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Usa, 2006
di Susan Stroman, con Nathan Lane, Matthew Broderick,
Uma Thurman
Ancora una volta Mel Brooks coglie nel segno, diverte, stupisce, anche
se si tratta di uno stupore decisamente più convenzionale; però
la storia di the Producers, a suo modo emblematica,
è degna di essere riassunta.
Era il 1968, e con questo titolo, trasformato in Italia in Per
favore non toccate le vecchiette, il regista compie un passo
fatidico: dopo diciassette anni di attività come scrittore per
la televisione dirige il suo primo lungometraggio. Si trattava di una
commedia in cui un produttore di Broadway e il suo ragioniere congegnano
una improbabile frode ai danni di incaute e focose ottuagenarie con
la passione per il musical. Il soggetto è schietto, semplice
e efficacissimo: produrre un musical volutamente pessimo per interrompere
le repliche appena dopo la prima, e scappare a Rio con i soldi presi
alle vecchiette finanziatrici. Gli attori erano quelli giusti: Zero
Mostel affiancato dallallora esordiente Gene Wilder; in breve,
il film ottenne il successo che merita, tanto che nel 2001 diventa un
musical vero e proprio, bissando gli allori della commedia e anche più,
tanto che allo stesso Brooks vanno ben tre Tony Awards: quello per il
miglior musical, per la colonna sonora e per il miglior libretto. Oggi
il vorace tritacarne hollywoodiano, sempre dedito allauotocannibalismo
sullaltare del successo di pubblico, si rimette in moto e sputa
fuori the Producers di nuovo in veste cinematografica,
mixando i due predecessori, a totale beneficio di distratti e giovanissimi
che possono così, in un sol colpo, pareggiare i conti con uno
dei titoli più fiorenti dellindustria americana dellintrattenimento
di sempre. Ecco a voi the Producers - una gaia commedia neonazista,
commedia e musical insieme.
E la gaia commedia neonazista diverte, non cè
che dire. Il soggetto ha quella grinta e quellesuberanza tipica
della mano di Brooks, soprattutto del Brooks dei vecchi tempi, un occhio
indirizzato a parodiare lo showbiz, un altro occhio, come in un acutissimo
strabismo alla Marty Feldman (o Ben Turpin, per chi se ne ricordi
)
a scrutare le stesse frivolezze, ansie, isterie e dabbenaggini della
stessa audience che quello showbiz chiama e attira a gran voce. Il motore
narrativo, perfetto, punta su due veterani di Broadway, Nathan Lane
e Matthew Broderick, per accompagnare il pubblico alla scoperta di una
carovana di personaggi, tra comprimari e secondari, che sono il vero
valore aggiunto di questo ultimo stadio della metamorfosi brooksiana:
per essere sicuri di produrre non un bruttissimo musical, ma, si badi
bene, il peggiore di tutti i musical possibili, lo squalo Bialystock
(Lane) e il nevrotico Bloom (Broderick) sono costretti ad andare in
cerca dei peggiori ingredienti possibili, perché se anche solo
uno degli elementi di quella perversa sinergia fosse meno del peggio,
lo scopo di creare il padre di tutti i flop resterebbe disatteso. Questa
è la trovata geniale: la premessa che fa mettere comodo sulla
poltrona ogni spettatore, rilassarsi con un silenzioso, larghissimo
sorriso sul volto, e fargli pensare al peggio, per lappunto, cioè,
al meglio. Ed ecco comparire sullo schermo penosi nostalgici del Terzo
Reich (Will Ferrell, divertentissimo), coi loro sogni di purezza ariana,
i loro giuramenti di Sigfrido e la loro amata commedia Primavera
per Hitler, sogno bucolico damore e rinnovamento spirituale
con protagonisti Adolf e Eva. Ecco registi paurosamente privi di talento
e buon gusto (Gary Beach, semplicemente perfetto), accomodati nelle
loro paillettes e parrucche stile Gilda, così caricaturalmente
gay e così politically uncorrect. E via dicendo: una storiella
semplice semplice che spara a zero su chi vuole, non ultimo proprio
il pubblico che presenzia alla prima, e che, confuso da quella somma
di disastrosi addendi kitsch e guitteschi nel senso più deteriore
del termine, perde il conto e alla fine sommerge il teatro di applausi,
decretando il successo non voluto di Primavera per Hitler.
A sdoganare nel terzo millennio un plot che ha in realtà al suo
attivo una quarantina di primavere, ci hanno pensato gli attori, fondamentalmente.
Ci pensano proprio loro: i Will Ferrell e Gary Beach, anche la faccia
da bulldog di Jon Lovitz, che compare in una piccola parte; e, soprattutto,
ci pensa una lunghissima Uma Thurman, mai così goffamente glamour
e perfetta nei suoi vestitini da sirena che ne fanno una primadonna
(nonché centralinista) sexy al limite del legale. Però
limpalcatura narrativa del film resta quella decisamente e volutamente
vecchio stampo del musical classico a cui, nel 68, si ispirava,
e se le nuove leve della comicità, i nomi appena citati, sanno
imprimere un passo e un umore decisi e sostenuti, a soffrirne sono per
contrasto proprio la sfilza di gag in cui si vanno a cacciare Lane e
Broderick quando sono soli sulla scena: macchiette esagerate e grossolanamente
corporee, tenzoni alla Stanlio e Ollio che spezzano il ritmo con una
staticità che in sala si potrebbe stentare a metabolizzare. Così
come sembra quasi superfluo un intero momento della vicenda, nel prefinale,
e che probabilmente deve la sua presenza ad una meccanica tipica del
vecchio musical che serviva a caricare la molla interna della trama,
in vista dellesplosione coreografica dellepilogo.
the Producers, ad ogni buon conto, sa il fatto suo
e fa quello che deve fare per intento programmatico: fa perdere il conto
allo spettatore e lo solleva dalla poltrona sorridente, forse anche
un po ridanciano, senza farlo riflettere sul dettaglio che probabilmente
ciò che lo ha più divertito è proprio il flop che,
come una strana perla, nascondeva al suo interno. Resti detto per inciso:
Primavera per Hitler - un allegro gioco fra Adolf ed Eva a Berchesgarten,
lo spettacolo nello spettacolo che allultimo istante il pubblico
istupidito - e dal nostro regista bonariamente preso in giro - decide
di osannare, è deflagrante.
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