Joel e Ethan Coen

Tempo e circolarità
di Stefano Finesi

 
 
Sui titoli di testa de L’uomo che non c’era campeggia l’immagine di una colonnina da barbiere, con la sua linea a spirale in perpetuo movimento. La linea sembra procedere all’infinito verso l’alto, ma, com’è ovvio, rimane assolutamente immobile, inchiodata al suo semplice effetto ottico. La narrazione, nel cinema dei Coen, tende proprio a questo effetto, ritornando costantemente su se stessa in una beffarda circolarità e vanificando ogni sforzo dei suoi protagonisti di dare un corso preciso al proprio destino. Molto si è scritto su quel “pensiero debole” alla base della filosofia dei due fratelli americani, i cui unici eroi possibili si abbandonano al flusso degli eventi senza sentire necessariamente il bisogno di cambiarli (e quindi di capirli), risultando alla lunga i veri vincitori morali in un mondo incongruo: è interessante, d’altra parte, notare anche come tale negazione di una possibilità di un reale progresso, conoscitivo-evolutivo, prenda corpo in determinate strutture della narrazione e in tutta una serie di oggetti che rimandano appunto alla linea circolare. La palla da bowling de Il grande Lebowski e l’hula-hoop di Mister Hula Hoop (ma si pensi anche al cappello volante di Crocevia della morte) sono gli esempi più emblematici di questi veri e propri precipitati visivi, tanto più i quanto dotati di un evidente valore ludico: il loro tragitto circolare è lo stesso compiuto dalle storie dei due film, in cui il tempo (dunque la progressione lineare della narrazione e del senso) si attorciglia su se stesso in una dimensione sospesa. Dal grattacielo della Hudsucker, sul quale non a caso una scritta ci ammonisce che “il futuro è adesso”, Tim Robbins-Norville Barnes si getta di sotto salvandosi per un improvvisa sospensione del tempo: il suo trionfo sarà nella lettera che dall’inizio del film non aveva mai consegnato e che riposava ancora nella tasca della sua tuta da fattorino, mentre la sua nuova invenzione, destinata anch’essa a sabotare la logica (lineare) della speculazione finanziaria, non potrà che essere il frisbee. L’intero plot de Il grande Lebowski è d’altra parte un’enorme bufala, giocata nel capovolgimento fricchettone dei luoghi della detection classica e messa a punto per riportare i personaggi esattamente al punto di partenza, dopo le grottesche volute di un falso rapimento, pagato con un falso riscatto da un falso miliardario, attraverso improbabilissimi intermediari che usano un fac-simile. L’unica variazione finale, non a caso, è la morte di Steve Buscemi-Donny e la futura nascita di un piccolo Lebowski: come dire che l’accadimento della vita e della morte (comunque fuori da ogni controllo) è l’unica certezza-progresso possibile all’interno della ruota del non senso.
Questo superamento del tempo lineare a favore di un tempo sospeso può nutrirsi anche di smagliature improvvise, di varchi inaspettati che risucchiano e svelano l’illusione della diegesi. Il quadro di Barton Fink non solo mette in crisi le coordinate di senso del film, ma abbatte anche le barriere tra sogno e realtà e tra realtà e finzione; così come il sogno di Drugo ne Il grande Lebowski (introdotto ovviamente dal roteare della palla da bowling) segna addirittura il salto di genere verso la sponda del musical: nell’enorme hula hoop del cinema dei Coen, l’azzeramento del tempo fa tutt’uno con l’azzeramento post-moderno dei confini tra le forme della rappresentazione. Ne L’uomo che non c’era lo spazio del sogno è introdotto dal cerchione che corre via dopo l’incidente di Ed e Birdy: ancora una figura circolare, che richiama d’altronde un altro oggetto chiave del film, il disco volante, e che sospende il tempo della narrazione resuscitando per pochi minuti Doris, in un insensato frammento di vita domestica. Ed Crane è l’uomo dei nostri tempi, come lo definisce l’avvocato Freddy Riedenschneider, è appunto l’uomo che non c’era, incolpabile solo per quello che non ha fatto e sperduto in un mondo le cui traiettorie infinitesimali non possono che rimanere indeterminate, inconoscibili. L’unica possibilità per raccontarle è presupporre che descrivano un cerchio, ossia un movimento paradossalmente immobile; l’unica necessità è che qualcuno ti paghi almeno 5 centesimi a parola.