Man on fire

Sulla morale della vendetta
di Seth Boccia


Venezia 61 - 2004
  id, Usa, 2004
di Tony Scott, con Denzel Washington, Christopher Walken, Dakota Fanning, Marc Anthony, Radha Mitchell, Giancarlo Giannini, Mickey Rourke


Il cinema di Tony Scott (come quello di Adrian Lyne) si è sempre rivestito di una patina modaiola ma moderna ed efficace. Uno stile vigile, veloce e intenso ma sempre sorvegliato e necessario al racconto, a volte pioniere teso verso la sperimentazione linguistica. Anche in Man on fire si respira quest'aria, anche se le soluzioni estetiche non mostrano alcuna innovazione. A parte, forse, l'uso di scritte in sovrimpressione che "doppiano" il dialogo in momenti particolarmente intensi, un espediente direttamente prelevato da consuetudini della pubblicità (campo molto frequentato da Scott) che è qui sfruttato intensamente, senza paura di sbavare - come qualche volta avviene - verso il ridondante.
Lo stile di Scott è al servizio di una favola di vendetta (come già in Revenge) assoluta e spietata, condotta con un'intensità, una violenza e delle pretese narrative di realismo raramente viste su uno schermo cinematografico. E da una posizione morale priva di ambiguità, chiara come una tragedia greca, inaccettabile come una condanna a morte, compiuta come un percorso di vita. In poche parole, pienamente catartica.
Il racconto imbastito da Brian Helgeland (già sceneggiatore di L.A. Confidential e Mystic River) è basato sul romanzo omonimo (1980, di A. J. Quinnell, uno pseudonimo che tuttora nasconde la vera identità dell'autore) originariamente ambientato in Italia e legato ai rapimenti mafiosi. Nel film la storia viene spostata in Messico, dove il rapimento è una delle imprese illegali più diffuse e organizzate. Qui l'ex soldato Creasy (Washington) recupera un po' della sua umanità attraverso il rapporto con la sensibile Pita (Fanning), giovanissima figlia di ricchi del luogo, di cui è la guardia del corpo. Solo per vedersela rapire sotto gli occhi. "Ora è una faccenda personale": l'assunto classico del vendicatore da grande schermo ha così la possibilità di essere esplorato fino in fondo, con un carico di violenza e rabbia privo di freni e misura. E, naturalmente, di giustizia civile. Ma profondamente catartico, grazie all'attento lavoro di costruzione dell'empatia fra Creasy e Pita, dell'ambientazione degradata, del cinismo e opportunismo da cui sono costruiti tutti i legami interpersonali. Tranne quello tra Creasy e Pita.
E se sulla opportunità della vendetta Man on fire rimane profondamente ambiguo, sulla sua morale e sulla responsabilità che tale viaggio comporta è assolutamente chiaro e inappuntabile. Il dolente finale, nella sua quadratura narrativa, descrive l'inevitabile prezzo dell'estrema catarsi personale con commozione e precisione, con un afflato quasi biblico nel mostrare quale sia l'unica evoluzione possibile di un violento debito di sangue.