Nuovo cinema tedesco

Papas kino ist tot!
di Linda Vianello

il Tamburo di latta

 
  ^ il Tamburo di latta, di Volker Schlondorff

1. Il cinema commerciale tedesco nel decennio 1960-70
Agli inizi degli anni ’60 l’industria cinematografica della Repubblica Federale Tedesca attraversa un momento di reale crisi. Si sono infatti esauriti sia il filone, fino ad allora prolifico, dello Heimatfilm (film a contenuto patriottico- sentimentale assunto a genere tipico tedesco anni ’50), sia il filone del melodramma (che è in gran parte emigrato in TV, così come negli Stati Uniti). Si cerca allora di spingere dei nuovi generi emergenti, che riescano a frenare il calo sia della produzione che della fruizione del prodotto filmico. Nascono così il krauti-western (se vogliamo un parallelo dello spaghetti-western); le opere tratte dai romanzi dello scrittore inglese Edgar Wallace (circa una trentina di opere, che cominciano da La maschera che uccide, Herald Rein, 1959, a Sette orchidee macchiate di rosso, Massimo Dallamano e Umberto Lenzi, 1972); le opere tratte dai romanzi del figlio di Wallace, Bryan Edgar; le otto riduzioni filmiche delle avventure del G-Man agente dell’Fbi Jerry Cotton, una sorta di plagio del già famoso 007.
Per un breve periodo l’industria cinematografica tedesca sembra risollevarsi, ma alla metà degli anni ’60 cade di nuovo in un momento di forte crisi, fino a quando l’allargamento delle frontiere della morale al soft-porno e la legge quadro del 1967 (che garantisce un sistema di ristorni automatici per i film che ottengono successo al botteghino) non arrivano provvidenzialmente a risanare, almeno parzialmente, la difficile situazione.
Così la produzione, che nel 1960 era di 98 film ed era poi calata a 56 nel 1965, nel 1969 raggiunge la punta storica delle 110 unità, ma almeno la metà di questa è composta da “film sexy” (due titoli per tutti sono Helga, Erich F. Bender, 1967, e Rapporto sul comportamento sessuale delle studentesse, Ernst Hoefbauer, 1970), inizialmente prodotti con una forte partecipazione del Ministero Federale della Sanità sotto forma di documentari. Poco dopo, dal 1968 ed il 1974, si crea attorno a questi film una notevole macchina produttiva privata corredata anche da un vero e proprio star system specializzato nel genere, nella quale si impegna tutta la vecchia industria cinematografica nello strenuo tentativo di tenersi a galla e di non ceder di fronte all’inarrestabile avanzata del cinema americano.
Anche i vecchi registi, impegnati con buoni risultati nell’industria degli anni ’50, non riescono a frenare questa decadenza e le strade che si aprono loro sono due: emigrare il TV, come molti decidono di fare, od uscire dal circuito commerciale ed aderire al Nuovo Cinema, svincolato dai dettami dell’industria cinematografica.

2. La prima onda: il giovane cinema tedesco
Il 28 febbraio 1962, durante l’VIII Festival del Cortometraggio, nel corso di un’affollata conferenza stampa, Ferdinand Khittl legge il “Manifesto di Oberhausen”, un documento firmato da 26 giovani cineasti tedeschi, quasi tutti documentaristi. Nel manifesto si auspica la rinascita di un cinema d’autore socialmente impegnato e libero dalle convenzioni e dai condizionamenti commerciali, in quanto a basso costo e parzialmente finanziato dallo stato. Si afferma inoltre l’importanza del cortometraggio quale campo di sperimentazione del film a soggetto e si tentano di identificare idee concrete sì sul piano intellettuale ed estetico, ma anche economico (si propone di girare dieci film a soggetto con l’aiuto di una struttura finanziata da denaro pubblico). Il portavoce degli “Oberhausener” è Alexander Kluge ed alla sua attività politico-culturale è da ricollegare la strategia seguita dal movimento.
Alla stesura del manifesto si arriva tramite legami di amicizia e discussioni avvenute nei caffè e nei ristoranti di Schwabing, il quartiere bohème di Monaco, che fino agli anni ’90 resta il fulcro del cinema tedesco.
