Nuovo cinema tedesco
Antologia di dichiarazioni
a cura di Massimiliano Rossi e Stefano Finesi

il Tamburo di latta


Nuovo cinema tedesco
 
Le origini

Il manifesto di Oberhausen

La bancarotta del cinema convenzionale tedesco distrugge finalmente il supporto economico di una mentalità che respingiamo; in questo modo il nuovo cinema acquista la possibilità di vivere. Cortometraggi tedeschi di giovani autori, registi e produttori hanno ricevuto negli ultimi anni un gran numero di premi nei festival internazionali e hanno ottenuto il riconoscimento della critica internazionale. Queste opere e il loro successo dimostrano che il futuro del cinema tedesco è in chi ha mostrato di parlare una nuova lingua cinematografica. Anche in Germania come in altri paesi, il cortometraggio è diventato la scuola e il campo di sperimentazione per i film di produzione. Noi dichiariamo di voler creare il nuovo film tedesco a soggetto. Questo cinema ha bisogno di nuove libertà: deve essere liberato dalle convenzioni abituali, da qualsiasi tentativo di commercializzazione, da ogni tutela finanziaria. Nei riguardi della produzione del nuovo cinema tedesco, abbiamo delle idee concrete sul piano intellettuale, estetico ed economico. Insieme siamo pronti a sopportare i rischi economici. Il vecchio cinema è morto, crediamo in quello nuovo.

Oberhausen, 28 febbraio 1962:
Boris von Borresholm, Christian Doermer, Bernhard Dörries, Heinz Furchner, Rob Houwer, Ferdinand Khittl, Alexander Kluge, Pitt Koch, Walter Krüttner, Dieter Lemmel, Hans Loeper, Ronald Martini, Hansjürgen Pohland, Raimond Ruehl, Edgar Reitz, Peter Schamoni, Detten Schleiermacher, Fritz Schwennicke, Haro Senft, Franz-Josef Spieker, Hans Rolf Strobel, Heinz Tichawsky, Wolfgang Urchs, Herbert Vesely, Wolf Wirth

Il gruppo dei firmatari di Oberhausen apparteneva a un gruppo di giovani cinefili che avevano visto un numero enorme di film, entusiasti esclusivamente del cinema straniero. La nostra produzione cinematografica era allora della stessa detestabile mediocrità che aveva caratterizzato tutta la generazione dei nostri padri, i quali erano passati dal nazismo alla società democratica senza alcun cambiamento. (…) A Monaco si era formato un piccolo gruppo di autori di cortometraggi che si riuniva in un ristorante cinese, nel quartiere di Schwabin, per discutere di ciò che si amava e si odiava. Noi amavamo il cinema francese, quello giapponese, il cinema tedesco degli anni venti e quello dei registi andati in esilio, come Fritz Lang e Max Ophuls, mentre detestavamo tutto quello che si andava facendo nella Rft.
(…) L’occasione concreta per il Manifesto di Oberhausen venne dalla chiusura definitiva dell’UFA. La fine dell’UFA rappresentava per noi, da un punto di vista cinematografico, la vera e propria fine della guerra. Il nostro manifesto voleva segnalarla e al tempo stesso indicare un nuovo inizio: eravamo una nuova generazione cresciuta dopo il nazismo che si dichiarava antinazista per convinzione e non per opportunismo.
Edgar Reitz

Lo sguardo e le storie

È maggiormente il fatto di contemplare che mi ha affascinato facendo dei film, che il fatto di trasformare, di muovere o mettere in scena. Che si possa scoprire qualcosa, che qualcosa possa colpirci, trovo ciò molto più importante che fare qualcosa di preciso. Ci sono film nei quali non si può scoprire niente perché non c’è niente da scoprire; tutto salta agli occhi e tutto è fatto perché si comprenda e si veda sotto tale angolazione e in maniera univoca.
Wim Wenders

