Cinema, film, recensioni, critica. Offscreen.it


la Zona
id., Spagna / Messico, 2008
di Rodrigo Plà, con Daniel Giménez Cacho, Maribel Verdù, Carlos Bardem, Daniel Tovar

Società a circuito chiuso
recensione di Emanuele Boccianti



C’è un’inconfessabile voluttà nel vivere in un ambiente perfettamente omogeneo, filtrato e purificato come quello della Zona. Un quartiere residenziale, non molto differente da quelli che realmente troviamo in ogni grande metropoli, che, in quanto tali, patiscono due anime. La Zona de la Zona si trova in Messico, e certo non è un caso: trattasi di un paese che fa i conti in maniera sanguigna e drammatica col concetto di confine, di muro, un paese che il confine ce l’ha dentro e addosso, che dal nord gli preme sulla testa, da sempre. La Zona è incastonata nella fibra della sua città, ma non è più la sua città, se ne è affrancata con qualche decreto municipale, e con l’aiuto di tanti soldi, cosicché adesso i suoi residenti possono sentirsi al sicuro, ogni sera, mentre guardano l’alto muro di cinta che li separa - e li distingue - dalla miseria della città di cui, un tempo, erano cittadini. La Zona è un microcosmo urbano, nato e cresciuto secondo regole che si andavano via via differenziando sempre di più da quelle del mondo vero. La Zona è autonoma per statuto, e autosufficiente. Dentro, solo gente rispettabile, tutti si conoscono, tutti si danno una mano tra loro. L’Assemblea, la santa e potente conclave che tutto amministra e decide, assomiglia ad una delle nostre riunioni di condominio, chi mai ci fosse stato. Se qualcosa non va bene, ci si alza in piedi e si parla direttamente col legislatore, a cui magari si dà del tu e che più tardi è ospite dello stesso barbecue a cui andiamo noi. Bello vivere così, con una squadra di guardie giurate che monitora il nostro portone di casa, se mai ancora ce ne fosse bisogno. Bello aver dimenticato la Città, quella vera, lontana un milione di anni luce appena oltre quel muro.
Questo è il mondo che ci dipinge Rodrigo Plà nel suo primo lungometraggio, un mondo rassicurato da telecamere di sorveglianza, muri di cinta e sirene. Un mondo in cui una notte un temporale inceppa l’ingranaggio elettro-psicologico del quartiere a prova di povertà, e un’infiltrazione di mondo reale cola dentro la Zona. Tre ragazzini riescono ad introdursi nella fortezza dei ricchi, improvvisano una rapina, ammazzano una vecchia, due muoiono, uno, il più piccolo, scappa e si nasconde in una cantina. Lì lo trova Alejandro, un ragazzo come lui, ma nato nella Zona, figlio tra l’altro di uno dei membri più rispettabili dell’Assemblea. Compito doloroso per Alejandro sarà quello di crescere tutto insieme, senza gradualità, una volta che avrà l’occasione di vedere il suo mondo entrare in contato con quello "di fuori".
la Zona è un discreto incubo à la Ballard (nello stile di "Cocaine nights", o "Un gioco da ragazzi"), una tragedia semplice per mettere in scena gli abomini che possono nascere in seno a queste comunità cancerose, che affiorano dal tessuto della società e poi, come una fistola, producono una membrana per separarsi dal resto del consorzio civile, crescendo e nutrendosi del loro pus, asettico solo in apparenza. Il sapore acido e dolce di quel quartiere claustrofobico, un sapore da mondo perfetto, entra in armonica dissonanza con i cromatismi più cupi e rugginosi dei borghi che lo circondano: il regista parla con mestiere alternando la fotografia madida della periferia alla grafica da circuito chiuso delle telecamere di sorveglianza, e muove i personaggi di entrambe le dimensioni come se ognuno di loro fosse il puro risultato chimico dell’ambiente da cui proviene. Tutto ciò funziona, funzionano le ronde dei vigilantes col veleno negli occhi, funziona il terrore in quelli sgranati del delinquente che scappa per i vicoli con in tasca solo i suoi dodici anni; funzionano le riunioni dell’assemblea, in cui si decide di non fare entrare la polizia negli affari della Zona, e di provvedere autonomamente allo smaltimento del clandestino. E funziona lo sguardo di Alejandro, l’uomo al confine, l’adolescente di buona famiglia che nella sua cantina scopre che, ancora e sempre, il confine ce lo abbiamo dentro, alcuni più di altri. Alejandro che offre rifugio all’alieno, mentre suo padre ignaro guida la sua truppa di giustizieri del pomeriggio; Alejandro che guarda compiersi la sorte del fuggiasco, nell’indifferenza o nell’inerzia di tutti (polizia per prima); Alejandro che sceglie cosa fare quando non c’è più nulla da fare, e negli ultimi due minuti della storia, bontà sua, ci fa involontariamente tornare alla mente le Tre sepolture, il che è senza dubbio un bel complimento, per un’opera prima.