Bamboozled
Ibrido d’autore
di Adriano Ercolani


Frame-stop: Spike Lee
  Bamboozled, USA, 2000
di Spike Lee, con Damon Wayans, Savion Glover, Jada Pinkett Smith, Tommy Davidson, Michael Rapaport

Usare ben precisi stilemi cinematografici al fine di sovvertirli. Adoperare l’universo filmico di un genere riconoscibile e codificato per ribaltarne le significazioni. Questa, in estrema sintesi, la scelta della maggior parte degli autori americani contemporanei, capaci per lo più di riscrivere le regole del cinema classico hollywoodiano (e non solo) secondo la propria personale poetica, attraverso una grammatica filmica e contenuti certamente aggiornati. In questa schiera di autori può essere sicuramente annoverato anche Spike Lee, che però con il suo ultimo (da noi arrivato con due anni di ritardo!!!) Bamboozled compie un’operazione ancora più azzardata: in questo lungometraggio il regista non ha inteso ribaltare assolutamente nulla, ma solamente inserire all’interno della “sophisticated comedy” tutta la feroce denuncia sociale e razziale che caratterizza molti dei suoi film. Lo spunto che dà inizio a tutta la vicenda è davvero da commedia classica, alla Spencer Tracy/Katherine Hepburn, tanto per intenderci: un autore televisivo di colore, borghese e ben educato, viene accusato dal suo producer di essere troppo “politically correct” e scrivere storie per i bianchi; allora lo scrittore decide di sfidare il sistema e creare uno spettacolo assolutamente razzista, che prende l’origine direttamente dallo spettacolo dei minstrel del XVIII secolo, uno spettacolo che sia un insuccesso e scateni la polemica della comunità nera contro il network per cui egli stesso lavora. Lo show invece si trasforma in un successo che travolge tutti, anche chi lo aveva creato per essere distrutto... Già nelle poche righe che abbiamo utilizzato per raccontare l’incipit di Bamboozled si può scorgere l’originalità del tutto: Lee ha utilizzato un’idea semplice, adatta alla più collaudata formula della commedia, e l’ha trasformata in un qualcosa di fortemente aggressivo, provocatorio, sferzante; allo stesso modo, sia la sceneggiatura del film che la stessa regia del cineasta si muovono sempre su questo doppio binario della classicità e dell’aggressione - più psicologica che visiva - allo spettatore. Lo script propone situazioni e tematiche che in apparenza appaiono già sfruttate, ma che poi vengono condite con una vena acida, sarcastica e non conciliatoria che non tutti i suoi ultimi lavori possiedono. La regia è pulita e mai troppo “presente” sulla storia, ma già il fatto di usare il video al posto della pellicola (e perciò colori più freddi, impersonali) conferisce alla messa in scena un’impostazione straniante e affascinante allo stesso tempo. Bamboozled è perciò un’opera che colpisce proprio per essere questo stranissimo ibrido, sempre in bilico tra satira, denuncia sociale, commedia romantica, e ovviamente dramma. La pellicola e il suo autore spesso sembrano voler giocare con lo spettatore, addirittura prenderlo in giro; il tono di Bamboozled non è mai “caldo”, non cerca mai l’empatia di chi guarda, ma mira invece a essere distaccato come un’opera a tema. Tuttavia l’obiettivo è un altro: invece di mostrare per “istruire”, esso vuole infastidire il pubblico e metterlo a disagio, irritarlo. Dove vuole arrivare allora questo divertito (e divertente) gioco di Spike Lee? A dire il vero, non lo abbiamo ben capito; quando però siamo usciti dal cinema eravamo nervosi, incattiviti, e digrignavamo i denti senza accorgercene: non basta forse questo?