“Vedere” per un regista è la vera condanna
Wim Wenders

Dal momento in cui ogni taglio di montaggio provoca la fantasia, una tempesta di fantasia, può generare addirittura una pausa nella narrazione. È esattamente in questo punto che le informazioni vengono convogliate. Questo è quello che Benjamin intendeva con la nozione di shock. Sarebbe sbagliato affermare che un film deve aspirare a scioccare gli spettatori, questo limiterebbe la loro indipendenza e le loro capacità di percepire. Il punto in questione è la sorpresa che scaturisce quando, attraverso meccanismi sotterranei del pensiero, improvvisamente si comprende qualcosa in profondità, e da questa prospettiva si indirizza di nuovo la fantasia al corso reale della narrazione
Alexander Kluge

Il realismo che io intendo e che voglio è quello che si genera nella testa dello spettatore e non quello che si realizza sullo schermo, quello non mi interessa affatto, la gente lo conosce già nella vita di tutti i giorni. Ciò che voglio è un realismo aperto, stimolante, che non provochi la chiusura della gente in se stessa. Se alla gente si mostra proprio quello che poi puntualmente vive tutti i giorni, allora credo che si chiuda. Bisogna offrire la possibilità di aprirsi alle cose belle
R.W. Fassbinder

Noi tedeschi abbiamo dei problemi con le nostre “storie”. L’ostacolo vero è la nostra “Storia”. Il 1945, anno zero della Germania, ha cancellato molto, ha creato una voragine nella capacità di ricordo della gente. Un intero popolo – come afferma Mitscherlich – “è diventato incapace di essere in lutto”, il che significa “incapace di raccontare”.
Edgar Reitz

Non si può dividere l’universo della narrazione in documentari e finzione. Io considero Fitzcarraldo il mio miglior documentario. La poesia e il cinema sono due forme d’arte in cui l’esatta rappresentazione della verità è critica.
Werner Herzog

Non mi piacciono le storie che costringono a una tensione, a far attendere qualcosa; preferisco che le storie o le azioni si addizionino e formino alla fine una storia. (…) Io provo fastidio come spettatore a seguire una storia in cui i personaggi sono vincolati dal dramma. Penso che si possa guardare più tranquillamente i miei film, che si possa essere vicini ai miei personaggi perché fanno la storia.
Wim Wenders

Il Cinema Verità confonde fatti e verità ed è come passare l’aratro sulle pietre. Poiché i fatti hanno a volte uno strano e bizzarro potere che fa sì che la verità loro inerente sia incredibile.
Il fatto crea norme, la verità illuminazione.
I registi del Cinema Verità somigliano a turisti che scattano foto in mezzo alle rovine dei fatti.
Il turismo è peccato, viaggiare a piedi è virtù.
Werner Herzog, estrattto da Dichiarazione del Minnesota, verità e fatti nel cinema documentario

Politica

Easy Rider è un film politico non soltanto perché mostra come Peter Fonda e Dennis Hopper all’inizio vendano cocaina, come vadano in galera per un nonnulla, come vengano liquidati tranquillamente, come Jack Nicholson venga picchiato a sangue da una guardia giurata e come uno sceriffo possa comportarsi. È un film politico perché è un bel film, perché è bello il paese percorso dai due coraggiosi motociclisti; perché sono belle e serene le immagini che il film offre di questo paese; perché è bella la musica che accompagna il film; perché i movimenti di Peter Fonda sono belli; perché si può vedere Dennis Hopper che non si limita solo a interpretare una parte ma che ci mette tutto se stesso per fare il film, tra Los Angeles e New Orleans.
Wim Wenders

