la Meglio gioventù - Atto II
L'Italia dei nostri padri
di Luca Persiani


la Meglio gioventù
Atto I

  Italia, 2003
di Marco Tullio Giordana, con Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Sonia Bergamasco, Jasmine Trinca, Fabrizio Gifuni, Adriana Asti, Maya Sansa


Il più straziante e sincero film italiano degli ultimi 30 anni, almeno a partire da Pasqualino Settebellezze, di Lina Wertmuller (1975): basterebbe dire questo de la Meglio gioventù per ipotizzare come mai quest'opera non abbia trovato subito il posto che meritava nell'ottuso palinsesto televisivo pubblico, a cui era naturalmente destinata. Un posto che gli spetterebbe d'urgenza. Perché il film di Marco Tullio Giordana afferma con chiarezza una serie di necessità insopprimibili, ormai completamente assenti dal cinema italiano da molti anni.
La prima è la necessità narrativa. Il bisogno di costruire personaggi, dialoghi e situazioni credibili, riconoscibili, fluidi e coerenti. Elementi con cui lo spettatore possa immedesimarsi, e che di conseguenza generino quello che è il punto di partenza necessario alla fruizione di un opera cinematografica narrativa: l'intrattenimento. Intrattenimento inteso come capacità di trattenere e appassionare uno spettatore di fronte al mondo coerente creato da storia e immagini.
La seconda è la necessità registica. Tutte le scelte di messa in scena appaiono assolutamente coerenti e al servizio della narrazione, senza che questo sottragga nulla alla personalità di regia, fotografia e montaggio.
La terza è la necessità di legare la storia dei personaggi alla realtà. Dal 1966 ad oggi, la Meglio gioventù narra con fluidità i drammi e la felicità di una famiglia italiana, che attraversa la realtà dei suoi tempi partecipandone e incarnando il grado di comprensione di quella stessa realtà. Da testimone e protagonista, ne vede progressivamente sfocare i contorni, sempre più trascinata in una prospettiva sociale dissociata e incomprensibile, a cui corrisponde una devastazione del privato di agghiacciante puntualità. Se la Meglio gioventù sembra riuscire meno, nel secondo atto, a focalizzare la realtà che circonda i protagonisti, è solo perché anche loro, come noi, non riescono a farlo. Ma l'ombra e il riflesso degli anni ottanta e novanta si stagliano con devastante precisione sulle vite dei personaggi, trasfigurando il melodramma del privato nel racconto dello smarrimento del senso che esplode profondamente nelle cellule base del tessuto sociale, quelle create dalle relazioni umane.
La quarta necessità è quella di riuscire finalmente a parlare chiaramente, anche se in modo molto limitato, della devastazione sociale italiana, impiantandone con lucidità la coscienza fin negli anni sessanta, quando, ad un professore universitario, gli sceneggiatori Rulli e Petraglia fanno consigliare al protagonista Nicola di andarsene dall'Italia, un paese di immobili dinosauri, fra i quali il docente si include. E quando, ancora, negli anni novanta, un dirigente pubblico arrestato per tangenti fa una lucida e amara analisi del sistema concludendo, senza poter essere smentito in alcun modo, che questa è "l'Italia che hanno fatto i nostri padri". "Non il mio", gli risponde Nicola, "mio padre era un uomo onesto". E noi gli crediamo (almeno quanto non credevamo all'"uomo perbene" del film di Maurizio Zaccaro su Enzo Tortora), ma solo perché, essendo un padre cinematografico di un certo tipo, deve essere stato esemplare, e sapendo comunque che è tale solo nel ricordo di un personaggio, non essendo nei fatti riuscito a tutelare sufficientemente i suoi figli, che non raggiungeranno tutti la vecchiaia serenamente.
In ogni caso, un sasso è stato gettato, mosso da una credibilità narrativa rarissima e sentita. Un sasso distribuito in modo contraddittorio e soffocante (un film per la tv di sei ore proiettato al cinema a fine Giugno in due parti?), pieno di pecche, di omissioni anche gravi e sbavature vistose, e, volente o nolente, parte di quei film italiani in cui, come dice Marco Giusti, non si sente neanche nominare Silvio Berlusconi. E nonostante tutto questo, esempio unico e punto di partenza di cosa e come si potrebbe raccontare in questo paese, al cinema e in televisione, di quali possano essere gli standard produttivi ed estetici dell'audiovisivo italiano, e, nel confronto con le altre produzioni di fiction televisiva e cinematografica, di quale sia il grado di limitatezza e censura culturale, politica ed estetica di un sistema preistorico immobile, risibile e frutto dell'eredità di padri a cui sarebbe stato da tempo necessario non portare più rispetto.