Sangue - la morte non esiste

Prove per un cinema Libero
di Piero D'Ascanio

 
  Italia, 2006
di Libero De Rienzo, con Elio Germano, Emanuela Barilozzi, Luca Lionello, Libero De Rienzo


Ecco un film italiano davvero “giovane”, sperimentale, pieno di idee, fresco e ambizioso come ben si addice ad un esordio. Purtroppo non del tutto riuscito. Il che non nega affatto le qualifiche date in apertura. Sangue è l’opera prima di Libero De Rienzo, attore di belle speranze - già affermate, in gran parte: Santa Maradona, A/R Andata + Ritorno - e ora regista “totale”: infatti scrive dirige interpreta un film tutto suo, molto distante dai toni a cui ci aveva abituato da attore. Estremamente personale, il suo primo è un lavoro bizzarro e sballato come lo sono sempre le cose che nascono e crescono senza dover scendere a compromessi con fattori terzi; perché Sangue è stato realizzato con pochi soldi, da persone che credevano realmente nel progetto. Per questo è libero - come capita d’essere solo al cinema “povero”, sottolinea l’autore - e quella libertà sta tutta sullo schermo, grezza, affascinante, ingenua nella purezza del suo sguardo.
La storia si snoda nel corso di una giornata, quella vissuta, à bout de souffle, da Stella e Iuri, fratelli diversi e legatissimi l’uno all’altra. Partono da una compravendita di hascish, passano attraverso un rave party, caricano un compagno di strada, sfuggono alle forze dell’ordine e approdano infine ad un tragicomico funerale, goffamente officiato da Iuri sotto mendaci abiti da prete. Nel frattempo crescono, alla ricerca di qualcosa che somigli alla consapevolezza di loro stessi.
De Rienzo divide il racconto in tre atti, ma il suo gesto narrativo non va nella direzione della classicità, come farebbe pensare il ricorso alla tripartizione: è piuttosto il contrario, ogni atto facendo quasi storia a sé, e distinguendosi per stile e tono dagli altri due. Nel primo assistiamo alla visualizzazione di ciò che racconta Stella, e che funge da antefatto al blocco centrale; nel secondo passiamo al tempo reale, quello della movimentata giornata dei protagonisti, tra corse in motorino e fughe in auto; il terzo atto è l’epilogo, e si può dire contenga il “messaggio” della storia - il pensiero dell’autore, tout court - sviluppato nel corso della scena più ispirata del film. La messa in scena, ovviamente, varia a seconda dei casi, pur rimanendo costantemente più o meno sopra le righe: ma il forsennato antinaturalismo dello stile, esplicito fin dall’inizio e addirittura furibondo nel secondo atto, si placa nella parte finale, dove l’autore ha evidentemente a cuore il discorso “politico”: cosicché le luci si ammorbidiscono, e la macchina arresta il suo ipercinetismo per far spazio alla presa di coscienza dei protagonisti.
Senza dubbio, è azzeccato l’approccio di De Rienzo alla sua storia, viscerale e accalorato come la “sanguigna” materia che si trova a narrare; inoltre, l’uso in più di un’occasione di una bizzarra cifra grottesca gli permette di uscire dalle maglie troppo riconoscibili del pulp per approdare a qualcosa di meno visto. Si assiste così con piacere all’avventura esistenziale di Stella e Iuri, tanto più che i due hanno i tratti di Elio Germano ed Emanuela Barilozzi: lei sulfurea e pensosa, lui perfetto nell’incarnare la dura evoluzione del suo sfaccettato personaggio; del resto, i due avevano già dimostrato un ottimo affiatamento nel pregevole cortometraggio che li aveva visti per la prima volta insieme, Non riesco a smettere di vomitare di Adriano Ercolani.
Ci sembra vada da sé che i difetti dell’opera coincidano, o derivino, dalle sue stesse virtù: e quindi uno smaccato compiacimento stilistico, che poteva essere attenuato in alcuni passaggi, a beneficio dei momenti cruciali del racconto; l’eccesso di retorica, frutto di una grande partecipazione emotiva dell’istanza narrante; la pretenziosità dei sottotesti, in un susseguirsi di simboli spesso in bilico sul crinale tra sublime e ridicolo.
Ma a conti fatti, Sangue non poteva essere che così; e a noi viene spontaneo incoraggiare Libero a riprovarci, con maggiore e inevitabile consapevolezza. Così come ci viene spontaneo rammaricarci, e non poco, alla notizia che il film venga distribuito in Italia in sole otto copie, e in un’unica sala qui a Roma. Ci sembra un po’ come buttarlo via, ed è un vero peccato.