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La trilogia di Scream e il teenage slasher

Effetto "urlo"
Saggio di Alessandro Valvo



Che c'è di tanto originale in due giovani squilibrati che si mascherano ed uccidono i compagni di scuola? Non sembra altro che un plot da pellicola di serie B, ma dal 1996, anno di uscita di Scream, il cinema horror si è quasi completamente rituffato in un filone che pareva essersi esaurito negli anni ottanta: il teenage slasher. La formula? Un campus studentesco (piuttosto che una cittadina di provincia od un campeggio) e ovviamente una serie di sanguinosi omicidi. Merito, o colpa, di Wes Craven, ma ancora di più di un certo Kevin Williamson, enfant prodige della sceneggiatura con una viscerale passione per lo slasher, a partire dal magistrale Halloween di John Carpenter.

Eppure Scream non è affatto un prodotto di genere, bensì un riuscitissimo e adrenalinico esercizio di metacinema, anzi di metahorror: la ditta Craven & Williamson allestisce uno straordinario spettacolo del terrore, elettrico e spaventoso, crudelmente travestito da parodia di film come Venerdì 13, Nightmare e il già menzionato Halloween, divertendosi ad orchestrare un gruppetto di liceali alle prese con il solito maniaco mascherato e facendo ricadere sui due responsabili degli omicidi la colpa di "copiare". Sono questi infatti, cinefili come il loro creatore, a divertirsi a trasformare la quieta e benestante Woodsboro in una novella Haddonfield, a diventare emuli di Michael Myers e a costringere la povera Sidney a fare il verso a Jamie Lee Curtis; a fare in modo insomma che tutti diventino i protagonisti di un film dell'orrore. Per assurdo è questo il loro stesso movente, non le spiegazioni accampate senza troppa convinzione nel finale, peraltro accidentali, come ci spiega Randy: colpevole vero è la cattiva influenza che i film ad alto contenuto di violenza hanno sulle giovani menti degli adolescenti, insaziabili consumatori di homevideo (è chiara la satira di Craven verso i benpensanti e curiosa l'attenzione rivolta al videoregistratore, nuovo simulacro casalingo dell'horror, genere un tempo relegato ai drive-in estivi). Scream insomma non è un titolo da aggiungere a tanti altri, ma un sapiente gioco che, attraverso continue strizzate d'occhio a un pubblico più esperto, sa assumere i toni di un vero e proprio saggio sul genere, capace al contempo di tirarne le somme e di rilanciarlo in grande stile. Williamson infatti di buoni slasher se ne intende veramente e così Scream risulta inevitabilmente gustoso anche per i più giovani che non conoscono i molti titoli di riferimento: l'adolescente che ha solo una vaga idea di chi siano Jason e Michael può godersi pienamente un film che terrorizza a sufficienza da far saltare sulla poltrona. I teenager degli anni '90, Mtv-dipendenti e fedeli fan di "Beverly Hills 90210", si riappropriano di un genere di cui diventano gli stessi protagonisti restituendogli un valore rituale di happening, rendendolo semplice e ripetitivo, ma sempre estremamente divertente. È questo l'effetto Scream, l'inaspettato successo dell'aspetto più ludico e superficiale della pellicola.

Di fatto negli anni successivi esplode improvvisamente la moda di film ambientati in college o in luoghi di vacanza in cui si inizia a morire. Il primo fratellastro (nel vero senso della parola perché scritto dallo stesso autore) è So cosa hai fatto, in cui quattro ragazzi, investito accidentalmente un uomo, decidono di disfarsi del cadavere giurando di dimenticare per sempre l'accaduto; ma qualcuno conosce la verità e in breve passerà dai bigliettini intimidatori ad una sanguinosa vendetta. Williamson qui continua a celebrare Carpenter con la scelta di una location più selvaggia (un villaggio costiero) che ricorda The Fog, con atmosfere umide e nebbiose che sembrano uscite dai cartoons di Scooby-Doo (l'assassino va in giro con incerata e uncino da pirata). Arriva poi Scream 2, in cui diventa più complesso il gioco a scatola cinese: il killer addirittura prende spunto da Stab, il film tratto dal romanzo della giornalista Gale Weathers basato sui delitti di Woodsboro. Aumentano i riferimenti (c'è Argento, De Palma, Hitchcock) e il numero dei delitti, a discapito forse di una certa originalità. Va comunque notato come ogni personaggio già porti una maschera che lo rende differente dal primo capitolo e perciò sospettabile: Randy viene ucciso proprio perché non più imbranato come prima; Linus, zoppicante e "indurito", corre senza paura ad aiutare Sidney nel nuovo college; la cinica Gale pian piano si umanizza di fronte alla impietosa realtà dei delitti; ma soprattutto Sidney, da ragazzina spaventata, diventa una vera guerriera (come la Nancy di Nightmare).