In tutti e due i film che a prima vista trattano temi politici, cioè Mamma Kuster va in cielo e La terza generazione, si ha l’impressione che lei abbia voluto fare delle commedie su problemi politici. Li considera delle commedie?
Si. Il motivo è che credo che nel momento in cui nasce e si consolida un’associazione, in partito politico o che so io, all’inizio è come un gioco da bambini, mentre più tardi, dovendosi regolare per conto proprio, perché il gruppo ormai esiste e va bene a qualcuno, allora diventa nocivo e pericoloso per ogni utopia. Perciò realizzo solo delle commedie su quanto vedo in politica.
Ciò significa che lei non crede alla realizzazione di un’utopia tramite la politica.
No. L’utopia è possibile soltanto quando nasce dalla fantasia e dal bisogno di molti. Non deve venir formulata e portata avanti dai singoli individui come finora è successo, il rapporto con la fantasia del desiderio deve essere tanto vasto da provocare qualcosa che forse è una vita libera, per definirlo con le parole che abbiamo. Quando ci immaginiamo una società utopistica cercando di esprimerla nella nostra lingua d’oggi, al massimo si arriva a dire qualcosa di ragionevole, ma niente di nuovo o di strano in senso positivo.
Ma l’assurdo del film La terza generazione sta proprio nel fatto che a questi gruppi di attivisti è estraneo ogni pensiero utopico.
Perciò è una commedia, perché essi si comportano come politici. In effetti lavorano per l’ordine costituito, per consolidarlo e renderlo definitivo. E naturalmente spero che lo spettatore, dopo aver riso, provi una sorta di orrore. Perché in fondo non c’è niente di comico. Ma io non credo che tutte le occasioni seriose alla fine conducano solo a qualcosa di ragionevole, a un modello razionale. Tutto ciò che è ragionevole non mi interessa.
Come la politica?
A prescindere dal fatto che spesso con la politica vengono innescati meccanismi di potere crudeli e terribili contro la gente, trovo che la politica sia in se una cosa incredibilmente ridicola e infantile. Non riesco a concepire l’idea di diventare un politico.
conversazione con Rainer Werner Fassbinder, a cura di Wolfgang Limmer e Fritz Rumpler

Sono convinto che tutte le cose importanti, anche la democrazia e la politica, si formino nei primi anni di vita. È una tragedia che la vita adulta si debba privare di tante utopie e che tante energie positive debbano venir sacrificate perché si diventa adulti
Edgar Reitz

America

Il cinema americano è il solo che io possa considerare davvero seriamente, perché è l’unico che abbia davvero raggiunto un pubblico. Il cinema tedesco prima del 1933 ci riusciva e sicuramente ci sono registi isolati di altri paesi che sono in contatto col loro pubblico. Ma in generale il cinema americano ha avuto la relazione più felice con il suo pubblico e questo perché non ha cercato di essere “arte”. (…) I registi americani lavorano partendo dall’idea che gli Stati Uniti sono la patria della libertà e della giustizia. (…) Lo trovo meraviglioso. Ma non ho mai cercato di imitare un film hollywoodiano come hanno fatto tutti gli italiani. I nostri film si basavano sulla comprensione del cinema americano. Qualsiasi storia di vita che abbia a che fare con qualcosa di simile a una relazione sentimentale è un melodramma e perciò credo che i film melodrammatici siano film corretti. Ma il modo che gli americani avevano di farli lasciava al pubblico solo emozioni e nient’altro. Io voglio dare allo spettatore emozioni insieme alla possibilità di riflettere e analizzare ciò che sente.
R.W. Fassbinder

Non mi ha mai convinto la drammaturgia americana psicologizzante per cui ogni cosa deve avere un nesso logico con la successiva, la drammaturgia del passaggio associativo da un’immagine all’altra. Tale passaggio può avvenire anche senza alcun nesso logico e nel mio film (Die Reise nach Wien) il montaggio segue la stessa fantasia frivola e illogica che guida il carattere delle due protagoniste. La disarticolazione nella sceneggiatura del rapporto causa-effetto che io amo nel cinema è il principio che le due donne seguono nella vita.
Edgar Reitz