Pochi dei firmatari del manifesto sono già noti nel mondo del cinema, ma un’opera di uno di essi, Il pane dei giovani anni di Herbert Vesely, proprio nel 1962 viene scelta per rappresentare la Rft al Festival di Cannes. Qui Vesely viene accusato di imitare le innovazioni di Alain Resnais, ma in realtà, già dalla sua precedente esperienza sperimentale, ha dimostrato di avere elaborato un autonomo stile “modernista”, con un montaggio ellittico a forti scarti temporali. Il pane dei giovani anni, va ricordato anche perché è la riduzione di un testo di Heinrich Böll, nome che ricorre spesso nelle produzioni di questi registi, sia per la “cinematograficità” del suo stile fatto di dissolvenze, cesure e flashback, sia perché Böll rappresenta in un certo senso la coscienza critica del dopoguerra, colui che per primo aveva denunciato l’ignavia dimostrata negli anni ’50 nei confronti degli orrori del nazismo.
Pur se è difficile tracciare un quadro ideale unitario di questi giovani registi a prescindere dalle loro singole personalità, si può tentare di disegnare un’immagine dello “spirito” di questo gruppo. Spirito reso quasi alla perfezione, molti anni dopo da Edgar Reitz nel personaggio di Hermann, l’artista che prende coscienza della propria diversità e si allontana dalla sua terra natale, presente in entrambi i suoi Heimat (terra natale), sceneggiati per la TV, il primo del 1984 in 11 parti ed il secondo del 1992 in 13 episodi.
Ciò che accomuna questo “gruppo” è l’odio generalizzato per lo scadente contemporaneo cinema tedesco e per le colpe politiche dei loro padri; l’attrazione per le nuove esperienze in campo architettonico e musicale, in particolare per la musica colta elettronica; la predilezione per la letteratura postbellica, per la filosofia esistenzialistica e per Sartre; la tendenza politica filomarxista e l’insofferenza per l’instupidimento collettivo portato dal boom economico. I loro modelli cinematografici, influenzati dall’affermazione di una nuova generazione di critici raccolta intorno alla rivista “Filmkritik” (molto influenzata dalle idee realiste di Siegfried Kracauer, nata nel 1957 e diretta da Enno Patalas), sono il neorealismo italiano e la recente esperienza della Nouvelle Vague, ma non mancano nemmeno suggestioni del cinema dell’età di Weimar, in particolare di Fritz Lang, simbolo scelto per rappresentare una gloriosa tradizione interrotta dal nazismo.
Per analizzare le opere del Giovane cinema tedesco bisogna tentare di sorvolare sui difetti e sulle acerbità, per concentrarsi sui pregi e sulle innovazioni formali e tematiche che esso propone.
L’incipit della nuova produzione è rintracciabile già due anni prima della firma del manifesto nel mediometraggio cofirmato da Kluge e da Peter Schamoni Brutalitat in Stein, nel quale si filmano i resti delle rovine degli edifici nazisti di Norimberga, commentati da passi delle memorie di Rudolf Hoss, il comandante di Auschwitz, che descrivono i particolari burocratici delle tecniche dell’olocausto. Montato velocemente e con un tono freddo e tagliente, è sostanzialmente la prima accusa della nuova generazione alle colpe dei padri.
Del 1962 è invece un’opera di Reitz, Geschwindigkeit, attraverso la quale si tenta di visualizzare il tema astratto della velocità tramite un montaggio frenetico, basato sui principi della musica colta, e che risulta poi essere una sorta di antenato dei videoclip.
Sempre nel 1962 e sempre a partire da un testo di Böll, nasce Machorka- Muff , opera prima della coppia Jean- Marie Straub e Danièle Huillet che mostra da subito le peculiarità ed il rigore di tutta l’opera dei due: lettura del testo in assoluto rispetto filologico, uso di attori che lo recitano in maniera straniata alla Brecht, suono in presa diretta e pause di meditazione (con le sequenze interrotte da pellicola nera). Prima del 1968, anno in cui si trasferiscono a Roma, i due realizzano in Germania altre tre opere: il mediometraggio Non riconciliati (1964-65, sempre da Böll, "Biliardo alle nove e mezza") che suscita una gran quantità di polemiche ed una violenta protesta da parte dello stesso Böll, il lungometraggio Cronaca di Anna Magdalena Bach (1967), Der Brautigam, die Komodiantin und der Zuhalter (1968). Anche dopo il 1968 il loro cinema resta sempre legato in maniera inscindibile alla lingua ed alla cultura tedesca (traggono numerosi film da Brcht, Kafka, Holderlin).