Di certo il secondo capitolo di Scream rimane uno dei titoli migliori, al contrario di operazioni mediocri come Urban Legend, minestrone di credenze popolari ed omicidi, con il cameo di Robert Englund nelle vesti di un inquietante professore. Si passa poi dalle armi bianche al controllo della mente in Generazione perfetta di David Mutter: un ragazzo trasferitosi in provincia scopre che ai suoi coetanei viene fatta una sorta di lavaggio del cervello per eliminare i turbamenti dell'adolescenza. Argomento simile per Robert Rodriguez che firma The Faculty. Ambientazione esotica poi per Incubo finale (sequel di So cosa hai fatto), con i quattro protagonisti coinvolti in un viaggio premio che si rivela infine una trappola mortale: demenziale la soluzione finale con l'assassino inspiegabilmente immune ai proiettili per una pellicola di routine comunque senza grandi difetti. Può essere interessante notare come tra la prole di Scream appaiano sempre più titoli che sconfinano dal genere originario rifacendosi ad altri celebri filoni degli anni ottanta, come il demenziale (Mai stata baciata, con una Drew Barrymore resuscitata dalle coltellate di Scream), l'agonistico (Varsity Blues, storiella liceale di un campione di football) e la dark comedy (Amiche cattive, con una sfilza di reginette dell'horror).

Dopo il successo di Stab e Stab 2, basati rispettivamente sui delitti di Woodsboro e del Windsor College, la giovane promessa Roman (!?) Bridger sta girando il terzo capitolo della (s)fortunata serie. Purtroppo le riprese del film non possono che essere bloccate dal momento che uno dei protagonisti viene trucidato nel consueto, adrenalinico quarto d’ora iniziale. Tanto panico sarebbe forse immotivato se non si trattasse di Cotton Weary, scagionato dall’accusa di aver ucciso Morine Prescott, riabilitato eroe accanto a Sidney nello scontro con la Sig.ra Loomies, e ora acclamata star della TV nonché protagonista di Stab 3 nella parte di se stesso. È strano ma sembra che tutti siano finiti a Los Angeles in una sorta di “adunanza” ultima e inevitabile. Sul set del film lavora anche l’ex vice-sceriffo Linus, reclutato dalla produzione come consulente; Gale Weathers e Sidney saranno presto della partita.
Scream 3 è il gioco conclusivo di Wes Craven. Ci era sembrato che la “finzione” dei film dell’orrore fosse pericolosamente entrata nella “realtà” di due teen-ager squilibrati: idea assolutamente provocatoria! Poi viceversa la “realtà” degli accadimenti veniva trasposta in “finzione” per il grande schermo: trovata geniale! Insomma il problema era “cosa imita cosa?”.
La soluzione non è così semplice. È lo stesso Randy, con un videotape postumo, a spiegarci che nel capitolo finale di una trilogia le cose si complicano. Basti pensare che il killer di turno rivendica i diritti d’autore sul primo vero omicidio della saga, lo stesso che inizialmente stava per mandare Cotton sulla sedia elettrica. Il passato tornerà a tormentare i protagonisti. Oltre a smascherare l’assassino, i protagonisti dovranno scoprire che la vicenda di Woodsboro è stata una sorta di messa in scena per ingannare il pubblico. Che si voglia tornare sull’argomento è evidente dal momento che “Ritorno a Woodsboro” è sottotitolo di Stab 3. Con l’escamotage di una scrupolosa ricostruzione della cittadina all’interno degli studios, Craven organizza addirittura un indesiderato ritorno a casa per la povera Sidney che gironzolando sul set finisce nella sua camera , al centro di un vero e proprio incubo ad occhi aperti. In un’atmosfera cupa, delirante, “nightmariana”, la ragazza si trova lottare con i fantasmi del passato, mentali e “veri”, per poi essere aggredita naturalmente dal killer in agguato, in una scena che più che a Woodsboro vuole rimandarci nella stanza di Nancy a Springwood.
Insomma Hollywood sembra essere veramente colpevole, e non per la sua pessima influenza sui giovani. Piuttosto per essere stata causa e teatro di un drammatico avvenimento che ha dato origine alla lunga serie di delitti. Quanto credevamo di aver visto e capito finora non era altro che fumo negli occhi. Gli ingredienti base della ricetta tornano in dosi abbondanti: paura, suspance, ritmo, divertimento, il tutto condito da una potente sferzata di nu-metal che procede parallelo agli angosciosi lamenti creati da Marco Beltrami.