Oliver Twist

Il testo e l’autore
di Giulio Frafuso

 
  id., Gran Bretagna, 2005
di Roman Polanski, con Ben Kingsley, Barney Clark, Leanne Rowe, Jamie Foreman, Mark Strong


Vi sono tutta una serie di autori sparsi nella cinematografia internazionale che per esprimere al massimo le proprie potenzialità cinematografiche hanno bisogno dell’appoggio ad un testo non originale, o meglio di un’idea già sviluppata su cui poter lavorare come base di partenza per un progetto che diviene poi del tutto personale. Quando si cerca nella schiera di questo cineasti, senza dubbio il nome che viene subito alla mente è forse il più grande di tutti, e cioè Stanley Kubrick. Dopo di esso però uno dei nomi più gettonati sarà probabilmente quello di Roman Polanski, che a parte la sceneggiatura di Chinatown - scritta peraltro da un grande come Robert Towne – ha diretto molti dei suoi massimi capolavori traendone la storia da opere letterarie preesistenti. Stiamo parlando di lungometraggi entrati di diritto nell’”olimpo” delle opere da venerare, e primo tra tutti quello strepitoso esempio di cinema di genere che è Rosemary’s Baby - tratto dal romanzo di Ira Levin -, horror cult interpretato da Mia Farrow e dal mai troppo compianto John Cassavetes. Oltre a questo, altre pellicole di notevole risultato estetico come L’inquilino del terzo piano, Tess, La morte e la fanciulla, oppure l’ultimo exploit di critica e pubblico de Il pianista, che gli è valso addirittura l’Oscar. Ebbene, per questo suo nuovo adattamento del celeberrimo romanzo di Charles Dickens il saggio Polanski ha lavorato ancora sull’adattamento di Ronald Harwood, sceneggiatore che già aveva scritto il suo precedente film (ed autore dello script di un altro piccolo gioiello come La diva Julia). Nel caso specifico di Oliver Twist il confronto con un classico talmente importante della letteratura mondiale ha portato Harwood a concepire una sceneggiatura che segue in maniera quasi filologica, adattamento che in questo caso sembra nuocere alla trasposizione cinematografica: attento a non tradire in nessun modo gli eventi e l’atmosfera del libro (a parte qualche rarissima eccezione), il film di Polanski soffre di una evidente eterogeneità nel ritmo narrativo, che in alcuni momenti rallenta inopinatamente fino a precipitare nella noia: a questo fin troppo timoroso “rispetto” dickensiano si adegua perciò anche il montaggio, incapace di sostenere e snellire la materia trattata: soprattutto nell’incipit della storia, ma anche in molti altri momenti, Oliver Twist procede farraginoso e pachidermico. Anche la messa in scena voluta da Polanski, assolutamente impeccabile, non possiede però quel guizzo di originalità che distingue la sua regia come nelle opere più riuscite del grande cineasta polacco.
Detti i difetti di struttura del film, non possiamo però non evidenziarne anche i notevoli pregi: nella già sottolineata eccellenza della fattura estetica del lungometraggio spiccano le soavi musiche di Rachel Portman, che sottolineano con naturalezza e vigore sia i momenti drammatici che quelli più leggeri. L’applauso più sentito va però alla grande interpretazione di Fagin che ci regala Ben Kingsley, clamorosamente capace di uscire per una volta dalla sua solita, (forse fin troppo) rigorosa compostezza di recitazione per vivificare un “cattivo” istrione ma umanissimo, roso in maniera impercettibile dalla miseria dei suoi peccati e per questo tanto più vicino alle corde della compassione.