Non si possono tralasciare anche le innovazioni intervenute in campo documentario, che lasciano le loro tracce anche nella produzione di fiction dei giovani cineasti, basti pensare a Kluge, Herzog o Syberberg, che sono stati, ognuno a suo modo, anche documentaristi non occasionali. Klaus Widenhahn è considerato il locale iniziatore del cinema verità con il suo Parteitag ’64, sul Congresso del partito Socialdemocratico. Peter Nestler rappresenta l’altro grande pioniere del documentarismo moderno nella Rft. Il suo cinema ricorda quello di Straub per l’utilizzo di piani fissi molto ben studiati e per il commento letto,o meglio citato, dallo stesso regista in maniera straniata e distaccata. Dopo pochi anni Nestler si trasferisce in Svezia, lavorando per la televisione, senza perdere il suo forte impegno politico ed il suo stile reso a volte freddo dalla ricerca formale. Anche Hans Juregn Syberberg nel 1965 debutta con uno splendido documentario teatrale contribuendo al profondo rinnovamento degli stilemi documentaristici moderni apportati dalla cinematografia tedesca.
Il processo di rinnovamento aumenta quando, alla fine del 1964, grazie all’attivismo politico di Kluge, nasce il Kuratorium Junger Deutscher Film. L’anno dopo, nel 1966, nasce l’Accademia del cinema e della televisione di Berlino e l’Istituto cinematografico di Ulm, fondato dallo stesso Kluge e da Edgar Reitz. Da adesso in poi, attraverso le sovvenzioni dello stato- un massimo di 300.000 marchi per film, a titolo di prestito senza interessi e ad unica condizione che si presenti un piano di lavorazione e che esista un produttore - possono con meno difficoltà economiche essere realizzate le opere prime e seconde di giovani registi. Di fatto, oggi questo però sembra una sorta di contentino dato ai giovani se associato alla legge- quadro sul cinema del 1967, alla quale si accennava prima, in cui viene istituita la FFA- Ente per il sostegno del cinema. Infatti, pur se uno degli obiettivi dichiarati di questa legge è quello di promuovere il cinema tedesco di qualità, questo viene di fatto vanificato dal sistema dei ristorni automatici ai film già premiati al box office. Comunque i 5 milioni di marchi devoluti dal governo centrale fino al 1968, anno in cui il Kuratorium diviene una casa di produzione con partecipazione agli utili, permettono la realizzazione di una serie di buoni lungometraggi, tra i quali La ragazza senza storia di Kluge nel 1965-66, Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia, e L’insaziabile di Reitz nel 1966, Leone d’Argento nel 1967. Questi film permettono al Giovane cinema tedesco di imporsi anche oltre i confini nazionali, anche se di fatto ciò era già accaduto con I turbamenti del giovane Torless di Volker Schlondorff e con Non riconciliati di Straub e Huillet.
Questo gruppo viene chiamato la deutsche neue Welle (in realtà per distinguerlo dalla seconda e più importante ondata del decennio successivo), ma non sono gli “Oberhausener” a poter essere considerati seguaci in terra tedesca della Nouvelle Vague, anche se la loro parola d’ordine, “Papas Kino ist tot” è mutuata proprio dalla nuova onda francese (fanno stampare questo motto anche su degli adesivi verdi). Questo titolo spetta semmai ad un gruppo loro concorrente, facente parte sempre di questa prima ondata, quello dei cosiddetti “sensibilisti monacensi”, giovani critici militanti, amanti cinefili del cinema americano ed, appunto, della Nouvelle Vague. Tra di loro, sotto la protezione di Jean- Marie Straub e Peter Nestler, ci sono Eckart Schmidt, Klaus Lemke, Rudolf Thome e lo sceneggiatore Max Zihlmann, che realizzano un tipo di cinema scanzonato, vicino a quello di Godard di Fino all’ultimo respiro. Questo gruppo vive per alcuni anni in sordina e si decide a venire allo scoperto solo nel 1967, quando i film dei giovani arrivano a rappresentare il 27% della produzione cinematografica tedesca. In quest’anno, infatti, un giovane studente della Scuola di Cinema di Monaco, Wim Wenders, presenta al Festival di Mannheim il corto Same Players Shoots Again e Klaus Lemke gira, su sceneggiatura di Zihlmann, due gialli 48 ore ad Acapulco (bianco e nero) e Una donna tutta nuda (a violenti colori pop), che, seppur costruiti su una somma di citazioni del cinema americano classico che rivelano forse un eccesso di cinefilia, dimostrano un grande desiderio di procurare piacere visivo, cosa che al contrario manca al freddo razionalismo degli “Oberhausener”.
