|  | Era tanto tempo  
          sostiene François Ozon - che 
          volevo fare un film su una coppia. Un film che parlasse delle difficoltà 
          della convivenza e della routine quotidiana. Quando ho scoperto lopera 
          di Fassbinder, ho capito subito che non avrei dovuto scrivere una sceneggiatura 
          originale perché esisteva già un testo che parlava esattamente 
          di quello che mi sentivo di raccontare. Il testo in questione, 
          Tropfen auf heisse steine, fu scritto per il teatro (e mai 
          rappresentato) da un Fassbinder 19enne ma già perfettamente consapevole 
          della serie di meccanismi e ossessioni che avrebbe esplorato in una 
          carriera breve e intensissima: la coppia rappresenta in realtà 
          solo il sistema base di questa esplorazione, il nucleo minimo e ravvicinato 
          da cui partire per metterla in atto. Quello che interessa a Fassbinder 
          (e di riflesso a Ozon) è infatti soprattutto la lettura delle 
          relazioni personali e sociali in termini di rapporti di forza, allinterno 
          di una dinamica vittima-carnefice che investe i singoli individui tra 
          loro e nella loro necessaria dipendenza dal potere coattivo dellapparato 
          sociale sovrastante. Il giovane Franz si innamora del maturo Leopold e ne diventa presto lo schiavo; quando entrano in gioco anche le rispettive ex, anche queste entrano nellorbita del potere di Leopold. Lunica alternativa a questo potere si dimostrerà essere il suicidio. Il meccanismo è cristallino ed è tarato sul bisogno senza scampo generato dallossessione amorosa: Vera è lamante del passato, ripudiata e offesa ma ancora postulante, Franz è lamante del presente, che percorre il tragitto completo dal primo incontro al suicidio, Anna sarà lamante del futuro, anche lei probabilmente destinata allo sfruttamento morale e materiale fino alla consunzione. Le dinamiche della coppia rimandano però, come abbiamo detto, anche a strutture più ampie, al ruolo della società (Leopold è un agente assicurativo e racconta di come la sua azienda abbia causato indirettamente il suicidio di uno dei suoi clienti) e della famiglia (lindifferenza crudele della madre di Franz), pur rimanendo ovviamente il terreno drammatico prediletto dallesplorazione. Ozon non riprende solo il testo fassbinderiano, ma sembra mutuare dal regista tedesco diversi espedienti di messinscena, nellutilizzo degli spazi claustrofobici e in quello, ad esempio, delle canzoni, la cui irruzione può sottolineare la drammaticità di un momento (la straordinaria Traum) o provocare un improvviso straniamento, come nel caso del balletto corale a ritmo di disco music. Il procedimento di base che Ozon tenta di ricreare è infatti soprattutto quello dellalternanza, tipicamente fassbinderiana, di coinvolgimento e straniamento. Picchi di partecipazione che vengono raffreddati un attimo dopo: questa declinazione del melodramma è forse leredità più evidente che il regista francese vuole mettere in atto, anche se poi tutta loperazione, che ha uninnegabile componente di archeologia cinefilo-sentimentale, presuppone una sorta di distanza di sicurezza, attiva per tutto il film. In fondo Ozon porta sullo schermo una pièce di Fassbinder nel modo in cui crede lavrebbe messa in scena il suo autore, ricalcandone gli stilemi della messinscena e caricandosi mentalmente delle sue ossessioni (basti pensare che il passato di Vera, transessuale operato per amore, era assente nel testo originale e viene ripreso da Ozon dallidea centrale di Un anno con tredici lune), con il risultato che si può avvertire costantemente un inevitabile, sottile distacco dalla materia narrata, accresciuto dallimpianto consapevolmente teatrale. A proposito de La pianista di Haneke avevamo parlato di melò non compassionevole, per il modo in cui il regista austriaco esplora e raggela al tempo stesso la natura incandescente del melodramma. Per Gocce dacqua su pietre roventi si potrebbe parlare sì di melodramma a pieno titolo, in cui la cifra delleccesso è realmente partecipata e momenti di vera commozione tengono insieme il circuito autore-film-spettatore, ma non si può non tener conto di come il lavoro fatto da Ozon su Fassbinder dia vita necessariamente a un discorso di secondo grado, a una visione comunque indiretta. Luniverso del grande regista tedesco, così visceralmente compatto, rivive in una costruzione che ne riprende e illustra lintimo funzionamento, con passione sincera ma anche in uninevitabile (e a suo modo struggente) differita. |