Danza di sangue
Cine/malkovich
di Luca Persiani


Venezia 59 - 2002
  the Dancer upstairs, USA / Spagna, 2002
di John Malkovich, con Javier Bardem, Laura Morante, Juan Diego Botto, Elvira Minguez


Danza di sangue aiuta a trovare il senso di una definizione ormai controversa e quasi implausibile: quella di cinema d'autore. John Malkovich è un attore, un produttore e un distributore dal volto ferino e dalle scelte particolari, che oscillano in modo assolutamente naturale fra il mainstream (Con air, Nel centro del mirino, Giovanna D'Arco) e l'indipendenza più spinta (Ghost World, Ritrato di signora, L'ombra del vampiro, Essere John Malkovich), tracciando il profilo di una personalità artistica estrema e controversa. Nella maggior parte dei casi c'è un filo rosso che lega le scelte dell'attore dell'Illinois: la qualità della narrazione del progetto a cui partecipa.
Il primo film da regista di Malkovich è tratto dal romanzo di Nicholas Shakespeare e da questo stesso scritto, un romanzo ispirato alle vicende storiche che hanno visto il gruppo di Sendero Luminoso protagonista del terrorismo armato in America Latina. L'obiettivo di regista e sceneggiatore è chiaro: riportare con vividezza l'atmosfera tesa e sconvolta di uno stato e di chi lo abita quando si trova di fronte alla seria minaccia di una rivoluzione violenta e inafferrabile. Il film sceglie di raccontare questo attraverso gli occhi di Agustin Rejas (Bardem), il poliziotto alla caccia del capo dell'organizzazione terroristica, poliziotto dall'esistenza assolutamente ordinaria (va a prendere i figli a scuola, fa le pulizie a casa), ordinarietà che tenta a tutti i costi di far quadrare con l'esigenza di fare il suo dovere e la necessità di navigare in un contesto comandato da un quadro politico radicalmente corrotto. E' proprio in questa tensione impossibile, tensione che il film sceglie di reggere fino alla fine, che sta la riuscita più sbalorditiva di Danza di sangue: ammantato di un realismo preciso nel cogliere tanto le emozioni dei personaggi che il fango delle strade e la morte violenta, il film mantiene sempre un'imperturbabilità narrativa che ne fa quasi uno specchio della maschera di Malkovich - una tensione ferina nascosta da modi impeccabili e un controllo totale. Danza di sangue procede per accumulo, raccontando con studiata lentezza la storia con due punti di riferimento estetici precisi: il volto e il corpo di Bardem, di un controllo espressivo che da solo definisce il realismo dell'operazione, e la violenza drastica e lucida del terrorismo inafferrabile di Ezequiel. Fra questi due elementi si intrufola come per caso Yolanda (una Laura Morante mai così ben fotografata e diretta), una insegnate di danza che sembra incarnare la zona più umana della storia, il lido fuori dalla contingenza di morte della realtà del Paese, e che catalizza per questo l'attenzione di Rejas. La storia fra i due è raccontata seguendo la ferrea regola di realismo e antimelodramma che è la cifra più personale dello stile di Malkovich, attento a cogliere con precisione dettagli e disposto a prendersi i tempi necessari per convincere lo spettatore ripulendo il racconto di ogni stilizzazione e cliché. Il dramma e il melodramma si intrufolano inevitabilmente nella storia, che mantiene però una temperatura emotiva raggelata, ma non per questo, sorprendentemente, meno efficace. Questa impresa ardua, pienamente riuscita, fa di Danza di sangue un film difficile e particolare che rinuncia in partenza ad una parte del pubblico a cui avrebbe potuto aspirare (quello del melò-thriller più consueto), ma il cui stile e le cui scelte sono pienamente credibili e giustificate come espressione diretta di una concezione narrativa personale, definita e seria. In poche parole, Danza di sangue si fa sentire con pieno senso come cinema d'autore, un film perseguito produttivamente per cinque anni ma espressione di una volontà registica che per molto di più ha cercato un progetto idoneo per esordire con piena efficacia. L'elegante violenza, la passione che si agita sotto la superficie, sembrano gli indici di una perfetta identità fra l'autore e la sua opera.