Il bilancio di questa prima onda sembra quindi piuttosto positivo. Il Kuratorium aiuta la nascita di un gruppetto di nuovi produttori ed i film tedeschi riscuotono un discreto successo in casa e vincono notevoli premi ai festival internazionali. Oltre ad adattare le opere di Böll, Grass e Musil, il Giovane cinema capta le inquietudini della prima generazione post- nazista: abbondano quindi i problemi di coppia, l’odio edipico per i padri ed il fastidio per la sciocca civiltà del consumo). Si costruisce in prevalenza un montaggio fortemente ellittico ed il suono è in presa diretta; si vuole mostrare un volto inedito della Germania e questa viene fotografata con occhio sociologicamente attento. Non si gira mai in teatri di posa e si preferisce il bianco e nero (anche per questione di costi). I giovani registi cominciano a costruire un loro stile personale ed alle iniziali e volontarie sgrammaticature si sostituiscono prodotti di sicura qualità. Purtroppo, però, per diversi registi, i film di debutto restano i migliori.

3. La seconda onda: il nuovo cinema tedesco
Due cause concomitanti mettono in crisi il Giovane cinema tedesco alla fina degli anni ’60: la citata legge-quadro sul cinema, che lo espone maggiormente alle leggi di mercato, e l’esplodere della rivolta giovanile che fa apparire invecchiato l’impegno espresso appena qualche anno prima.
Si può immaginare con quali sentimenti contrastanti Kluge riceve il Leone d’Oro a Venezia nel 1968 per Artisti sotto la tenda del circo: perplessi, in una Mostra sconvolta dalla contestazione; per di più per la prima volta un film del Giovane cinema non ha la copertura critica della rivista “Filmkritik”, perché Enno Patalas, recensendo questo ed altri due film contemporanei della “scuola” di Oberhausen, attacca il freddo razionalismo di queste operazioni, affermando addirittura che gli occhi dei loro registi sono “morti”.
Ma questa crisi è in realtà solo il preludio ad un nuovo e più vitale inizio. Infatti la coppia Straub e Huillet regala al giovane regista teatrale Rainer Werner Fassbinder una lunga sequenza di Die Brautigan, die Komodiantin und der Zuhalter, che egli inserisce come cammeo nel suo primo lungometraggio, L’amore è più freddo della morte, del 1969. Nello stesso anno debuttano sul grande schermo Syberberg e Wenders, mentre Herzog l’ha già fatto due anni prima.
La rivolta studentesca lascia la sua aurea in molte produzioni di questa stagione e favorisce lo sviluppo di collettivi di “cinema militante” e del cinema femminista. Inoltre obbliga ad una svolta profonda il Giovane cinema, che dal canto suo prova una delle poche operazioni di genere della sua storia, l’ “Heimatfilm critico”, tentando di “rifunzionalizzare” il genere prediletto degli anni ’50 ribaltandone contenuti ed ideologie. L’idea è ripresa da alcuni contemporanei commediografi bavaresi, che a loro volta tentano di rendere attuale la produzione social- critica degli anni ’20. L’esperienza di questo genere si consuma in un paio d’anni, ma porta anche a risultati di buon livello, tra i quali possiamo ricordare Selvaggina di passo di Fassbinder, del 1972.
Negli stessi anni matura, però, “Das andere Kino” (L’altro cinema), termine con il quale si definisce il cinema sperimental- underground che sta nascendo anche in altre nazioni europee dall’influenza del New American Cinema. Da questo terreno fertile di sperimentazioni escono Werner Schroeter, che si dedica però poco dopo al mélo operistico, e Rosa von Praunheim, che si rivolge però in poco tempo al cinema militante gay, oltre a Wim Wenders, del quale parleremo più avanti.
Grazie alle sovvenzioni statali ed alle commissioni televisive, negli anni settanta “Das andere Kino” riesce a sopravvivere grazie alla caparbietà di ricerca dei suoi autori, ma anche al carattere artistico-artigianale del Nuovo cinema, permeabile alle sperimentazioni (il che spiega perché l’underground tedesco ed austriaco siano sopravvissuti fino agli anni novanta in maniera continuativa).
In ogni caso, alla svolta del decennio il Giovane cinema cresce e prende il nome di Neuer Deutscher Film (Nuovo cinema tedesco), ma le condizioni in cui in questo momento versa l’industria cinematografica tedesca non sono certamente delle migliori.
