Black Hawk down

Nient'altro che guerra
di Adriano Ercolani

 
  id., Usa, 2001
di Ridley Scott, con Josh Hartnett, Ewan McGregor, Tom Sizemore, Eric Bana


La bellezza di questo film sta nel fatto che, a modo suo, è quasi "puro". O meglio, è pura messa in scena, che cerca volontariamente di eliminare tutto quello che messa in scena non è. Tutte le componenti del film che fanno cinema (inteso come mera visione, spettacolo per gli occhi) automaticamente pretendono di essere già per se stesse autosufficienti, e non necessitano di altro, come ad esempio una storia che la giustifichi o dei personaggi (dei caratteri) a cui affezionarsi. Ma cosa ha spinto Ridley Scott a dirigere Black Hawk Down? Quale è il significato di questo film, e soprattutto della sua struttura così ardita?
In circa due ore e mezza di proiezione, almeno un’ora e tre quarti viene inglobata in una battaglia urbana pressoché continua, sanguinosa ed apocalittica come poche volte abbiamo visto nel cinema di guerra contemporaneo. Il paesaggio in cui essa si svolge è poi scenario di quasi totale desolazione, luogo di battaglia perfetto in quanto mancante di riferimenti culturali precisi: tutto è già disfacimento, maceria, desolazione. Ricordate la città distrutta della seconda parte di Full Metal Jacket? Ecco, l’ambientazione è molto simile, con valenze simboliche forse meno accentuate, ma decisamente funzionali con l’idea di film che Scott ha scelto di girare. Concepire infatti una pellicola del genere, che in pratica non ha storia ma soltanto messa in scena (e che messa in scena!), è un progetto a nostro avviso arditissimo, ed ovviamente personale, a prescindere dal risultato ottenuto e dal fatto che si tratta di un film ad alto budget. Black Hawk Down infatti è una perfetta combinazione di suono è immagine, la cui rappresentazione della guerra una volta tanto non viene condita di retorica e melensaggini melodrammatiche: la guerra in questo film è pura e semplice rappresentazione, magnifica da vedersi a non inficiata da altro che dalla durezza (e dalla bellezza) della visione. Per scarnificare ancor di più la messa in scena della battaglia, Scott toglie addirittura uno degli elementi fondamentali di un qualsiasi duello: elimina l’antagonista, il "cattivo", e tutte le implicazioni psicologiche (e morali) che esso porta con se. In moltissime scene infatti l’orda di somali guerrieri che assediano i malcapitati rangers americani altro non è che una massa senza nome e senza pensiero: è pura azione e forza distruttiva. Sotto questo punto di vista, non possiamo non tornare con la mente a opere come Zombie e gli altri capolavori di Romero, dove il male non aveva espressione se non nel corpo e nel numero. L’impatto visivo della folla di combattenti, che assalta senza tregua tutto ciò che incontra, è davvero poderoso ed angosciante. Certo, visto che si tratta di un episodio storico, la scelta di una visione così prepotentemente unilaterale ci lascia ancora qualche perplessità di fondo, ma forse la direzione giusta per eliminare la facile retorica da film come questo è proprio quella di eliminare ogni discorso tranne quello dell’azione, della guerra e del suo svolgersi, senza preoccuparsi di quello che c’è dietro. Ma questa, ovviamente, è da parte nostra soltanto una provocazione...