I film russi a Venezia 59
Il gendarme stanco e l'hostess sognatrice
di Esteban Lola


Venezia 59 - 2002
 
Nell'anno in cui gli americani si sono messi in testa di fare i russi, sentiamo ancora più forte il bisogno di russi autentici.
Diciamo questo non per affondare la Bigelow e il suo sommergibile, considerando che le peripezie di K-19 non ci sono ancora note. Durante la nostra breve permanenza in laguna abbiamo infatti preferito dedicare la nostra attenzione alle cinematografie solitamente ignorate dalla nostra poco attenta distribuzione.
La Russia, da noi così poco presente nei cinema di prima visione, in questo periodo d'instabilità e di drammatici cambiamenti ha prodotto in realtà alcuni tra i film più belli e interessanti degli ultimi anni.
Qualcosa nelle sale del circuito commerciale si è riuscito comunque a vedere. Qualcos'altro è rimasto sepolto nei programmi di festival piccoli e grandi: sempre poco rispetto al valore di autori come Aleksei Balabanov, Pavel Lungin, Sergei Bodrov, Vitali Kanevsky, Alexandr Sokurov, Aleksei German, Pavel Chukhraj, ed altri ancora.
Consapevoli di questo, vi offriamo una rapida ricognizione tra le opere di provenienza russa presenti alla mostra, sia che ci abbiano conquistato totalmente, sia che ci abbiano lasciato qualche perplessità.
Avendo dedicato altrove più ampio spazio a La casa dei pazzi di Andrei Konchalovsky, uno dei film più belli della rassegna veneziana, meritatamente segnalato dal Gran Premio della Giuria, e a il Bacio dell'orso di Sergei Bodrov, vogliamo passare brevemente in rassegna le altre presenze russe individuate alla mostra.
Vi è innanzitutto Zmej (La coda dell'aquilone), inserito nella Settimana Internazionale della Critica. L'inizio chiarisce subito le intenzioni dell'autore: una fotografia sporca imprigiona in lunghe scene notturne la rovina e il malessere di una città russa abbandonata a se stessa, dalla cui oscurità esce protagonista il soliloquio di un ubriaco. L'alba sembra non dover mai arrivare. Aleksei Muradov affronta la notte come farebbe Fred Kelemen, accennando nella giornata che segue ad un dramma familiare scarnificato, emerso nello squallore di palazzi fatiscenti e vite senza prospettive. La società allo sfascio dei primi anni '90 rivive nel volto di un vecchio poliziotto, rassegnato ad assolvere l'incarico di eseguire le condanne a morte nella prigione locale.
L'unica speranza è che il figlio, vittima delle angherie dei ragazzi del quartiere, possa un giorno guarire e lasciare la sedia a rotelle che è diventata la sua prigione. Nel raffigurare un ambente così sinistro e nel suggerire il complicato rapporto tra padre e figlio, Muradov si affida ad una regia rigorosa e ad uno studio sull'immagine di cui Sokurov sembra la forza ispiratrice, non raggiungendo di certo l'essenzialità e la maestria del regista di Moloch, ma assolvendo il compito dignitosamente.
Nella sezione Nuovi Territori abbiamo invece incontrato una storia sentimentale in cui si mescolano toni allegri e toni malinconici.
Ci riferiamo a Nebo. Samoljot. Devushka. (Il cielo. L'aereo, La ragazza.) di Vera Storozheva. Per la verità ci è difficile parlare seriamente del film in questione, considerando che il lavoro di traduzione effettuato per i sottotitoli italiani, come purtroppo accade frequentemente nei festival, è stato affrontato con scarsa cognizione di causa ed esiti spesso esilaranti.
Tanto per rendere l'idea, durante una telefonata si è sentito definire "spurio" il carattere di un uomo indeciso, poco prima baci e carezze erano state considerate "roba da teen", mentre pur di non dire "insabbiati", ci è stata suggerita l'immagine di "piedi inarenati". Con tutto questo proliferare di voci arcaiche e termini inappropriati (e di risate da parte del pubblico), il carneade che si è occupato dei sottotitoli dovrà un giorno dare spiegazioni al povero Edward Radzinsky, autore del testo teatrale 104 Pages about Love da cui è tratto il film.
Lo stesso Radzinsky, da parte sua, non ci ha risparmiato il pretesto per ulteriori dubbi; tentando di isolare i contenuti reali dalle imprecisioni dovute alla traduzione, si percepisce nei dialoghi una vena eccentrica apparentemente in sintonia con il carattere disinvolto, imprevedibile ed istintivo dei personaggi.
La storia d'amore tra un reporter un po' chiuso, Georgy, e una bellissima hostess dal carattere generoso e dallo spirito inquieto, Lara, inizia brillantemente con un incontro all'aeroporto condito di dialoghi scoppiettanti, si trascina alternando trovate spiritose e momenti fiacchi, per concludersi poi con inaspettata tragicità.
Una conclusione inattesa e drammatica, purtroppo non relegata alla fiction, è anche quella che ha posto un amaro sigillo su un altro progetto cinematografico inserito in Nuovi Territori .
Pur non essendo stati testimoni diretti della proiezione di Reka (Il fiume), dalla semplice lettura di una sinossi decisamente interessante e dalla tragicità dell'evento correlato alla sospensione delle riprese, sentiamo crescere la tristezza per quest'opera rimasta incompiuta.
Dispiace che Balabanov, uno degli autori più brillanti dell’odierna cinematografia russa, non abbia potuto terminare un lavoro che prometteva molto, e dispiace ancora di più che questo sia avvenuto per l’incidente mortale capitato alla protagonista Tujara Svinoboeva. A lei e a Sergei Bodrov Jr, ideali compagni di sventura, dedichiamo con grande affetto questo breve e tormentato viaggio nella Russia del cinema.