intervista a John Woo
Lettere scritte a degli amici
a cura di Giuliano Tomassacci

 
 
Accennando al ricorrente timore nel presentare ogni sua nuova opera al pubblico, John Woo eloquentemente descrive i suoi film come "lettere scritte a degli amici". Mantenendo questo punto di vista la sua filmografia si impone come un epistolario dallo stile fiammeggiante, passionale nella sua revenzialità rappresentativa ed evocativa, continuamente in bilico tra la stilizzazione estrema e la sentita, distesa vena intimista. Una corrispondenza elettrica, levigata dalla molteplicità dei generi affrontati in una carriera che, nella sua ecletticità, ricalca fedelmente l'inconfondibile tratto filmico. Dai primi passi negli Shaw Brothers Studios fino al folgorante approdo americano (Hard Target, Face/Off, Mission:Impossibile 2), passando per i personalissimi capolavori orientali (A Better Tomorrow, The Killer), Ng Yu Chen ha toccato, appropriandosene, diversi generi. E mentre nelle intenzioni si affacciano un western e un action-musical, il cinquantaseienne regista con Windtalkers battezza anche il 'bellico', narrando le vicende del soldato disilluso Joe Enders (Nicolas Cage) costretto ad affiancare un marine Navajo esperto in codici di guerra, sullo sfondo del conflitto mondiale.

Signor Woo, come è arrivato da Mission:Impossibile 2 a Windtalkers e cosa l'ha maggiormente colpito del progetto ?
Fondamentalmente amo cambiare genere da un film all'altro e la trama di Windtalkers mi aveva colpito molto. Volevo raccontare ed esaltare il lato umano della storia e in questo senso ho cercato un film diverso dai tipici prodotti hollywoodiani: gente comune che non incarnasse lo stereotipo dell'eroe alla John Wayne. Qualcuno che destasse maggior interesse nel pubblico. Inoltre ero attratto dall'opportunità di poter raccontare qualcosa che mai era stato divulgato in precedenza, glorificandone gli aspetti legati all' amicizia e alla comprensione.

Senza dubbio il rapporto tra i due soldati protagonisti, Joe Enders e Ben Yahzee, è il motore della storia.Come si sviluppa e che importanza assume nel contesto bellico l'amicizia tra i due?
Il punto di vista di Yahzee domina e regola l'intera storia. All'inizio è ingenuo e innocente, mosso unicamente dalla profonda passione per il suo paese. Solo dopo aver conosciuto Enders capisce cos'è realmente la guerra; inoltre la morte dell'amico indiano lo trasforma in qualche modo, rendendolo molto simile al compagno americano, proprio nel momento in cui anche'esso sta cambiando. I ruoli quindi si invertono: è Enders ora a dover redimere il commilitone navajo. La guerra li segna mentre entrambi tentano di distruggere i demoni che risiedono dentro di loro.

I nemici veri, di conseguenza, non sono più i giapponesi.
Non a caso, anche per accrescere la sensazione di rischio e pericolo incombente, ho cercato di renderli quasi invisibili. A questo punto è l'amicizia tra Joe e Ben la cosa più importante, quella su cui ho cercato di concentrarmi maggiormente, contrapponendola alle atrocità e alla inutilità della guerra, equilibrando anche i risvolti umani tra gli indiani e gli americani.

Ed è in questo frangente - amicizia-guerra - che il film ricorda Bullet in the Head...
Effettivamente il tema dell'amicizia, come quello del rifiuto della guerra, esiste ed è rilevante in entrambi i film, anche se Bullet in the Head era molto più autobiografico e vicino alla mia giovinezza. Proprio come la coreografica violenza visiva di questo sgorgava istintivamente da un personale senso di rabbia, accumulato durante i miei anni sulla strada, per Windtalkers la collera è stata razionalizzata per poterla mostrare nel modo più realistico possibile. L'obiettivo era quello di suscitare un totale coinvolgimento del pubblico in quello che era stata veramente la guerra. In questo poi è stata molto utile la consulenza dell'esperto del codice Navajo che ho avuto sul set.

Come altre produzioni americane, Windtalkers ha subito gli effetti dei drammatici avvenimenti legati all'11 settembre. Come ha reagito allo slittamento dell'uscita del film e alle terribili conseguenze a cui hanno portato gli attentati terroristici?
Inizialmente non troppo bene. Il film era pronto prima dell'11 settembre e il mio desiderio in quanto regista era quello di vederlo subito nelle sale per un immediato riscontro di pubblico. Gli studios mi hano fatto però notare che il momento di crisi in cui versava il popolo statunitense non era adatto alla distribuzione di un film di guerra, soprattutto di fronte alla possibilità di un vero confilitto che, se realmente scoppiato, non avrebbe certo invogliato la gente a distogliersi dai notiziari per seguire la guerra dentro un cinema. Così abbiamo capitolato, posticipando l'uscita ad un momento più consono. Per quanto riguarda la situazione attuale penso che la comprensione, proprio come in Windtalkers, sia l'unica soluzione. E' triste che i conflitti e le guerre continuino nel mondo e l'unico desiderio è che la smettano di combattere cominciando a collaborare.

Come reputa l'esperienza di Windtalkers?
Sono orgoglioso di aver girato questo film, che ha avuto reazioni molto positive sia tra i militari americani che tra la popolazione Navajo. E pensare che inizialmente qualcuno aveva espresso diffidenza nei miei confronti. L'idea che un cinese girasse un film su una tipica storia americana era difficile da accettare. Ma in fondo anche Leone, che era italiano, ha girato dei grandissimi western.