|
Borat: Cultural
Learnings of America for Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan,
Usa, 2006
di Larry Charles, con Sacha Baron Cohen, Ken Davitian,
Pamela Anderson
Visto che, riguardo questa pellicola, si tratta di una derivazione ufficiale
del personaggio televisivo ideato ed interpretato da Sacha Baron Cohen,
procedere nellanalisi di Borat dividendola in
due sembra in questo caso unoperazione appropriata, o quanto meno
accettabile. Figura e lungometraggio risultano in questo caso due entità
tra loro connesse ma non imprescindibilmente legate.
Partiamo dal lungometraggio diretto da Larry Charles, che possiede nella
sua specificità alcuni difetti piuttosto evidenti: il primo è
quello di una sceneggiatura che soprattutto nella parte centrale si
inceppa ed inizia a girare a vuoto, mancante di uno sviluppo narrativo
che permetta alle varie scene/gags comunque spassose di
muoversi verso una meta precisa. Borat infatti ha un
inizio interessante, una fine logicamente sensata, ma nessuna connessione
drammaturgica capace di legarle insieme. Laltra incongruenza è
nel non poter sostenere fino alla fine il discorso estetico dellinstant
movie: come approccio al personaggio, lidea di ingabbiarlo
nella rete di una sorta di documentario reality è assolutamente
giusta. Per i tempi e le scempiaggini comiche di Cohen/Borat la sensazione
che tutto accade qui e adesso è un surplus di fondamentale
importanza, e di sostanziale efficacia. Purtroppo però questa
sorta di gioco che richiede allo spettatore una forte sospensione
dellincredulità ancor più necessaria appunto
quando si deve far passare la finzione per riproduzione delleffettività
del reale non tiene fino in fondo, a causa di alcune costruzioni
narrative e di messa in scena che rivelano troppo la costruzione
che cè dietro di esse.
Se dunque Borat non è un lavoro completamente
riuscito a causa di alcune mancanze specificamente cinematografiche,
rimane comunque unopera a mio avviso importante, perché
ripropone sul grande schermo un personaggio che regala nuova linfa al
termine comicità scorretta. Se pensiamo al fatto
che negli ultimi anni sono stati considerati i maggiori esponenti del
politically uncorrect personaggi come i fratelli Wayans, ci si accorge
immediatamente che il livello di salutare ed iconoclasta ferocia di
Sacha Baron Cohen è esponenzialmente più elevato. Lo xenofobo,
sessuomane, misogino Borat Sagdiyev possiede una natura così
irrazionalmente limpida, oseremmo dire pura, da diventare una sorta
di manichino/contenitore in grado di raccogliere in sé le peggiori
contraddizioni che la cultura occidentale può regalare, o meglio
con cui può fascinare. Sacha Baron Cohen dimostra di non aver
alcuna preoccupazione nelladoperare la sua scatola magica
per gettare merda su usi, costumi, istituzioni e luoghi comuni del made
in USA, arrivando in alcuni momenti a superare la soglia pericolosa
del fine a sé stesso, ma rimanendo comunque fedele alla propria
identità di disturbatore. La sua maschera funziona sotto molteplici
livelli di lettura, non cè che dire, ed allo stesso tempo
riesce ad essere sempre divertente (qualità che in molti tentativi
diretti in tal senso è andata scemando). Se cesellata da idee
e soprattutto impalcature narrative adeguatamente preparate, quella
di Borat potrebbe davvero diventare una delle figure comiche più
rappresentative dei nostri tempi: è senza dubbio necessario un
lavoro di cesellamento, improntato ad una stilizzazione ben inteso,
non di smussamento! del character, un po come
è successo a John Belushi, mossosi dagli esordi più grezzi
fino ad arrivare allimpareggiabile Jake Blues di Landis. Molti,
troppi critici con intento esageratamente celebrativo hanno già
paragonato la comicità di Baron Cohen a quella di Belushi; a
mio avviso ciò non è ancora neppure immaginabile: siamo
lontani anni luce da unicona che riusciva con la sola presenza
scenica a cui si univa un enorme bagaglio attoriale - a gettare
una luce inquietante sul perbenismo ipocrita a cavallo tra 70
ed 80. Qui ci troviamo di fronte ad un comico intelligente, potenzialmente
geniale, che sfrutta con sfacciataggine un momento storico e sociale
che fin troppo bene si presta ad essere sbeffeggiato ed insultato. John
Belushi se ne è andato, di sicuro troppo presto, e dopo venticinque
anni non si sono ancora trovati gli eredi
|