto lo stile da Finestra di fronte e si trasforma rapidamente in un vero e proprio studio psico-sociologico.
Tre soggetti di sesso ed età differenti che vivono la stessa scissione ragione/sentimento e sono posti davanti alla stessa lente di ingrandimento. Sceglieranno la ragione. Finiranno per scomparire dalla vista anche se l’autore, un po’ per solidarietà virile, un po’ perché forse le donne le conosce davvero bene, concede volontà (non dico possibilità) di movimento esclusivamente al suo personaggio maschile che, appesantito da tal 'valore positivo', resta escluso dalla complicità malata che si instaura tra le due donne e rimane quindi ancor più 'fuori dal gioco'.
State tranquilli! Niente improbabili “cambi di gusto” o hollywoodiane amicizie in rosa…
Solo un rassegnato-rassicurante ritorno all’ordine con tanto di lettera-confessione che la donna giovane scrive a quella matura.
Il tema del 'confessare' per alleggerire la coscienza (se ne parla nella scena ambientata in un bar romano), e del parlare per sconfiggere il dolore, vanno in quest’opera di pari passo senza riuscire però a compiersi lasciando inconfessato l’amore e non-detto il dolore.
Un film senza speranza né futuro. Un film che vive del tempo presente concependolo in maniera deterministica e discreta. E se come ha scritto Henry Van Dyke: “Il tempo è troppo lento per chi aspetta, troppo veloce per chi ha paura, troppo lungo per chi soffre e troppo corto per chi gioisce”, nel nostro caso c’è da aggiungere che la diacronia ha la meglio sulla sincronia e che di tempo (chronos) insieme (syn) ce n’è davvero poco!
Siamo soli, per nostra scelta e responsabilità o per colpa di altri con le proprie scelte e responsabilità.
Il Cogito ergo sum ha fondato il nostro sapere ma non ci ha resi felici.
Cartesio è dunque un truffatore?
Certamente sì, e dei più spietati, perché dopo averci rivelato l’essenza, si è ben guardato dal suggerirci la forma.
E noi, pensa pensa, non siamo stati in grado di trovarla da soli