la Finestra di fronte

Il cinema di traverso
di Stefano Finesi

 
  Italia, 2003
di Ferzan Ozpetek, con Giovanna Mezzogiorno, Massimo Girotti, Raoul Bova


Ammettiamo un vago disagio a scrivere de La finestra di fronte: forse andrebbe rivisto un paio di volte, magari pure una decina, aguzzando bene la vista come in un gioco enigmistico. Quello che infatti lascia perplessi, con il dito alzato sulla tastiera, è il plebiscito di pubblico e critica a favore di un film che, anche al di là dei normali e variabili giudizi di valore, ha enormi difetti di scrittura e una credibilità visibilmente traballante. La falla su cui ci arrovelliamo (sarà una nostra svista madornale?) è la mancanza di nesso tra le due storie parallele di Giovanna e del vecchio Davide, che si spartiscono il film: l’una intenta ad accarezzare un adulterio con il bel tipo del palazzo di fronte, l’altro segnato dal ricordo di un clandestino amore omosessuale, a cui si aggiungevano i pregiudizi contro gli ebrei dell’epoca delle leggi razziali.
Qual è la relazione, palese o sotterranea che sia, tra la vicenda di quest’ultimo, tragica e intensa, e i vacillamenti matrimoniali di una giovane moglie, destinata a tornare doverosamente all’ovile? È un vuoto niente affatto marginale, ma un gigantesco non-senso piazzato al cuore stesso del film. Il nesso dovrebbe in teoria stabilirsi, dopo il contatto casuale (Davide perde la memoria e viene accolto dalla famiglia della protagonista), nel momento in cui Giovanna ricavi qualche insegnamento da quella storia, in cui questa segni in qualche modo la crescita e il destino della sua, facendole da contrappunto: ma la scelta di rinunciare a Lorenzo non è forse segnata più che altro da quell’improvviso capovolgimento del punto di vista, quando dalla casa dell’uomo si trova davanti alla propria finestra, diventata improvvisamente l’estranea finestra di fronte? E, soprattutto, quanta consapevolezza c’è in questa rinuncia, vista l’enfasi (furba) con cui Ozpetek sottolinea il vano inseguimento finale per le scale? Giovanna grazie a Davide sceglie di abbandonare la polleria per dedicarsi ai dolci. Questa è l’unico contatto tangibile, in termini di scrittura ragionata, tra i due personaggi.
Anche volendo accettare l’assoluta incompatibilità delle due trame, assistiamo sconcertati al fatto che la storia di Davide si conclude effettivamente a due terzi del film, con il colpo di scena che ci chiarisce come Simone non sia lui ma il suo amante, mentre il Nostro si riveli un ricchissimo genio della pasticceria. La sua vicenda si conclude qui (decesso escluso, ma ininfluente): la sua unica, necessaria giustificazione diventa così quella che si connetta e continui in quella di Giovanna. Ma non succede. È una vicenda chiusa e conclusa, un corpo estraneo capitato nel film come Davide è capitato a caso nella vita di Giovanna, una meteora precipitata a movimentare i sonnolenti ménage condominiali dei protagonisti e a tentare di dare spessore a un cinema di consumo che finge di non rinunciare a un presunto impegno. Per il resto, La finestra di fronte sarebbe l’ormai consueta parata di furbizie sentimentali ed effusioni stilistiche del nuovo cinema italiano, che almeno ha scoperto una strada per il botteghino e già questo sembra un miracolo: tuttavia rendersi conto che a riuscire nel colpaccio sia un prodotto così disarticolato e incongruo, lascia storditi.
Per trovare conferme, riguardiamo il trailer: qui, non a caso, non si accenna affatto alla storia di Davide e l’unica inquadratura del faccione contrito di Massimo Girotti cade nel vuoto, quasi a giustificare il nome nei credits. Forse al potenziale pubblico, qualcuno avrà ragionato, non interessa ascoltare la storia di un vecchio rincoglionito; forse, aggiungiamo noi, nessun montatore sarebbe riuscito a tenere insieme le due storie in quel breve condensato di senso che è un trailer, non esistendo un raccordo minimo neanche in tutto il film. Forse, a conti fatti, più che tornare a vedere il film, conveniva limitarsi al trailer. Forse conveniva anche più che vederlo.