Miami vice

Miami Mann
di Adriano Ercolani

 
  Id., Usa, 2006
di Michael Mann, con Colin Farrell, Jamie Foxx, Gong Li, Luis Tosar, Naomie Harris, John Hawkes


Ed ecco finalmente arrivarci, prezioso e mastodontico, il nuovo tassello che Michael Mann ha aggiunto alla sua già straordinaria filmografia, riprendendo in mano l’antico progetto di trasposizione cinematografica della serie televisiva che negli anni ’80 l’aveva lanciato.
Rispetto al clamoroso processo di rarefazione/concentrazione estetica compiuto con Collateral in effetti la rotta di Mann sembra essersi consapevolmente invertita: Miami Vice è un film che tende al sovraccarico, che in qualche modo ostenta la sua natura testosteronica e muscolare. Eppure in due ore e un quarto di durata il lungometraggio non subisce alcun visibile sbandamento di ritmo o soprattutto di tensione narrativa: ogni idea, ogni spunto vengono sapientemente gestiti grazie ad un energia interna alla messa in scena che si sprigiona principalmente nelle scene d’azione, ma che si manifesta trattenuta e pulsante nella tagliente stilizzazione dei dialoghi.
Nel passare a raccontare dell’estetica del film, va subito confermato che Miami Vice è un’opera assolutamente poderosa. Non si può ovviamente non partire dall’impatto visivo, che come in tutti i lavori di Mann ha il potere di farti sussultare soltanto (anzi, soprattutto) con un semplice campo/controcampo; basterebbe la sola scena iniziale, ambientata dentro una discoteca affollata, per illustrare come il cineasta sia al momento un innovatore nella costruzione dello spazio filmico: tutta una serie di personaggi vengono inseriti in un caos di suono e movimento, all’inizio abilitati a comunicare solo con lo sguardo, a generare quindi delle direttrici geometriche che guidano lo spettatore all’interno del disordine; il processo iniziato con la scena “gemella” in Collateral qui viene addirittura organizzato con più figure da seguire, e l’effetto che se ne ricava è a dir poco inaudito. Come sempre, la capacità di Mann di lavorare dentro all’inquadratura testimonia ancora una volta come a mio avviso egli sia al momento il più importante regista (mi raccomando, non autore...) sulla piazza. E’ nei momenti di pausa, quando si potrebbe girare delle inquadrature apparentemente insignificanti in scene di raccordo, che bisogna trovare il valore assoluto del suo cinema: a livello puramente visivo ad esempio il momento che più mi ha impressionato del film è quando l’intera squadra di poliziotti costringe il loro informatore ad aiutarli. Un momento di transizione, girato con tutte inquadrature fisse e quasi tutti totali sulla stanza, in cui gli agenti si sono disposti ad hanno in qualche modo “accerchiato” la loro preda. Un capolavoro di giochi polifonici e di uso della profondità di campo.
Oltre alla prevedibile bellezza estetica Miami Vice possiede anche delle insospettabili dosi di una strana alchimia interna: prima tra tutte quella tra due attori che mai ci saremmo aspettati di vedere recitare insieme, Colin Farrell e Gong Li, i quali sprigionano invece una carica di drammatica energia davvero impressionante, arrivando a coinvolgere lo spettatore in una love-story abbastanza “telefonata”. L’altro perfetto discorso sui personaggi che Mann porta avanti dai tempi de L’ultimo dei Mohicani, passando soprattutto per Heat ed Insider, è il senso di appartenenza ad un gruppo, ad una squadra che condivide con i protagonisti la stessa visione del mondo e ne asseconda silenziosa ma partecipe le pulsioni più recondite; se le star del film sono Foxx e Farrell, i veri protagonisti sono un gruppo di uomini (e donne) con una missione da compiere.
A suo modo, Michael Mann è uno dei pochi cineasti al mondo in grado di proporre ancora un tipo di cinema che rimanda direttamente a quello “classico”, in cui ciò che avviene davanti alla macchina da presa è più importante della stessa. Avendo trovato ed affinato con gli anni e con i film un suo stile precisissimo e pienamente riconoscibile, è arrivato a livelli di coerenza autoriale (a mio avviso questo è il senso primo del termine) che devono essergli riconosciuti anche quando ci regala opere sbilanciate come questo Miami Vice. Perché comunque basta un guizzo, una scena, forse anche solo un’inquadratura, ed il cinema di Mann riesce a prendere fuoco ed incendiare chi guarda. O almeno questo succede a me.

Ndr - Questa recensione di Miami Vice è già stata pubblicata sul sito www.close-up.it. In seguito ad una seconda visione del film, che ha comportato ulteriori approfondimenti sulla comprensione dell’opera, ne sono state apportate alcune modifiche.