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id.,
Usa, 2003
di Jane Campion, con Meg Ryan, Mark Ruffalo, Jennifer
Jason Leigh, Kevin Bacon
Jane Campion, ancora una volta, mette in mostra unincalzante sensualità,
una sensualità che straripa dalla fisicità degli attori,
dal linguaggio, dai gesti, dai colori caldi della fotografia, che già
avevamo visto nei suoi film precedenti.
Opera al femminile tratta dal libro della scrittrice Susanna Moore,
In the cut si apre con unambiguità che
permane sino alle ultime sequenze. Lambiguità è
prima di tutto nelle immagini: il passato è sempre in bilico
fra lonirico e il ricordo; i particolari che dovrebbero essere
indizi per scoprire la verità perdono ogni certezza man mano
che si procede nella storia; le sequenze che mostrano rapporti quasi
morbosi vengono chiarite lentamente, solo attraverso le parole. Insomma,
il pubblico ha meno certezze dei personaggi. Questa indeterminatezza,
però, non suscita linteresse che è alla base del
genere thriller. Anzi, la scelta di procedere per accumulo di indizi
e di frammenti di storie parallele, porta a un disinteressamento graduale
dalla storia. I personaggi secondari si moltiplicano, creando solo una
fauna indeterminata di caratteri e rendendo sempre più impenetrabili
le logiche dei protagonisti. La suspence va scemando, dispersa in troppe
direzioni, e viene sostituita dal piacere dellimmagine in sé,
anchessa in bilico fra una glacialità alla
Hitchcock e il torbido e sensuale alla De Palma.
Il regista inglese viene citato più volte: dal brano Que
sera sera ad apertura del film, che non si può ascoltare/vedere
senza prescindere da Luomo che sapeva troppo,
alla scena damore nel bosco tra i due amanti che richiama lindimenticabile
sequenza di La donna che visse due volte, fino al concetto
base del film, cioè di una donna capace di amare un uomo che
crede colpevole di omicidio, così vicino allidea de Il
Sospetto.
Invece De Palma è richiamato alla memoria nella maggior parte
di scene dinterni. È lincertezza nella storia che
si riflette in una indefinitezza visiva: nelle immagini i due riferimenti
vengono menzionati e lasciati in superficie, nel semplice uso della
fotografia. In profondità i due registi sono lontanissimi: se
le protagoniste hitchcockiane posseggono la famosa impenetrabilità
è grazie alla genialità del regista inglese, capace di
far perdere ogni certezza a un pubblico che potenzialmente possiede
tutte le informazioni necessarie per svelare il mistero, mentre se De
Palma abbraccia una complessità nello stile, lo svolgimento del
racconto rispetta la maggior parte delle convenzioni classiche alla
ricerca di una semplicità narrativa. Così il loro richiamo
ha una valenza puramente estetica.
Dal thriller si è molto lontani, anche se non si può non
rimanere affascinati dalla bellezza delle sequenze e dalla bravura degli
attori, purtroppo non altrettanto ben supportati da una solida struttura
narrativa.
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