the Gift

Annie e la cittą
di Stefano Finesi

 
  Id., Usa, 2000
di Sam raimi, con Cate Blanchett, Giovanni Ribisi, Keanu Reeves, Katie Holmes,
Greg Kinnear, Hilary Swank

In attesa che con L'Uomo Ragno Raimi rispolveri la vena cartoonistica e delirante che lo ha reso celebre, The Gift è un possibile esempio di quanto di meglio possa oggi fornire Hollywood, ossia una base di artigianato d'alta classe al servizio di uno sguardo non convenzionale. Raimi ha raggiunto, come già stava a dimostrare Soldi sporchi, un controllo perfetto del set e della narrazione ed è tanto più evidente in quanto si ritrova a lavorare con un intreccio classico, da gestire senza forzature o colpi di scena, ma al quale può riuscire con agio a lavorare intorno, creando sottili aperture e suggestioni periferiche.
Il dono del titolo è quello di Annie, che legge come può nel futuro (e nel presente) turbolento della piccola comunità di Brixton, Georgia, finendo per imbattersi in un misterioso omicidio: quello però che interessa a Raimi, più che l'aspetto soprannaturale, è esplorare a fondo le violenze e le meschinità degli abitanti, il clima oppressivo delle sopraffazioni che esplodono dentro le pareti domestiche e che inevitabilmente finiscono per caricarsi sulla figura smarrita e dolente di Annie.
Il dramma della donna è infatti non solo quello di vedere (e quindi di dover accollarsi la responsabilità di ogni tragedia altrui) ma anche quello di non vedere abbastanza (come quando non ha saputo prevedere l'incidente del proprio marito) e soprattutto di non saper agire di conseguenza. Se la chiave della suspence, come dispositivo emotivo, è quella di unire conoscenza e impotenza, a scatenare la reale capacità angosciante del film è l'inedita fragilità "fisica" e psicologica della protagonista, la sua necessità di proteggere innanzitutto i due figli senza padre, di dover mandare avanti la casa, di doversi ricostruire una vita sentimentale.
Annie arranca disperata nel tentativo di mediare i suoi poteri e gli oneri che ne derivano, la propria vita personale e le violente pressioni della collettività: il cortocircuito che ne scaturisce (di cui fa parte la stessa sequenza tribunalizia, che qualcuno ha scambiato per routine) tiene la tensione sempre a livelli notevoli ed è orchestrato splendidamente da Raimi, che per questo sceglie di soffermarsi con insistenza sulla figura della Blanchett come vero luogo drammatico dello scontro. I lunghi e sofferti primi piani, ricambiati dall'attrice con una prova straordinaria, risultano forse la cosa più bella di The Gift, la virata che ne marca in modo più profondo l'originalità.
Il fatto che la salvezza finale sia affidata al fantasma di Buddy Cole, segna proprio la risoluzione del conflitto di Annie con la città, la risposta positiva che arriva malgrado sia proprio Buddy che lei non è riuscita ad aiutare, né impedendogli un omicidio, né sapendo "vedere" e chiarire il mistero del diamante blu, il tatuaggio che il ragazzo era costretto a guardare durante le molestie subite dal padre. È quindi la Annie più vulnerabile e "umana" a ricevere il soprannaturale in soccorso, in una visione che per una volta rimane inconsapevole e può materializzarsi in aiuto concreto: il dono è stato infine riscattato.