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id., Francia /
USA / GB / Hong Kong, 2005 di Louis Leterrier, con Jet Li, Morgan Freeman, Bob Hoskins, Kerry Condon In un cinema alla ricerca di alchimie nuove e scambi culturali, sembra facile sostituire Audry Hepburn con Jet Li che, nelle mani di Morgan Freeman moderno Pigmalione, si trasforma da adulto brutalizzato per anni - fino ad assumere gli atteggiamenti del cane del titolo - in un uomo sensibile alla musica e capace di rifiutare la violenza, senza nemmeno passare per qualche seduta dal terapeuta. Raccontata in queste poche righe, la pellicola appare la radiografia delle incongruenze di tutti quei film che stanno cercando - con maggiore o minore successo - di mixare oriente e occidente, estrapolando personaggi e situazioni dai propri contesti per sovrapporli automaticamente a collaudati cliché di genere. Vedere Uma Thurman sguainare unantica spada da samurai, non è più straniante del riconoscere Jet Li, trasformato in picchiatore per un malavitoso di mezza tacca nella Glasgow grigia dei nostri giorni. È sufficiente sovrapporre un protagonista cinese al ruolo del gangster dal cuore doro, per sostituire il mitra o i pugni con armi più cool. Da Bruce Lee a La tigre e il dragone, da Matrix a Jackie Chan, le arti marziali sono entrate stabilmente nellimmaginario filmico, ma non per questo il cinema occidentale è riuscito a fare propria - oltre alle coreografiche scazzottate - la filosofia che le ha prodotte, al punto che Jet Li e la sua arte servono qui, combattimento dopo combattimento, soprattutto a fare procedere un copione a metà tra commedia e gangster movie. La migliore prova a livello attoriale del protagonista è quindi purtroppo il risultato di sovrapposizioni di genere che rimangono in superficie, senza effettivamente contaminarsi. Non bastano lottima recitazione di Freeman e Hoskins, capaci come sempre di dare spessore ai propri personaggi, e nemmeno una sceneggiatura piuttosto solida con dialoghi che suonano spesso autentici - anche grazie alle manipolazioni operate da Hoskins sul proprio copione - e nemmeno la conclusione disincantata del combattimento finale. Una nota falsa continua a distrarre dal puro godimento di un film che, nel complesso, sarebbe comunque un modo divertente per passare la serata. Quando lo sfidante, uno scozzese con la testa rasata e vestito come un Manga, scende dallauto per lultimo scontro, è inevitabile pensare a Gamon, lamico di Lupin III. Non è sufficiente sostituire il kung-fu alle vecchie colt. Un genere come il western, ad esempio, nasceva in un particolare contesto storico ed esprimeva valori che un occidentale può comprendere; oggi risulta più evidente di sempre che la fusione di culture e saperi cinematografici non può fermarsi alle scene di violenza al rallentatore perché ogni concetto ha bisogno di una forma specifica, se non si vuole svilirlo e avvertirne lincongruenza. |