Blood diamond - Diamanti di sangue

All’inseguimento del diamante rosa
di Piero D’Ascanio

 
  Blood diamond, Usa, 2007
di Edward Zwick, con Leonardo DiCaprio, Djimon Hounsou, Jennifer Connelly


Per quest’ultima fatica da 100 milioni di dollari del produttore - regista Edward Zwick - suoi, tra gli altri, il dignitoso l’Ultimo samurai e il melenso Vento di passioni - non poteva arrivare lancio più efficace della freschissima Nomination all’Oscar per il protagonista Leonardo DiCaprio, una delle tante sorprese, a conti fatti, riservate dall’Academy per la ventura Notte delle Stelle: infatti, e per tacer del valore complessivo delle opere in questione, ben più doverosa sarebbe stata la candidatura del giovane divo per la smagliante interpretazione del tormentato Billy Costigan di the Departed, carattere decisamente più ispirato e incisivo del mercenario protagonista di questo convenzionale e prevedibile Blood Diamond. Intendiamoci, DiCaprio ce la mette tutta, come del resto fanno i suoi compagni di squadra Djimon Hounsou - anche lui nominato all’Oscar - e Jenny Connelly; ma non deve evidentemente avergli reso un buon servizio lo script di Charles Leavitt - tra le sue cose, il già mitico Verso il sole di Cimino -, impossibile da digerire proprio nei dialoghi, più che nell’ordinaria e tutto sommato classica struttura del racconto. Purtroppo, soprattutto avendo a che fare con un film che, sotto la scorza del blockbuster, vorrebbe essere di denuncia, la pecca di scrittura si rivela cruciale, e mina alla base la credibilità e l’adeguato svolgimento del nucleo tematico (e politico) della vicenda.
Il “diamante di sangue” del titolo è il motore del racconto. Trovato e nascosto dall’indigeno Hounsou, diventa per lo stesso l’unico modo di liberare dalla prigionia dei ribelli la propria famiglia, e fuggire dall’Africa dilaniata dalla guerra civile; al recupero del prezioso - un “diamante rosa” dal valore vicino all’inestimabilità - tendono anche le azioni del contrabbandiere e mercenario DiCaprio. I percorsi dei due, inesorabilmente, convergono, fino a incrociare quello del personaggio interpretato da Jennifer Connelly, reporter in cerca della verità sui terribili traffici sudafricani.
Questa la storia, buona per un robusto film d’avventure. Ma non si tratta, ahinoi, di finzione. Il soggetto, infatti, pianta le radici nella proverbiale Storia con la “s” maiuscola, che nella fattispecie è la tragedia del popolo africano, da sempre schiavo e vittima delle proprie risorse naturali e minerarie; si era verificato con l’avorio, con la gomma, con il petrolio, e così è accaduto con i diamanti, causa della sanguinosa guerra civile di cui fu teatro la Sierra Leone nel decennio passato (il film è ambientato nel 1999). I “diamanti insanguinati” , nei confronti dei quali è tuttora attiva la sensibilizzazione di Amnesty International, sono effettivamente quelli provenienti dal contrabbando, e costati la vita a centinaia di migliaia di persone, cadute nel corso di quelle guerre civili armate proprio grazie al commercio dei preziosi. Ebbene, un’opera che affondi a tal punto in una delle recentissime tragedie dell’umanità non può trascurare l’aspetto della denuncia, pur volendo mantenere l’anima e la forma del film commerciale; quindi, avrebbero dovuto essere poste in cima alle priorità da rispettare anzitutto l’attendibilità storica e la credibilità delle azioni dei caratteri in gioco: è qui che diventa tanto più evidente - e quasi fastidioso - il ridicolo sfiorato da alcuni passaggi dello sceneggiatura, soprattutto - lo ribadiamo - per ciò che concerne i dialoghi tra i personaggi. E per tacere di tutto il secondo atto della vicenda, preposto all’incontro tra i vari nodi narrativi prima della “ricerca” finale, dei tre segmenti quello che risente della maggiore macchinosità e delle più evidenti mancanze in merito allo scarsissimo tratteggio psicologico dei caratteri. Ma non tiriamola per le lunghe: è il racconto nel suo complesso a non allontanarsi mai dalla soglia dell’assoluta prevedibilità. Ed è un vero peccato, visto e considerato il mestiere e l’esperienza, anche e soprattutto produttivi, di uno come Zwick, e l’indiscutibile carisma (e fascino) del giovane terzetto protagonista del film.