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Collateral

Into the night
di Adriano Ercolani


Venezia 61 - 2004
  id, Usa, 2004
di Michael Mann, con Tom Cruise, Jamie Foxx, Mark Ruffalo, Javier Bardem, Jada Pinkett-Smith, Bruce McGill


Nel processo di significazione dell’immagine-cinema, il lavoro compiuto da Michael Mann rappresenta probabilmente il discorso estetico più rigoroso e coerente svolto da un regista all’interno del cinema americano degli ultimi venti anni. Anche dopo la separazione dal fido collaboratore alla fotografia Dante Spinotti - con cui non lavora dai tempi di Insider, il punto forse più alto della carriera di entrambi - il cineasta è comunque riuscito a portare avanti un’idea di cinema assolutamente precisa e riconoscibile, la cui cellula primaria e portante è proprio la composizione dell’immagine: un’inquadratura estrapolata da opere come Manhunter, Heat, o Alì contiene in sé un lavoro di sperimentazione e di significazione rigorosa difficilmente rintracciabili in altri registi con una tale consapevolezza e coerenza. Il taglio e l’angolazione dell’inquadratura, l’uso del fuoco o del grandangolo, oppure più semplicemente della sola luce: tutte queste componenti, assemblate tra loro sempre secondo una stessa filosofia estetica, hanno portato alla composizione di un mosaico di rara bellezza, che racchiude in sé più pellicole legate tra loro, ed il cui filo conduttore è appunto la pregnanza e potenza del lavoro sull’immagine. Ora, la cosa assolutamente straordinaria del lavoro di Mann è che è riuscito a caricare talmente la sua visione cinematografica proprio sottraendo al resto delle componenti di cui un film è composto: un primo piano su Al Pacino, su Robert De Niro o Russell Crowe, su William Petersen o Will Smith contengono in sé già un così grande numero di informazioni psicologiche che allora l’autore si è potuto permettere di sottrarre spazio ala lungaggine della parola, del dialogo, procedendo così ad una sublimazione capace di alleggerire e slanciare tutti i suoi film. Nelle opere più riuscite di Mann il lavoro di sottrazione e stilizzazione visiva ha compiuto l’impresa di eliminare la parola; l’immagine, sempre più rarefatta e preziosa, è diventata il primo ed assoluto veicolo di racconto, comunque sempre diretta verso un processo di sintesi inaudito.
Ora, perseguendo tale scelta stilistica, a noi pare assolutamente coerente che Mann arrivasse prima o poi a tentare la strada del digitale, (non)formato capace di scarnificare al massimo l’immagine, ma allo stesso tempo pronto a decretarne definitivamente l’importanza se usato secondo criteri coerenti e soprattutto volti a non considerarlo un “parente povero” della pellicola. Va da sé perciò che sotto questo punto di vista Collateral è l’opera più rischiosa e sperimentale di Mann, e questo anche se il risultato estetico non fosse stato così assolutamente straordinario. Finalmente, cosa che il cineasta ha sempre tentato di fare, ambiente e personaggi riescono a fondersi in un unico marasma di colore e soprattutto di oscurità; sfruttando in tutte le sue potenzialità l’appiattimento, la mancanza di profondità che il digitale fornisce all’immagine, il regista è riuscito a condensare la sua triste e sfavillante Los Angeles in una serie di fotografie oseremmo dire surreali, in cui si dipana la storia altrettanto borderline del tassista Jamie Foxx e del suo inquietante passeggero Tom Cruise. Strade deserte, non-luoghi densi di colori saturati come la discoteca, soprattutto il taxi in cui i due protagonisti-antagonisti si conoscono e si confrontano: tutti gli ambienti di Collateral sono allo stesso tempo tangibili ed astratti, semplicemente riconoscibili ma non identificabili, e diventano a loro volta attore di ruolo fondamentale nel processo di stilizzazione del film, che tocca vertici inusitati. Ed insieme a questo, Collateral è un thriller serrato, coinvolgente, un’opera capace di straordinarie accelerazioni di ritmo e di scene d’azione di rara efficacia. Quello che davvero sorprende è poi la perfetta fusione di un progetto così lucido con una dose altrettanto compiuta di attenzione alle regole del genere, rispettate in ogni particolare anche dalla magnifica sceneggiatura di Stuart Beattie.
Rigoroso e sperimentale, sporco e sublime, Collateral ci accompagna per due ore nel più incredibile “tutto in una notte” che si ricordi: Jamie Foxx e soprattutto Tom Cruise offrono il meglio delle loro capacità nel riempire due personaggi già di per sé pieni di sfaccettature, che esprimono la loro vita interiore in maniera istintiva, quasi animalesca, reagendo così alle leggi della giungla cittadina che vengono loro imposte. Michael Mann per certi versi ha davvero sfornato il suo capolavoro, trovando il punto più alto raggiungibile da ogni componente della macchina-cinema. La sua capacità di costruire l’opera in modo da elevare la tensione fino al climax viene riproposta in questo film al suo massimo; ed infatti gli ultimi venti minuti di Collateral rappresentano una sinfonia visiva, cromatica, sonora e soprattutto emozionale che davvero non verrà dimenticata.