l'Uomo del treno
Un treno chiamato rimpianto
di Donatella Valeri


Venezia 59 - 2002
  l'Homme du train, Francia, 2002
di Patrice Leconte, con Jean Rochefort, Johnny Hallyday, Jean-François Stevenin, Edith Scob

L'uomo del treno è uno sconosciuto, silenzioso, dal viso imbronciato, un solitario, un malinconico che tanto ricorda le figure di Segio Leone e di Clint Eastwood (tra l'altro l'attore preferito da Hallyday). Arriva per rapinare una banca in una provincia immobile, armato e sospettoso. Come dire... un preambolo in perfetto stile western, con un rocker (anzi, in Francia il rocker anticonformista per eccellenza) come protagonista e un'ampia casa borghese al posto delle polverose case di legno. Al di là della storia, L'homme du train mantiene nella struttura la polarità dialettica cara al "super genere" americano: i due mondi a confronto; uno straniero (Johnny Hallyday) e la società (quest'ultima impersonata, anche se solo per breve tempo, da un superbo Jean Rochefort). Manesquier, professore in pensione, si distacca quasi subito dall'essere simbolo della società: non appena si individualizza e diviene persona. Non teme il personaggio dello straniero, dal quale, anzi, "succhia" tutto ciò che può: indossa i suoi vestiti, impara a usare la sua arma... Il passaggio delle conoscenze è reciproco (le lezioni private, la "scoperta" delle pantofole). I due uomini sono due solitari, in bilico fra il rimpianto per occasioni perdute e la perenne, stancante e immobile costruzione, o meglio "mantenimento" del solito ruolo nel mondo. Rimpianto. Il legame emotivo che unisce istintivamente i due eroi scavalca l'immagine che hanno scelto per loro stessi: la vita che conducono li dovrebbe portare ad avere, se non paura, almeno diffidenza l'uno dell'altro. Ma non è così. Il paradosso è alla base del loro rapporto: il legame che creano prospetta un'apertura fra i due uomini nel passato non scelto, invece che nel futuro. E la malinconia nasce dalla consapevolezza di non avere più il tempo o la possibilità di un futuro diverso e quindi di un'apertura reale. La morte diviene inevitabile, l'unica scelta che consente di mantenere vivo l'inaspettato legame, quel legame istintivo, al puro livello emozionale, che fiorisce dopo l'accettazione della non-scelta della propria vita.