Pirati dei Caraibi:
la maledizione del forziere fantasma

Jack Sparrow e la seconda luna
di Giulio Frafuso

 
  Pirates of the Caribbean: Dead Man’s Chest, Usa, 2006.
di Gore Verbinski, con Johnny Depp, Orlando Bloom, Keira Knightley, Bill Nighy, Naomie Harris


Oltre ad essere un divertentissimo giro su una giostra perfettamente oliata, il primo episodio della trilogia aveva in un certo modo stabilito che il processo di scrittura cinematografica andava definitivamente rivolgendosi ad un pubblico di età non superiore ai 13 anni. Lo script dei fantasiosi Ted Elliott e Terry Rossio rappresentava il miglior esempio possibile di funzionalità narrativa applicata ad uno spettacolo destinato all’intrattenimento intelligente ma di certo non “adulto”. Uscito nell’estate del 2003 senza troppi clamori, la Maledizione della prima luna aveva inaspettatamente incassato più di 300 milioni di dollari sul solo mercato americano, ed aveva decretato il definitivo accesso di uno scatenato Johnny Depp/Jack Sparrow nell’Olimpo degli attori di culto mondiale (con tanto di prima nomination all’Oscar, quando Depp ne avrebbe meritate in precedenza almeno altre tre o quattro).
Jerry Bruckheimer, che di certo non è uno che di mercato non se ne intende, ha immediatamente messo in cantiere secondo e terzo episodio da girare insieme, lievitando il budget di produzione ed allo stesso tempo contenendolo nell’unica lavorazione. Il problema è che, come spesso accade ai secondi episodi girati ad Hollywood, l’incremento di milioni di dollari nel budget è inversamente proporzionale alla creatività inserita nell’ideazione della storia e nella costruzione dei personaggi. Questo Pirati dei Caraibi risulta essere quindi un blockbuster gonfiato al testosterone, pieno di scene roboanti e di splendidi effetti speciali in superficie, ma che nel profondo nasconde una trama rachitica e sfilacciata, e soprattutto delle caratterizzazioni che sono la pallidissima fotocopia dell’originale. Se però Depp rende comunque il suo pirata un guascone irresistibile in virtù di un istrionismo recitativo che oggi non ha eguali, Bloom e la Knightley si arrendono al ruolo di semplici pedine da muovere per mandare avanti l’intreccio. Due ore e mezzo di durata sono poi davvero troppe per una pellicola che non ha un centro narrativo, e che sembra trascinarsi avanti solo per arrivare a gettare le basi per il terzo episodio. E qui invece sta il pregio del film di Verbinski: le trame aperte, gli spunti narrativi, le sorprese che ci vengono confezionate nell’ultima mezz’ora - accompagnate da una sequenza finale che a dire il vero è portentosa - ci lasciano immaginare una conclusione pirotecnica ed avvincente. Non ci resta quindi che goderci anche questo secondo giro sulla giostra dei pirati, meno elettrizzante anche se più lungo, ed aspettare che l’ultima corsa ci porti al termine di un percorso che comunque abbiamo intrapreso con la massima gioia possibile (e con lo sguardo ed il cuore di un tredicenne, condizione necessaria anzi indispensabile per salire sulla giostra…).