Sam Raimi
La vertigine del dono
di Luca Perotti

 
 
Chi è Spider-Man se non l'eroe emblematico della tendenza del cinema americano degli ultimi anni? Un superessere contaminato, impuro, mischiato, che disegna traiettorie digitali che fendono l'ipertesto urbano di New York: città esistente, situata sull'atlante (non come Gotham City, per intenderci), reale ma a sua volta doverosamente ricostruita per mezzo del computer.
Spider-Man è l'ennesimo tassello di una poetica invisibile incentrata sulla concezione del corpo, sul suo conflitto con la società, sui vani tentativi di simbiosi tra due universi (l'uomo/il mondo) in perenne, problematico, strabico conflitto.
Le ragnatele schizzano dai polsi per realizzare un sortilegio: liberare il corpo verso acrobatiche peripezie fisiche che squarciano il profilmico per appendersi, avvinghiarsi al contesto, riempire un gap, riconquistare il dominio dello spazio e tuttavia, nello stesso tempo, non smarrire mai la sensazione di un corpo che risulti tangibile e concreto e che finalmente sia capace di comandarsi, di raggiungere il controllo del proprio potere fisico sulle cose.
La carriera di Sam Raimi segue la scia del suo alter-ego fumettistico; in principio sa di avere per le mani un mezzo dalle possibilità infinite e lo scarica in rapide soggettive impossibili, noncurante della disciplina narrativa, del rigore fornito dall'individuazione di un limite. La realtà esige di essere aggredita allo spasimo per Raimi, pressata senza sosta, affinché un fiotto di energia si liberi e incrini le dimensioni insufficienti dello schermo.
Fino a Soldi sporchi, il cinema di Raimi è un goliardico rifiuto di qualsiasi compromesso con il baricentro del cinema, quello che, nei casi peggiori, produce inibizione e inceppamento . Poi, quasi fulminato dalla scoperta di disciplinati binari narrativi, sotterra il groviglio brulicante delle sue visioni sotto la superficie di un dramma compostissimo e sublime. Raimi intuisce che quell'energia dispersiva e tracotante può risultare persino più efficace se convogliata e giustificata: Raimi scopre la scrittura, la psicologia, le interlinee, la saggezza per ammortizzare il suo delirio di onnipotenza.
Continua però a mostrarsi indeciso, a dipingere personaggi che si ritrovano un dono per le mani (il denaro di Soldi sporchi), e nella mente (la preveggenza in The Gift) ed un mucchio di squilibri e guai da gestire.
Lo stesso accade a Peter Parker, pischello con ormoni e ragnatele in subbuglio, che si accorge di poter arrestare il tempo per poi scaricare la sua premonizione in un pugno più forte delle leggi della fisica.
Allora Raimi/Parker ha un sussulto adolescenziale e si mette con carta e pennarello a costruirsi un'identità, ma quel costume trasandato come un pigiama ha il fascino rudimentale della Shakey-Cam di una volta. No! Il potere va disciplinato, altrimenti rischia di disperdersi di nuovo in sgangherati impulsi che poco si addicono ad un autore. La macchina da presa questa volta ragiona, si concentra sull'oggetto, azionata da uno sguardo tantrico, telecomandata da un respiro Zen. E si fonde con i miracoli del digitale perche L'Uomo Ragno è l'unico supereroe che non può farne a meno; perciò Raimi riassorbe il suo potere, lo decodifica e infine lo libera, lo dirige con la coscienza di avere un obiettivo nitido da colpire. Ugualmente Peter Parker impara a gestire quel dono fisico che gli schizza dai polsi e quello mentale che lo rende padrone del Tempo, dell'attimo ingrandito e immobilizzato che sembra collassare prima di scatenarsi in una vertigine. Spider-Man salta nel vuoto, acquista sicurezza di sé, si scaraventa con sempre maggiore rapidità, consapevole della sua invincibilità. E con lui Raimi ritorna a lanciarsi a picco nella realtà, frantumandola, dilatandone le coordinate; a rimodellare la materia come fosse gomma da masticare come la faccia elastica-allungata di Bruce Campbell ne L'armata delle tenebre.
Il gioco è fatto: non è più il caso di limitarsi a sfondare porte, pugnalare caviglie, mozzare le teste. Il gioco è più adulto e ricco ora e offre l'opportunità di scaraventarsi in aria, fluttuare senza sosta nel regno degli effetti speciali, quelli prestigiosi, e inserirsi, senza smarrire l'originalità del proprio sguardo che preme sugli oggetti perché li vuole espandere, possedere e mutare, al coro di chi sta filmando un'epoca di indomiti umanoidi disorganici.
Quello di Raimi, Spider-Man appunto, è il più terreno di tutti, il più vicino ad un possibile contatto: ormai dominatore assoluto della sua energia, al punto tale da trattenerla giusto un istante per sprigionarne la quantità sufficiente per un vibrante bacio a testa in giù sotto la pioggia: il saltimbanco proletario e il regista dagli spericolati esordi a basso costo conquistano il cinema e New York.