Infatti a partire dagli anni ’70 e fino alla caduta del muro di Berlino, il cinema tedesco- federale vive una notevole decadenza industriale, passando da 112 film prodotti nel 1971 ai 68 del 1989, ma poi la cifra si stabilizza (74 film nel 1999). Anche l’affluenza di pubblico è in continuo ribasso: si passa dai 160 milioni di spettatori del 1970, ai 143milioni del 1980, per arrivare ai 103 del 1989 (149 milioni nel 1999).
Il Nuovo cinema si può dunque reggere su un sistema di sovvenzioni statali sempre più complicato. Il fenomeno provoca reazioni contrastanti: al grande successo all’estero si contrappone un quasi totale disinteresse in patria; alle lamentele dei registi per un’arte pagata dallo stato si contrappone una generalizzata ammirazione per un sistema fuori dai parametri dell’economia di mercato.
Per necessità molti cineasti passano all’autoproduzione, ma ciò disarticola il carattere industriale della macchina-cinema, favorendo la nascita di tante piccole ditte a conduzione familiare ed a metodi di lavoro quasi artigianali, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso.
Lo scontro con la vecchia industria diventa quindi non solo di natura ideologica, ma investe soprattutto il modo di produzione. Non si può in ogni caso credere alla validità universale di tale modello produttivo contrapposto a quello hollywoodiano, cosa che invece è affermata dagli autori tedeschi in un eccessivo tentativo di contrapporsi al cinema dei padri.
Questo modello funziona soprattutto grazie ad una spinta inventiva e creativa fuori dal comune che si protrae per una generazione e mezzo; al suo esaurimento, anche il modello mostra le sue crepe.
Si potrebbe anche avanzare l’ipotesi che il Nuovo cinema sia figlio dell’ipotesi di rifondazione dello stato sociale perseguita dalla coalizione social- liberale durante gli anni settanta: in questo modo è possibile sottolineare la sincronia dell’esaurirsi del progetto riformista e dell’esperienza autoriale alla metà degli anni ottanta.
Non bisogna dimenticare, anche, che la radicalità dell’Autorenfilm può prosperare anche grazie alla generosità della televisione che diviene qui uno dei principali produttori di film in netto anticipo rispetto agli altri stati europei; comunque gli autori tedeschi hanno il merito di saper sfruttare questa occasione per elaborare un linguaggio lontano dai condizionamenti estetici del piccolo schermo, che rimane tuttavia il mezzo di diffusione principale delle loro opere e dei loro messaggi.
In ogni caso, la progressiva “americanizzazione” dell’esercizio e della distribuzione contribuisce a togliere spazio al Nuovo cinema, che però trova una sua nicchia in un mercato alternativo, fatto di cineclub e sale d’essai, capillare ma ghettizzante. Nel 1971 nasce la cooperativa Filmverlag der Autoren, fondata da tredici filmmaker, tra i quali Wenders e Fassbinder, che insieme ad altre associazioni nate più o meno nello stesso periodo per la produzione e la distribuzione di film di qualità, non riesce purtroppo ad esser molto più che una goccia in un mercato sempre più standardizzato.

4. Il declino del Nuovo Cinema Tedesco
Una nuova aria di crisi si respira nel cinema d’autore tedesco a partire dalla metà degli anni ’80, in particolare dopo la morte di Fassbinder. Ciò è dovuto all’esaurirsi di quella particolare carica innovativa che aveva permesso a questo cinema di affermarsi, anche contro tutte le ragionevoli leggi di mercato.
Questa fase di decadenza vede anche i migliori registi “autoriali” distaccarsi dalle produzioni low-budget per scendere a compromessi con la vecchia industria cinematografica. Avvicinandosi alla produzione di kolossal di prestigio per tentare di rendere di nuovo competitiva l’industria tedesca, tentano in sostanza di adottare una linea di produzione "americaneggiante": la conseguenza prima di questa tendenza è il moltiplicarsi dei film di genere.
La politica del governo centrale di restringimento degli aiuti economici al cinema di qualità trova in parte il suo contraltare nello sviluppo delle sovvenzioni su base regionale, in particolare di quelle delle due province a maggioranza social-democratica di Amburgo e di Nordrhein - Westfalen. Questo fino a che gli avvenimenti dell’unificazione mettono però in crisi anche il precario equilibrio raggiunto.