I miei primi ricordi dell’America sono quelli di un paese mitico in cui tutto era migliore. C’erano la cioccolata e il chewing-gum. Un mio cugino aveva uno zio negli Usa e grazie a lui possedeva una pistola e delle piume d’indiano e io lo invidiavo. In Germania all’epoca non c’erano giocattoli e i soli che conoscevo erano quelli americani, che erano veramente eccezionali. Allora avevo tre o quattro anni e sicuramente non capivo che il mio paese era occupato.
Wim Wenders

La prima volta che ci sono andato è stato per me il viaggio verso il futuro. Ancora adesso mi sembra che la società americana, dal punto di vista morale e tecnologico, sia avanti di anni rispetto all’Europa. O forse dovrei dire alla Germania. Certo ogni volta che torno in Germania ho l’impressione che la fantasia mi abbandoni.
Wim Wenders

Paure, ispirazioni, malattie

Il fatto che io produca più film degli altri lo spiego come una sorta di malattia, oppure come il tentativo di venire a capo di questa malattia, una malattia mentale.
R.W. Fassbinder

Il wendersismo? Una malattia infantile, di sicuro. Io cerco di guarirne. Un regista non deve affezionarsi alle proprie immagini. Deve separarsene. Altrimenti fa il verso a se stesso. So che corro questo pericolo
Wim Wenders

Il cinema per me è sempre stato un gigantesco giocattolo e sarebbe stato il mio sogno poterci giocare come ha fatto Fellini
Edgar Reitz

Il rock’n’roll mi ha spinto incontro a tutto, mi ha spinto a fare del cinema. Senza il rock’n’roll oggi sarei forse un avvocato. E tanti altri sarebbero qualcosa di diverso. Credo che il rock’n’roll abbia dato a molti per la prima volta un senso di identità. Questo perché più di qualunque altra cosa si avvicina alla gioia. Così, grazie al rock’n’roll, ho cominciato a pensare all’immaginario, alla creatività, come uniti alla gioia: l’idea di avere il diritto di godere di qualcosa.
Wim Wenders

Io non voglio distruggere niente, ma soltanto non esistere più
R.W. Fassbinder

Mi hanno quasi obbligato a fare dieci film all’anno. Mi ha portato al punto dello sfinimento, all’esaurimento fisico e psichico, cosicché posso dire che mi hanno dissanguato, in un certo senso.
R.W. Fassbinder

Per me è pericoloso soltanto – e queste non sono paure – quando non voglio fare più niente. Sono questi i miei momenti pericolosi. Mi è successo una volta: è stato ad Almerìa, durante la lavorazione di Whity. Se in camera avessi avuto una lametta, giuro che mi sarei ucciso. Ma sarei dovuto andare da Harry Bear, in un’altra camera, e avrei dovuto prenderla da lui. E allora non l’ho fatto
R.W. Fassbinder

Uno dei vantaggi dell’artista è che può esprimere nell’arte la sua crisi senza poi suicidarsi veramente…
Edgar Reitz

In ultima analisi, quello che conta è l’intero corpo dell’opera che ci si lascia dietro quando si scompare. È la totalità dell’oeuvre che deve dire qualcosa di speciale riguardo al tempo in cui è stata realizzata. Altrimenti è inutile.
R.W. Fassbinder

citazioni tratte da:
Tutti i film di Fassbinder, Ubulibri 1983, a cura di Enrico Magrelli e Giovanni Spagnoletti
R.W. Fassbinder TV, Editori del Grifo 1983, a cura di Giovanni Spagnoletti
Poetiche delle Nouvelles Vagues, Marsilio Editori 1989, a cura di Adriano Aprà
Edgar Reitz, Dino Audino Editore, a cura di Stefanella Ughi
Wim Wenders, Editrice Il Castoro 1995, di Filippo D’Angelo
Rainer Werner Fassbinder, Editrice Il Castoro 1995, di Davide Ferrario
www.wernerherzog.com, sito ufficiale di Werner Herzog