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I Segreti di Brokeback Mountain
Brokeback Mountain, Usa, 2005
di Ang Lee, con Jake Gyllenhaal, Heath Ledger, Michelle Williams, Anne Hathaway, Randy Quaid, Linda Cardellini

Il Wyoming in testa
recensione di Luca Persiani



Brokeback Mountain è un intenso e commovente melodramma di impianto classico. La particolarità dell'operazione sta nel fatto che l’impedimento alla realizzazione della storia d’amore tra i due protagonisti viene dal loro sesso. Ennis Del Mar (Ledger) e Jack Twist (Gyllenhaal) sono due maschi che si amano, e il Wyoming degli anni ’60 non li può tollerare.
Brokeback Mountain è l'adattamento cinematografico del racconto omonimo - in Italia “"Gente del Wyoming" - di E. Annie Proulx, già autrice, fra l'altro, del romanzo “"Avviso ai naviganti" da cui Lasse Hallström ha tratto nel 2001 the Shipping news.
L'ispirazione della Proulx proviene direttamente dalla lunga osservazione della realtà, "l'esame dell'omofobia di campagna nella terra del Nobile, Puro e Grande Cowboy" (Annie Proulx). Due cowboy in senso stretto - pascolano mucche per vivere -, Ennis e Jack sono calati pienamente in un contesto western realistico, con cui in nessun modo sono in contrasto attivamente. Sono outsider, ma non sono due emarginati che rifiutano la società in cui vivono. Accettano fin troppo il loro ruolo all’interno della loro realtà. Per questo il Wyoming è, prima di tutto, nella loro testa. O almeno in quella di Ennis, che rifiuta in modo più deciso la passione che nasce tra i due.
Nel west di Brokeback Mountain non c'è più frontiera. La tensione alla scoperta, alla conquista, alla lotta, è diventata lotta per la sopravvivenza. Ma, contemporaneamente, lo spirito di frontiera rimane. Anche se non c'è più terra da conquistare. Nel film, la traccia di questa violenta contraddizione culturale non è sottolineata, ma la si avverte implicita nel momento stesso in cui si viene immersi nella cultura americana nella sua forma forse più originale. Quella, appunto, dei resti di ciò che era la vita dei pionieri.
La notte di sesso che dà inizio alla relazione tra Ennis e Jack sembra inizialmente solo un accadimento particolare della loro esistenza, un incidente di vita, un episodio di frontiera. Mentre è l'inizio di una storia d'amore profonda e necessaria. La cui transitorietà è invocata spesso da Ennis, in aperto contrasto con la realtà. Oltre che di un amore forse impossibile, il film è la storia di una negazione impossibile. Tanto quanto il terrore di vivere la relazione, i due sono torturati dall'impossibilità di negarlo. Ed è questa tensione, in particolare, che lacera la coppia.
Proprio come il west ormai conquistato, fra Ennis, Jack e la vita si scatenano tensioni contraddittorie. La passione spontanea li costringe ad esplorare la loro sessualità, mentre le regole della società - da loro introiettate - gli chiedono di respingere i loro istinti per creare una famiglia tradizionale.
Quando Ennis e Jack sono sulle montagne, la loro identità è sospesa in una situazione idilliaca, dove inibizioni e regole non hanno valore. I due sono quello che sono, e si amano. Quando scendono in città si amano ancora, ma la loro identità deve ora confrontarsi con la vita sociale. Un discorso pienamente melò e insieme molto semplice. Proprio per questo estremamente coinvolgente.
È ancora più interessante, soprattutto nel confronto col contesto sociale (Hollywood e l'America contemporanea) che lo ha prodotto, che Brokeback Mountain non sia una realizzazione degli esponenti di quello che viene comunemente etichettato come "New Queer Cinema". Ossia di autori che sono personalmente impegnati nei loro film a portare avanti un discorso politico e sociale sull'omosessualità - personalità come Derek Jarman, Gus Van Sant, John Waters, Gregg Araki, Todd Haynes. Il regista e i protagonisti di Brokeback Mountain non solo non sono attivisti gay, ma sono dichiaratamente eterosessuali. Il film è chiaramente privo di una tensione militante, e mostra così ad Hollywood la possibilità di trattare l'argomento come qualsiasi altro tema narrativo. E di trattarlo, per di più, in un contesto assolutamente anomalo anche per il cinema gay. Come nota il critico Ruby Rich, "la grande maggioranza di opere del New Queer Cinema erano drammi urbani, ambientati a New York o Chicago, Portland o Londra" (Ruby Rich, Hello cowboy, "Guardian Unlimited", 23 settembre 2005). Invece "Brokeback Mountain è una tragedia romantica grandiosa, che si aggiunge alle fila della grande letteratura e del grande cinema" (ibidem), un'operazione classica che punta ad una partecipazione emotiva che va oltre il discorso sulla sessualità. Operazione che l'industria non può ignorare. Costato infatti la cifra irrisoria di 14 milioni di dollari, il film ha ripreso i costi di produzione già durante le prime due settimane di programmazione negli Stati Uniti - e in distribuzione limitata a poche città. Mostrando così che un prodotto del genere - che ricade nella schiera di quelli maggiormente temuti dall'industria hollywoodiana, insieme ai film con tematiche religiose - possiede un pubblico consistente (e crescente), oltre al grande consenso di critica (che gli è valso fra l'altro il Leone d'oro all'edizione 2005 della Mostra del Cinema di Venezia).
Il regista Ang Lee (la Tigre e il dragone, Hulk) racconta con grande partecipazione una storia semplice, piccola e forte, sostenuta da due attori perfetti e un uso puntuale e ficcante dell’ambientazione. Il risultato è un racconto intimo e realistico, che crea enorme empatia con tutti i personaggi. Una storia di forza straordinaria, sia quando racconta i passaggi tortuosi di un amore straziante che gli ordinari dettagli di vita di due personaggi normali che si trovano in circostanze eccezionali. Proprio come vuole la rodata regola spielberghiana. Solo che qui le circostanze straordinarie non sono luoghi esotici o situazioni fantastiche. Sono le regole non scritte di una società.