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Into the wild
Id., Usa, 2007
di Sean Penn, con Emile Hirsch, Vince Vaughn, William Hurt, Marcia Gay Harden, Kristen Stewart, Katherine Keener

Un mondo migliore è possibile?
recensione di Adriano Ercolani



Attenzione, heavy spoiler! L’articolo che segue contiene informazioni sull’epilogo della storia di questo film

In un mondo estraniante come quello attuale, in una società mercificata e centrifuga come quella occidentale, c’è ancora spazio per la ricerca di contatto tra individuo ed ambiente circostante? Probabilmente no, visto che la ricerca, il soddisfacimento di tale bisogno vengono ormai relegati nella sfera dell’utopia. La domanda che segue è consequenziale: al giorno d’oggi è ancora possibile inseguire le proprie utopie? La risposata è la stessa: ormai non c’è più posto per il sogno, la speranza di tornare a ricreare la sintonia perduta tra singolo e collettività, intesa come qualcosa che va oltre alla semplice addizione di unità. La bellezza dolorosa di Into the Wild è che per tutta la sua durata questo film ha ben chiaro che questo traguardo è impossibile, e lo smarrimento che serpeggia sotterraneo non abbandona mai chi lo guarda, anche nei momenti più catartici. E non è soltanto perché si conosce già la vicenda vera e sfortunata di Christopher McCandless, su cui Jon Krakauer ha basato il libro “Nelle terre estreme”, ispirazione per Sean Penn. La consapevolezza che al ricerca del ragazzo è diretta verso un qualcosa che non esiste più e una sensazione tangibile in ogni momento della pellicola, e la accompagna costantemente. Per questo Into the Wild è ancora più importante e necessario, perché afferma con tuta la forza che ha che l’utopia è ancora un bene che deve essere inseguito e fatto proprio, un tesoro arduo che è inscindibile dall’animo umano. È nella ricerca che si esplica il valore dell’individuo, non nel raggiungimento dell’obiettivo.
Sean Penn continua a cavalcare l’onda cinematografica del “free american cinema” degli anni ’70, che già aveva dato notevoli risultati con il precedente lavoro da regista la Promessa. La messa in scena sembra correre dietro al momento, all’istinto, al desiderio di chi è dietro la macchina da presa ma anche delle figure che vi sono davanti. Notevolmente aiutato anche dalla fotografia ariosa del francese Eric Gautier e dalle ballate semplici e ficcanti di Eddie Vedder, Penn evita giustamente un tipo di regia raffinato in favore di uno sguardo più libero e selvaggio, pronto a raccogliere ogni tipo di input gli viene dato dall’ambiente circostante. Il risultato estetico possiede una forza a tratti stordente, una burrasca emozionale che raramente è stata trovata dentro un cinema in tempi recenti. Totalmente coinvolto nell’idea di Penn, il giovane Emile Hirsch affronta poi il “suo” Christopher McCandless con una partecipazione emotiva e fisica che da sole sarebbero bastate a fare di Into the Wild un grande lavoro. Ed invece ad appoggiarlo si trovano comprimari appassionati come Katherine Keener, Hal Holbrook - collante esplicito con quel periodo di cinema che Penne sembra sempre tener a mente e nel cuore -, Marcia Gay Harden, un grande William Hurt ed una bellissima Kristen Stewart.
Alla fine del suo viaggio, quando Christopher McCandless ha raggiunto la sua verità e vuole tornare nel mondo come un uomo nuovo, la stessa natura che ha cercato con tanta ostinazione gli impedirà la via del ritorno, condannandolo a veder svanire la sua idea di libertà mentale e spirituale proprio attraverso la sua totale messa in atto. L’utopia dell’uomo è sconfitta, la sua natura si dimostra effimera, o meglio impossibile da praticare: Into the Wild ci racconta però che essa va ugualmente alimentata, e questo messaggio è tanto doloroso quanto radicalmente salutare.